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Stai vivendo pienamente la tua vita?

Stai vivendo pienamente la tua vita?

Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?

Ti propongo un piccolo gioco.

Prendi un pezzo di carta e una penna. Disegna un cerchio.

Ora colora la parte di cerchio che, a sensazione, rappresenta  la “pienezza” delle tue giornate. Non in termini di impegni, ma in termini della tua soddisfazione per quanto intensamente e pienamente vivi, di quante opportunità cogli o crei, di quanta varietà ci sia.

Se lo colorassi tutto significherebbe che la tua soddisfazione è pari al 100%.

E se è così, puoi anche smettere di leggere il mio articolo 😉 

Ma se non è così, colora uno spicchio pari a quella che potrebbe essere la tua soddisfazione, per come vivi le tue giornate. 

È più del 50%? Oppure meno? Quanto circa? (non prenderla troppo sul serio, non è un esercizio di geometria, è solo un’indicazione visiva della situazione attuale, che però può darti preziose consapevolezze)

Stai vivendo pienamente? Stai godendo di tutte le opportunità che la vita ti offre, proprio ora, qui?

Questa è una delle mie domande guida, una di quelle domande che mi faccio regolarmente e che mi permette di ricalcolare la rotta quando mi scopro a prendere una direzione che non mi piace o non mi soddisfa del tutto. E molto spesso la risposta è NO, non abbastanza. 

Ma come, dirai, proprio tu?  Eppure sì, mi succede. 

Proprio ieri parlavo con un paio di amiche della Rete al Femminile. Siamo andate a fare il bagno al tramonto per la prima volta da quando ci conosciamo. Raccontavo loro di come, nonostante io abbia raggiunto molte delle condizioni che desideravo, mi trovo spesso a non goderle appieno, a vivere “ristretta” rispetto a ciò che potrei fare e alla libertà di cui dispongo.

Ti riconosci anche tu? 

Aspetta a dire di no 😉 ora mi spiego meglio.

Vivo a pochi passi dal mare eppure, da quando abito in questa casa, non avevo ancora mai fatto il bagno al tramonto prima di ieri. E raramente scendo a fare un tuffo durante il giorno, sebbene io lavori principalmente da casa.

Ho voluto a tutti i costi una bicicletta perché immaginavo che avrei scorrazzato su e giù per il lungomare tutti i giorni e in tutte le stagioni, e invece finora l’ho fatto molto meno spesso di quanto avrei potuto.

Nei giorni in cui scrivo, o progetto un corso, potrei spostarmi con lo scooter, trovarmi un bel posticino all’aria aperta, andare ogni giorno in un caffè o in un bar diverso e lavorare da lì, eppure ho smesso di farlo da un bel po’. Certo, perché sto bene dove sto.

Eppure sento che così facendo, perdo qualcosa.

Il punto è che a me tutte quelle cose  piacciono molto, e soddisfano il mio bisogno di varietà (come ti raccontavo in questo post su Instagram) eppure mi trovo spesso a vivere in un’area più ristretta di come vorrei. Devo riconoscere che in parte questo è ancora lo strascico del lockdown, che ci ha ammaestrati a spostarci solo il necessario, a uscire di meno, a premeditare tutto (pensa a dove devi andare, stampa la certificazione, compilala, prendi la mascherina, non fare de-tour perché non sono concessi, non improvvisare, ecc).

Quindi in parte questa “ristrettezza” è ancora un sottoprodotto del periodo che abbiamo passato (quantomeno lo è per me). 

Ma non è tutto qui.

Siamo esseri abitudinari, nel bene e nel male, e da tutto ciò che è consuetudine traiamo benefici in termini di sicurezza, efficienza e “risparmio energetico”. Però perdiamo in spontaneità, perdiamo il contatto con il sentire che vorrebbe guidarci ma che non ascoltiamo mai abbastanza.  

Com’è che finiamo a escludere tutta una serie di possibilità, a tagliare via un sacco di strade, e ci restringiamo a fare un po’ sempre le stesse cose?

Magari la nostra vita è ricca e varia, non intendo dire che facciamo “poche” cose, ma piuttosto che non usciamo spesso dai nostri sentieri, per quanto ampi e avventurosi possano essere.

Da quanto tempo non fai una cosa che amavi fare, solo perché l’area all’interno della quale normalmente ti muovi non la comprende?

In quel fare qualcosa di nuovo che ci attira, in quel rifare qualcosa che ci siamo dimenticate esistere, nel tracciare nuove e più ampie strade fuori di noi, mettiamo in campo una parte più ampia di noi, ridiamo vita a delle parti che abbiamo trattenuto, incatenato, soppresso o addomesticato. 

Restringere il campo delle nostre esperienze ha un prezzo: non solo ci perdiamo la bellezza di quella specifica azione, ma atrofizziamo risorse, attitudini e inclinazioni. “Use it or lose it”- ciò che non usi, lo perdi.

Allora, cosa potresti riprometterti per questo agosto, per espandere un po’ le tue abitudini e possibilità, e riappropriarti così di alcune parti di te che avevi messo in stand-by?

Ti lancio una sfida, facile facile, ma che comunque richiede la tua determinazione e il tuo impegno e, prima ancora, la tua adesione.

Per questo agosto, fai almeno #unacosanuova al giorno.

Può essere cimentarti in uno sport che non hai mai fatto, fare una strada nuova per andare in uno dei tuoi posti abituali, noleggiare un tandem o un monopattino, contattare una persona che vorresti conoscere, assaggiare un cibo che non hai mai provato, iniziare la tua giornata ballando.

Magari si tratta di qualcosa che è del tutto nuova nella tua vita, o qualcosa che avevi smesso di fare, o puoi semplicemente scombinare alcuni dei tuoi orari, lasciandoti guidare dal tuo sentire, dal tuo desiderare.

Scatta una foto e condividila su Instagram con l’hashtag #unacosanuova e taggami @gina.abate.coaching: sarò felice di ricondividere le tue piccole e grandi imprese nelle mie stories, così da ispirare altre persone a vivere più pienamente e intensamente le infinite possibilità che ogni giorno si snodano davanti a noi, anche se non abbiamo occhi per vederle.

Io ho iniziato così:

Nell’ultima settimana, mentre ero in vacanza sulla mia isoletta del cuore,  ho già fatto un po’ di cose nuove, come: 

  • Noleggiare un kajak biposto con un’amica e portarci anche Wendy!  
  • Attraversare un boschetto di notte sotto un forte temporale, e prendere la pioggia perché c’era troppo vento per tenere aperto l’ombrello.
  • Andare in spiaggia in orari insoliti: al mattino presto, oppure alle 18.00 per stare fino a tardi.

E una volta tornata a casa mi sono accorta che, solo ponendoci un po’ di attenzione e avendo “messo in moto il volano”, ho iniziato a espandere le mie possibilità, come se il cervello avesse fame di cose nuove e diverse.

Nei prossimi giorni sicuramente vorrò provare il SUP,  vorrò imparare il ballo dell’estate, Jerusalema. e vorrò scompaginare i miei orari in modi nuovi (beh, in questo sono piuttosto brava 😉 ma mi alzerò l’asticella! )

E tu, cosa vuoi iniziare a fare di nuovo o di diverso?

Ricordati che non è un “fare per fare”: ogni cosa nuova apre le porte a nuove possibilità, attiva una nuova Te. E quella nuova te, chissà di cosa è capace.

Aspetto le tue condivisioni, perché #unacosanuova al giorno può aiutarci a essere più felici e più vivi.

Non spaventarti, ricompensati: come instaurare un comportamento positivo

Non spaventarti, ricompensati: come instaurare un comportamento positivo

Perché la ricompensa serve più della minaccia quando vogliamo attivare in noi un comportamento virtuoso.

Tutti noi abbiamo qualche comportamento di cui faremmo volentieri a meno, giusto? Un comportamento che a lungo andare potrebbe portarci a risultati spiacevoli.

E sicuramente spesso vorremmo aiutare qualcun altro a cambiare il proprio comportamento in uno più positivo (magari i nostri figli, il nostro compagno, i nostri colleghi, i nostri capi…)

La nostra resistenza al cambiamento però rema spesso in direzione opposta ai nostri desideri, e ce ne accorgiamo tutte le volte che facciamo un nuovo proposito, senza poi riuscire a portarlo avanti.


Come mai continui ad evitare di allenarti, se sai che porterà il tuo fisico a indebolirsi e ad accumulare curve nei posti più indesiderati?

Perché continui a stare in quella relazione, se sai di aver scelto la persona sbagliata?
Per quale motivo eviti di attuare quelle strategie di organizzazione che ti farebbero fare un salto di qualità nel tuo lavoro di freelance?

Sappiamo che le due leve che motivano il nostro comportamento sono la ricerca del piacere e l’allontanamento dal dolore (non solo in senso fisico, ma soprattutto emozionale).

Forse però non usiamo la leva giusta.

Cosa ci motiva veramente al cambiamento?

Una delle strategie che usiamo maggiormente per tentare di farci fare (o indurre qualcuno a fare) qualcosa, è immaginare o prospettare i pericoli e le conseguenze negative di quella condotta.

In pratica usiamo la paura come motivazione, tentiamo di spaventare noi stessi e gli altri per indurre un cambiamento positivo.

Peccato che questo raramente funziona, ce lo dimostra anche la scienza.

Infatti la risposta del nostro cervello alla paura è flee or freeze: fuga o paralisi, molto più raramente fight, ovvero combattimento. 

Quindi minacciare tuo figlio, dicendogli che se non sistema la stanza non potrà giocare al computer, difficilmente si rivela efficace. A volte lo è nell’immediato, ma non lo aiuta ad aver voglia di fare la cosa giusta, non lo aiuta a costruire l’abitudine di rimettere le cose al loro posto.

Così come non funziona mettere quelle immagini terrorizzanti sui pacchetti di sigarette. Anzi. La paura, in questo caso, porta alla fuga, ma non dalle sigarette, bensì dalle sensazioni negative che quell’immagine evoca. Ecco perché conoscerai sicuramente qualcuno che ama rifugiarsi in rassicuranti giustificazioni come “ne muoiono di più in incidenti stradali” o “mia nonna fumava un pacchetto al giorno ed è rimasta sana come un pesce fino a 95 anni”.

Tendiamo a evitare le situazioni che ci spaventano.

Prova a pensarci: controlli più spesso il tuo saldo bancario nei periodi di “grassa” o quando sai di avere eroso il fido? Se sei come la maggior parte delle persone, ti colleghi spesso nei momenti buoni e poco nei momenti critici, salvo poi tornare a controllare freneticamente quando le cose vanno davvero male e a volte è ormai un po’ tardi per intervenire. 

Diversi studi scientifici hanno dimostrato che per la maggior parte della nostra vita non sembriamo imparare dalle notizie “minacciose” (salvo un periodo che va dai 30 ai 40 anni circa).

Rispetto a cosa ci può spingere a cambiare un comportamento negativo, siamo tutti più sensibili alle informazioni che vorremmo sentire, piuttosto che quelle che ci spaventano.

Ma se le minacce non sono funzionali, quale “leva” si confà di più al nostro cervello?

Mi ha colpito molto leggere di un esperimento che è stato condotto in un ospedale, dove è stata installata una telecamera per monitorare quanti medici e paramedici usassero sanificare le mani prima e dopo aver fatto visita a un paziente (questo era prima del Covid, of course). 

Nonostante tutti sapessero quanto questa operazione potesse essere importante e tutti sapessero che c’era una telecamera a filmarli, soltanto uno su dieci faceva regolarmente questa operazione (GOSH!).

Allora è stato inserito l’utilizzo di una lavagna elettronica, visibile a tutti, che tenesse traccia dei “progressi” di tutto lo staff medico riguardo la sanificazione delle mani. Indovina un po?

Il 90% delle personale medico ha modificato positivamente il suo comportamento!

Come mai? E come possiamo usare questa conoscenza per aiutare noi stesse, e indurci  a modificare positivamente quei nostri comportamenti che sarebbe così importante trasformare?

Ecco le tre leve che hanno funzionato, attivate dall’utilizzo della lavagna elettronica:

  1. INCENTIVAZIONE SOCIALE: Siamo esseri sociali, e a volte anche un filino competitivi 😉 Sapere cosa fanno gli altri e tentare di uguagliarli, o superarli, sembra essere un comportamento naturale per il nostro cervello. Ecco perché connetterci con persone che si cimentano nell’implementare una certa attività virtuosa può aiutarci a farlo anche noi, perché risulta che questo rende il nostro cervello più felice, ed incline quindi all’azione.
  2. RICOMPENSA IMMEDIATA: Premiati! A volte basterà un bel segno di spunta colorato sulla tua to do list, altre volte sarà un piccolo festeggiamento, altre volte sarà fermarti per un attimo e ringraziare te stessa per il progresso fatto, possibilmente tenendone una traccia scritta. Tendiamo a prediligere il piacere immediato rispetto la soddisfazione futura, il certo per l’incerto: insomma, il celebre uovo oggi, perché chissà se potrò avere una gallina domani… 😉 Quindi, la ricompensa immediata per qualcosa che pagherà soltanto in futuro è una buona strategia e sembra essere la via per evitare il naufragio di mille splendidi propositi felici.
  3. MONITORAGGIO DEI PROGRESSI: Sottolinea i progressi possibili, piuttosto che le conseguenze negative. La paura induce inazione più spesso di quanto non induca attivazione, mentre invece sentirsi progredire è una sensazione che viene ricercata, tra le persone di tutte le età. Tieni traccia, scrivi, fai un grafico, usa delle applicazioni, racconta a qualcuno e “registra” tu stessa i tuoi passi avanti nella direzione che hai intrapreso. Ti aiuterà ad aver voglia di fare ulteriori progressi.

E ora passiamo all’azione

Come potresti applicare questa conoscenza alla tua vita, e applicare i 3 passaggi qui descritti per modificare un tuo comportamento?

Io ho deciso che cercherò un’alleata per fare un allenamento di Pilates e di Yoga a casa, in collegamento online, un paio di volte alla settimana in giorni e orari fissi (capita anche a te che siccome-potresti-farlo-sempre-allora-non-lo fai-mai?).

La mia ricompensa sarà sentirmi più forte ed elastica, e affidabile per mantenere l’impegno, e metterò una stelletta colorata sul calendario tutte le volte che terrò fede all’impegno.

Monitorerò i progressi notando la maggior facilità di esecuzione, forza e resistenza

E tu, su quale aspetto della tua vita ti vuoi sperimentare?

Fammelo sapere!

E se decidi che quell’alleata vorresti essere tu, magari combiniamo. 😉

Un abbraccio!

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È più facile essere tristi (arrabbiati, nervosi, preoccupati) che felici? Tutta colpa del tuo cervello

È più facile essere tristi (arrabbiati, nervosi, preoccupati) che felici? Tutta colpa del tuo cervello

Per fortificarti e non farti manipolare dagli stimoli negativi serve allenare la corteccia prefrontale sinistra nel tuo cervello.

Pensa a una tua giornata tipo. Togliendo le ore in cui dormi, se hai la fortuna di dormire bene, quanto tempo trascorri sentendoti veramente veramente bene e con un senso di pienezza?

E quanto invece  le tue emozioni e sensazioni virano più verso la tensione, il fastidio, la preoccupazione, la paura, l’esasperazione, la frustrazione; o ancora ti senti arrabbiata, indignata, sconsolata o con un senso di mancanza?

Se sei come la maggior parte delle persone con cui mi interfaccio per lavoro, ma anche nella vita, risponderai che normalmente per più della metà del tempo (per qualcuno molto di più) vivi le emozioni della seconda categoria, piuttosto che quelle del benessere.

Ti ci ritrovi? Forse tu no, ma sono sicura che in un attimo puoi pensare a un sacco di persone che conosci e che rientrano perfettamente in quella descrizione.

Come mai?

Se ci pensi viviamo in un periodo storico dove le persone dispongono di comodità che una volta sarebbero sembrate un lusso inimmaginabile: tutti hanno cibo in abbondanza, una casa in cui vivere, uno smartphone, il wifi, acqua calda e luce in casa, un mezzo di trasporto e la copertura sanitaria- eppure questo non ci rende più felici di quanto lo fossero generazioni che ci hanno preceduto e che mediamente avevano molto meno.

Come mai?

Tutta colpa del tuo cervello 😉 

Seguimi, perché stai per scoprire una delle ragioni per cui è più facile sentirsi tristi, infastiditi o preoccupati, che felici – e come porvi rimedio.

Il nostro cervello è la creazione più sofisticata dell’universo, e si è evoluto in milioni di anni.

Noi viviamo in un ambiente che negli ultimi 100 anni si è trasformato a una velocità e in modi e mai visti prima, ma il nostro cervello non si modifica così velocemente. Questo fa sì che alcune sue funzioni, così adatte quando i pericoli per la nostra sopravvivenza erano reali e continui, non giocano a nostro favore nell’ambiente attuale.

L’area del nostro cervello più recente, quella che ci distingue dagli animali (o almeno dovrebbe) è la corteccia prefrontale. Lì sono state individuate due diverse aree che si attivano in presenza di attività per così dire “opposte”, e che sostengono rispettivamente quel tipo di attività.

E’ stato infatti scoperto, che quando ci preoccupiamo, sperimentiamo tensione, siamo arrabbiati, o ci arrivano informazioni “negative” come quelle dei media, si attiva la corteccia prefrontale destra.

La sua dirimpettaia, corteccia prefrontale sinistra, detta anche “l’area dell’Illuminazione” in quanto particolarmente attiva e sviluppata nei monaci tibetani, molto dediti alla meditazione, è invece l’area dove troviamo attività quando stiamo davvero bene e la nostra mente è calma.

Secondo te quali delle due parti sarà più attiva nel tuo cervello iper sollecitato?

Esatto: l’area destra è più sollecitata e quindi anche più pronta, reattiva e interventista rispetto alla sua collega sinistra. Potremmo paragonarla al bicipite di un culturista, il bicipite di Arnold Schwartzenegger dei tempi d’oro.

Ma cosa ha reso questo “bicipite” così ipertrofico? Un certo tipo di nutrimento: le notizie dei telegiornali -che non sono “buone notizie”- le scene ansiogene di film e videogames, con violenze fisiche e verbali, sparatorie, inseguimenti, omicidi e rapimenti; ma anche i litigi nei reality o gli alterchi nelle trasmissioni politiche;  l’incertezza del domani, il Covid e tutto quello che gli si è creato attorno. 

Ma, se ci penso, anche il cartone di Biancaneve, del buon vecchio Walt Disney, conteneva un bel po’ di nutrimento per la nostra CPD. E anche i documentari, di cui sono sempre stata una fervida consumatrice, ultimamente puntano ad un sensazionalismo al negativo, dove lo squalo non è solo un pesce predatore, ma è un crudele e sanguinario assassino, il serpente è una terribile e feroce minaccia, il ragno è un implacabile killer dalla crudeltà premeditata.

E di cosa si nutre, invece, la CP sinistra? si nutre di bellezza, emozioni che espandono, gioia, gratitudine, immagini positive, presenza consapevole. Essendo meno “nutrita”, meno sollecitata, è un po’ come il bicipite di uno smilzo che non ha mai sollevato più di una borsina della spesa piena solo a metà.

Quando c’è da affrontare una qualsiasi situazione, quale delle due aree pensi che ti farà sentire maggiormente la sua forza? Sarà il bicipite di Schwazenegger o quello del nostro amico smilzo?

Esatto, ti sei risposta da sola. Il bicipite di Schwarzenegger. 

D’altra parte, il “bicipite sinistro” è talmente poco allenato e smilzo da venire sopraffatto e non riuscire a fare la sua parte. È come se non si aspettasse di essere interpellato (meno lo si usa, e meno si aspetta di esser chiamato in causa)  e le volte che interviene, il suo contributo viene sovrastato prepotentemente dal suo collega super allenato.

Andrà più o meno così: 

Ti si prospetta  la possibilità di un nuovo progetto di lavoro, quand’ecco sopraggiungere pensieri su tutti i rischi possibili e impossibili, su tutte le cose che sono andate storte in passato e su tutte quelle che sicuramente andrebbero storte in futuro; ecco nascere una sensazione di paura e preoccupazione, che ti fa desistere, o ti fa partire prevenuto e pronto alla profezia auto-avverante.

Sei in un momento di relax. La tua mente vaga finché, ad un certo punto, ti porta a focalizzarti sullo sgarbo che ti ha fatto quella collega, su quanto sia ingiusto il tuo capo/socio/vicino di casa, fino a farti concentrare su tutti gli aspetti negativi della tua vita.

Stai vivendo un problema reale (di lavoro, relazionale o di salute) e un po’ alla volta diventa pervasivo, offuscando qualsiasi altro aspetto della tua vita, occultando alla tua consapevolezza ogni aspetto positivo che sia comunque presente nella tua vita, probabilmente in percentuale notevolmente maggiore.

Questi erano alcuni casi di “corteccia prefrontale destra al lavoro”.

Perché è necessario allenare la felicità?

Tutto questo si può sovvertire, in due modi:

1- riducendo gli stimoli alla CP Destra, diventando consapevole di quali siano e non facendo inutili scorpacciate di negatività (parzialmente in tuo potere)
2- allenando la CP Sinistra (totalmente in tuo potere)

Ecco cinque cose che puoi fare da subito per allenare la tua CP Sinistra (e di conseguenza il tuo stato di benessere):

  1. durante la giornata, cogliere gli aspetti positivi di una situazione, di un luogo, di una persona
  2. dare un feedback positivo e sincero a un amico, un collega di lavoro, un collaboratore o una persona amata
  3. fare dei piccoli atti di gentilezza gratuita, come cedere il biglietto del parcheggio a uno sconosciuto con ancora di tempo, lasciare un “caffè sospeso” anonimo, lasciar passare qualcuno ad un incrocio
  4. notare la bellezza ovunque intorno a te
  5. a fine giornata, scrivere 3 cose per cui essere grata (e trovarle anche nelle giornate peggiori) (ti invito a creare una stories di Instagram, taggarmi @gina.abate.coaching e mettere l’hashtag #lagioiadelgiorno . Sarò felice di condividerla nelle mie stories)

E se vuoi allenarti davvero, ho creato un percorso fatto apposta per questo.

Nel mio corso Le pratiche della Felicità andiamo proprio ad allenare e fortificare la corteccia prefrontale sinistra e a spegnere l’eccesso di attività in quella destra. 

Fortificare “l’area dell’illuminazione” ci rende più felici e capaci di apprezzare, più capaci di notare e cogliere opportunità, più inclini ad ascoltarci e fare scelte adatte a noi.

Ti piacerebbe entrare nel percorso e allenarti alla felicità? Puoi! Clicca qui e iscriviti oggi!

Perché la felicità è una nostra responsabilità

Perché la felicità è una nostra responsabilità

e come possiamo lavorare per crearla 

Cos’è questa felicità di cui parlo tanto? Non si tratta di un ottimismo che ignora il buon senso, una gioia perfetta h24 o correre in giro con un sorriso a 32 denti. 

La felicità è una cosa seria 😉 

È uno qualcosa di concreto, un solido stato di benessere che tutti noi possiamo allenare. Come la forma fisica.

Questo non è di certo uno dei periodi più spensierati della storia, come certamente sai, e parlare di Felicità può sembrare frivolo o superfluo, perché ci sono cose più serie e gravi a cui pensare.

Ma se lavorare alla felicità ci rendesse concretamente più capaci, più adatti a superare anche questo momento, se ci rendesse più creativi e coraggiosi, più concentrati ed efficaci, allora non sarebbe questa la priorità?

Lasciarsi contagiare dalla negatività, dalle legittime preoccupazioni, dalla frustrazione, rabbia, tristezza o pessimismo è tutto sommato facile:  se non stiamo attenti, avviene senza che tu debba fare niente. 

L’altra opzione, invece, è quella di assumersi la responsabilità di come ti senti e investire un po’ di tempo nella creazione e nella condivisione.

È da questa presa di responsabilità e dalla domanda “cosa posso fare io?”  che è nata in me l’idea, all’inizio del lockdown, di creare il percorso gratuito che si è da poco concluso su Le pratiche della felicità

E a posteriori posso confermare che è stata una delle idee più belle e gratificanti che ho avuto negli ultimi tempi , in quanto ci siamo trovati in tantissimi (in realtà quasi tutte donne) a fare pratica di felicità.

Infatti la felicità per me va allenata, non ricercata. 

Ora ti voglio raccontare qualcosa che forse ha contribuito a rafforzare l’equivoco riguardo alla “ricerca” della felicità

Nel 1776 Thomas Jefferson ha redatto la Dichiarazione di Indipendenza in cui, tra le altre cose, veniva riconosciuto a tutti gli americani il diritto a “The pursuit of Happiness” interpretato e tradotto appunto come “ricerca” della Felicità.

Probabilmente avrai visto anche il celebre (e bellissimo!) film con Will Smith dal titolo omonimo.

Pochi sanno però che a quel tempo il verbo to pursue significava “praticare un’attività, farla regolarmente, renderla un’abitudine”.

SBAM! Quando l’ho letto per la prima volta è stata un’ulteriore conferma per me, di quanto la felicità sia una competenza che possiamo allenare. 

Ed è tutta nelle nostre mani.

Ricercarla genera frustrazione, perché porta a rincorrere obbiettivi e ideali spesso stereotipati. Se, invece, alleni il tuo corpo e la tua mente a creare il tuo naturale stato di benessere, riuscirai a provare la felicità reale, concreta, fatta su misura per te. 

E da lì sarà anche più facile comprendere quali “battaglie” intraprendere, e quali invece vorrai lasciar perdere perché non ti corrispondono.

Essere felici comporta innumerevoli benefici, come:

  • prendere decisioni che si riveleranno più giuste e allineate con noi
  • avere relazioni personali  e lavorative migliori
  • portare avanti le proprie azioni con maggiore efficacia
  • provare emozioni più funzionali alle varie situazioni
  • attutire i momenti down con maggiore consapevolezza
  • avere a disposizione tutta la nostra creatività (che sotto stress non è disponibile)
  • portare maggior equilibrio al nostro organismo, a vantaggio della nostra salute  
  • il nostro corpo rifletterà il nostro stato mentale: saremo più belle e giovani! (ce lo conferma la scienza)

Durante il corso online, durato ben 6 settimane, abbiamo toccato diversi aspetti:

  • abbiamo esplorato i fondamenti scientifici della felicità, gli effetti dello stress sul corpo e sulle capacità cognitive e relazionali,  i benefici dello stato di benessere;
  • abbiamo imparato a rallentare e ri-equilibrare corpo e mente in 3 minuti;
  • abbiamo sperimentato l’effetto energizzante o calmante del respiro;  
  • abbiamo praticato tecniche come l’Equilibrio Emozionale, il Switching, il Radicamento, Il Comando Theta, la tecnica di Coerenza Cardiaca Veloce e molte altre;
  • abbiamo sperimentato quanto la Felicità possa essere creata e allenata non solo per stare meglio, ma per essere decisamente più efficaci nella vita.

La grande ondata di energia scatenata da questa serie di incontri mi ha fatto capire quanto per me fosse importante inserire un nuovo corso, all’interno dei miei percorsi, che faccia della felicità una priorità e possa aiutare le persone a prendersi questa responsabilità e innalzare stabilmente il proprio “punto chiave” della felicità.

Il nuovo percorso che ho ideato si chiama Le pratiche della felicità Intensive Circle: clicca qui per avere tutte le informazioni!

Un abbraccio, 

Gina

Comunicazione empatica: scegli la sedia giusta e migliora la qualità delle tue relazioni

Comunicazione empatica: scegli la sedia giusta e migliora la qualità delle tue relazioni

Cosa sta alla base della comunicazione empatica? Impariamo la tecnica delle 5 sedie, per comunicare con maggiore consapevolezza. 

Avere relazioni di qualità sembra essere una delle risorse essenziali per vivere una vita felice, e ricca di significato, come risulta dalla ricerca sulla felicità più lunga della storia (Harvard, 1938- 2013). Eppure le nostre sofferenze più frequenti derivano proprio dal “non capirsi”, dai litigi, dalle discussioni che quotidianamente abbiamo proprio con le persone a noi più vicine, a casa, con gli amici e al lavoro. Com’è possibile?

Marshall Rosenberg, padre della comunicazione non-violenta, ci ha trasmesso l’idea che il nostro modo di comunicare “violento” (ricco cioè di critiche, giudizi e manipolazioni) è qualcosa di appreso, mentre l’Empatia è qualcosa di innato, che però perdiamo crescendo, imitando i modelli comunicativi che registriamo intorno a noi. Serve quindi recuperarla, per comunicare mantenendo il contatto con noi stesse e con gli altri, osservando senza giudicare, individuando emozioni e bisogni, e facendo le richieste necessarie.

Non so quale sia la tua esperienza in merito, ma a me capita a volte di scivolare inconsapevolmente in una battaglia su chi ha più ragione, magari con il mio compagno (eh già… lui è proprio la mia palestra più grande 😉 ) E allora ecco che mi fermo, faccio un passo indietro e utilizzo quello che so. Quello che sto per condividere con te in questo articolo è proprio uno dei metodi che mi viene maggiormente in aiuto…

Le 5 sedie per imparare la comunicazione empatica

Una delle metodologie che trovo essere più utili quando si tratta di comunicazione empatica e modulazione del nostro comportamento “sotto pressione” è la tecnica delle 5 sedie di Louise Evans, che lei stessa descrive nel suo intervento al Tedx di Genova. Questa metodologia ti aiuterà a rallentare e capire quale tipo di comunicazione e di comportamento stai attuando in ogni situazione. 

Se mi conosci un po’ sai quanto io ami la Natura: sarà anche per questo che trovo simpatica, oltre che efficace, questa metodologia: i protagonisti sono 5 animali, che con le loro caratteristiche ti aiuteranno ad osservare il tuo comportamento e magari sceglierne gradatamente uno più funzionale. Ma vediamoli!

La teoria della comunicazione empatica: ad ogni animale la sua sedia

Immagina di avere cinque sedie in fila, di 5 colori diversi e ognuna collegata ad un animale. Immagina di capire dove ti trovi in ogni situazione “difficile” tra te e qualcun altro e tieni presente che più ti sposti verso la sedia numero 5, più abile sarai diventata e meglio sarà per le tue relazioni.

SEDIA ROSSA – LO SCIACALLO


Lo sciacallo è un animale molto furbo, opportunista, un animale che attacca. In termini comunicativi, quando sei su questa sedia fai il gioco del “ho ragione io”. Se noi abbiamo ragione, questo implica che dall’altra parte qualcuno deve avere per forza torto e questo non facilita sicuramente le relazioni. É più importante per noi avere ragione o preservare e magari rafforzare la relazione con questa persona? Ricorda sempre che avere ragione non serve a niente. Se non a rimanere uguali a se stessi.

SEDIA GIALLA – IL PORCOSPINO

Il porcospino è un animale che si sente molto vulnerabile e quando avverte un pericolo o c’è qualcosa che lo spaventa, si appallottola su se stesso per proteggersi. Questa è una sedia di dubbio, di critica e giudizi verso noi stesse , di insicurezza. Qui è come se ricercassi  quello che ci potrebbe essere di sbagliato te e nelle tue azioni, con la certezza di trovarlo. Quando siamo sulla sedia del porcospino è come se riversassimo tutti gli attacchi dello sciacallo verso noi stesse. E anche qui non si sta per niente bene.

SEDIA VERDE – IL SURICATO

Hai presente il suricato? Quel simpatico animaletto di nome Timòn che nel Re Leone canta Hakuna Matata insieme al Facocero Pumba? Bene, Walt Disney a parte, il suricato è un animaletto che quando è “di guardia” è capace di stare in piedi per delle ore sulle zampare posteriori e, allungandosi il più possibile, osservare cosa succede tutt’intorno. É un animaletto molto molto vigile, capace di stare ore fermo immobile a non far nulla, limitandosi ad osservare. Questa è la sedia in cui siamo vigili, siamo delle sentinelle, siamo in pausa, attendiamo. È la sedia della consapevolezza. Ci interroghiamo su quello che pensiamo, su quello che diciamo. È una sedia in cui diventiamo curiose anziché giudicanti. Questa è la sedia da dove scegliamo da che parte andare: direzione sciacallo e direzione giraffa? 

SEDIA AZZURRA – IL DELFINO

Il delfino è un animale super intelligente, curioso, socievole, ama giocare, ma soprattutto è dotato di un radar molto particolare, detto “sonar”, che gli permette di emettere dei suoni impercettibili all’uomo che, rimbalzando suoi ostacoli circostanti, gli forniscono una mappa dettagliata di tutto ciò che lo circonda. Quella del delfino sarà perciò la sedia dell’introspezione e dell’indagine. Per questa sedia è calzante il pensiero di Aristotele “Conoscere te stesso è l’inizio di tutta la saggezza”. Qui indaghiamo dentro di noi, siamo molto consapevoli di noi stesse, riconosciamo quali sono i nostri bisogni, i nostri valori, i nostri confini con chiarezza. È una sedia potente, in cui ci riprendiamo il nostro potere e riusciamo a mettere i nostri paletti in modo assertivo  e mai aggressivo.

SEDIA VIOLA – LA GIRAFFA

La giraffa è l’animale che ha il cuore tra i più grandi e potenti di tutti gli animali terrestri, ed ha anche il collo più lungo, che le permette di guardare le cose da una prospettiva molto più ampia rispetto a qualsiasi altro animale non volatile. In questa sedia noi siamo consapevoli dei nostri bisogni ma siamo attente anche ai bisogni dell’altra persona. Siamo empatiche, amorevoli. Iniziamo a chiederci cosa sta provando l’altra persona, cosa sta succedendo dentro di lei, di che cosa ha bisogno. Qui non ci importa di avere ragione, ci caliamo nei panni degli altri, cerchiamo di comprenderli e di vedere tutto con una visione più ampia. Diventiamo comprensive e accettiamo la diversità.  É una sedia in cui manteniamo la connessione con l’altra persona, qualsiasi cosa accada, anche se siamo in disaccordo e anche se dal confronto dovesse risultare di prendere due strade diverse.

Ma vediamo un esempio concreto.

Proviamo a immaginare una situazione reale e, in seguito, vediamo che tipo di risposta potremmo adottare spostandoci di sedia in sedia. 

SITUAZIONE: Stai passeggiando per la città e incroci un’ex collega che non vedi e non senti da un po’ di tempo e con la quale eravate molto legate. Ti sembra di notare che è sfuggente, che nel suo atteggiamento c’è qualcosa di diverso dal solito.

COMUNICAZIONE EMPATICA – COME RISPONDERE, SPOSTANDOTI DA UNA SEDIA ALL’ALTRA:

  1. SCIACALLO – Attacchiamo l’amica. «Ehi, ma buongiorno!! Tutto bene sì?! ti ho chiamato tre volte e tu non rispondi? Sono mesi che non ti fai viva!». Potremmo anche non attaccare verbalmente, ma farlo con uno sguardo di sospetto o di giudizio, o con un tono di voce velatamente accusatorio. Insomma, il sottofondo qui è che noi siamo la parte lesa e lei si è comportata male.
  2. PORCOSPINO – La salutiamo velocemente, magari risultando sfuggenti noi, perché siamo impegnate a rimuginare, mettendoci in una condizione di colpevole vittimismo. “Chissà cosa ho fatto, come mai non si è fatta viva con me, le avrò fatto qualcosa? Sarà per quella volta che le ho fatto una battuta e lei c’è rimasta male… Eh sì, sicuro ce l’ha con me. O magari crede ancora che io abbia parlato male di lei con il capo…”  Insomma, qui la ricerca dell’errore, della “colpa” è su di noi.
  3. SURICATO – Qui ci mettiamo in pausa e osserviamo cosa accade. É uno spartiacque, è la sedia “sliding doors” : da un lato le ragioni dell’ego con le sue ferite e i suoi giudizi, dall’altra l’Empatia, per noi stesse e per gli altri.  Nel caso della nostra ex collega quindi, la osserviamo, ci osserviamo, e ci chiediamo che cosa sta veramente succedendo. Sospendiamo ogni giudizio. 
  4. DELFINO – In questa postazione non “facciamo”molto in realtà, ma raccogliamo segnali, proviamo un’apertura di cuore verso noi stesse e verso di lei, cerchiamo di stare in contatto per comprendere e valutare il da farsi.  Questo potrebbe risultare nel chiederti “Ok, vorrei riuscire a rientrare in contatto con lei, ci tengo ad essere sua amica. Voglio che le stia bene, però voglio stare bene anche io. Di cosa ho bisogno? Quale potrebbe essere una strada buona per entrambe?” 
  5. GIRAFFA – Nei confronti dell’amica ti chiederesti: “Di che cosa ha bisogno LEI? Che cosa sta succedendo? Come posso aiutarla? Cos’è importante per lei?”.  Anche se quello che è importante per lei non coincide con ciò che importante per te ci sarà sempre apertura. È comprendere e accettare la diversità. Magari in un prossimo articolo andremo in maggiore profondità con la comunicazione empatica, ma ti assicuro che se ti alleni su questi passaggi vedrai accadere “miracoli”! 🙂 

Facile? No. Possibile? Certamente.

A volte è difficile rinunciare al gioco di io ho ragione o di rinunciare al ruolo della vittima. Se restiamo in questi due ruoli non “vinciamo”. Avere ragione, imporsi sull’altro non rappresenta la vittoria, perché la vera vittoria è, invece, avere buone relazioni basate sull’ascolto autentico e, per farlo, è necessario scegliere bene la nostra sedia!

Un abbraccio, 

Gina

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