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Pianificare o non pianificare…? Il dilemma dell’obiettivo

Pianificare o non pianificare…? Il dilemma dell’obiettivo

Che tu sia una pianificatrice seriale oppure un’anima ribelle, quando si arriva alla fine dell’anno è inevitabile porsi alcune domande.

Pianificare o non pianificare...? questo è il dilemma

La fine dell’anno contiene un’energia speciale. È un momento di passaggio, è l’opportunità perfetta per fare il punto della situazione, per fare un bilancio dei 12 mesi passati e per focalizzarsi su qualcosa di importante, di desiderato o di necessario da concretizzare.

In questa occasione, in passato, mi sono sempre sentita tirare da due parti opposte: 

  • da un lato il bisogno di riflettere, fare una valutazione onesta e sincera delle mie soddisfazioni e di tutto quello che invece non era ancora espresso, manifesto, fluido, a cui seguiva la stesura di un elenco di desideri e progetti da realizzare in ogni area della mia vita;
  • dall’altro il mio bisogno di improvvisare, di fluire con la vita, di fare le cose in base al mio sentire, spesso trasgredendo i miei stessi intenti e abbandonando, di fatto, buona parte dei “buoni propositi” che avevo espresso l’anno prima, forse sovrastimando la mia costanza e il mio rigore.

 

Per anni, quindi, è andata avanti in questo modo: introspezione, analisi, comprensioni, definizione di nuovi obiettivi, piano d’azione… e poi a febbraio tutto finiva sepolto sotto altri quaderni, fogli, raccoglitori di progetti e nuovi desideri.

 

Non proprio un successone, insomma.

 

Ho seguito molti programmi diversi che promettevano “l’anno migliore di sempre”, ma nessuno parlava veramente la mia lingua e nessuno mi permetteva di far convivere queste due necessità: quella di fare dei piani, e quella di ascoltarmi e creare nel momento.

 

Come fare per pianificare qualcosa di importante, ma senza rimanere attaccata alla necessità di raggiungere obiettivi?

Come essere certa di fissare dei traguardi che siano veramente miei e che mi dia gioia perseguire, a prescindere se ci arriverò o meno?

Ma soprattutto, come assicurarmi di progettare un anno in cui le mie vere priorità, i miei valori più profondi e il mio benessere vengano rispettati?

 

Queste erano le domande a cui cercavo una risposta. Ma soprattutto:

 

Come creare un anno ricco di significato che mi porti sempre più nella MIA direzione?

 

Gli obiettivi sono sopravvalutati

Quello che cerco di trasferire alle mie e ai miei clienti, è che spesso tendiamo a diventare dei “servi” dell’obiettivo, ci sbattiamo un sacco e lavoriamo per lui come fosse il nostro “padrone”. 

Ti sembra che esageri?

Ho visto persone diventare pazze e rimetterci la salute per acquistare una certa casa, altre esaurirsi completamente per un avanzamento di carriera o un ruolo prestigioso, altre ancora sacrificare tutto il proprio tempo e trascurare se stessi e i propri affetti in virtù di un risultato economico. Ora comprendi a cosa mi riferisco?

 

Non sarà mai un obiettivo raggiunto a donarci stabilmente quella felicità e soddisfazione che cerchiamo. Pensaci. Hai mai desiderato tagliare un traguardo a cui attribuivi un grande potere di renderti felice, di raggiungerlo, gioire per un po’ salvo poi ritornare ben presto allo stesso esatto livello di soddisfazione che avevi prima? 

È solo questione di tempo, ma è così.

 

La vita è molto più che raggiungere obiettivi.

Ma allora stai forse dicendo che non vale la pena impegnarsi in niente? Raggiungere nessun obiettivo?

 

Certo che NON sto dicendo questo. Dico piuttosto che i nostri obiettivi devono essere al servizio del nostro benessere e della nostra felicità, devono armonizzarsi con loro, ed è un errore considerarli un mezzo che ci porterà finalmente quella felicità.

 

Se abbiamo chiaro questo principio, possiamo sbizzarrirci, possiamo lasciar andare la fantasia, possiamo scegliere dei goal grandi o piccoli, facili o sfidanti- ben sapendo che saranno comunque dei pretesti per esprimere sempre più ciò che siamo, per allenare il nostro impegno e la nostra resilienza, per liberare la nostra inventiva e creatività, per sviluppare le nostre caratteristiche inespresse o sopite. Non saranno la misura del nostro valore, né saranno la misura della nostra felicità: saranno degli alleati per la nostra crescita e realizzazione.

 

Obiettivo: da ambito traguardo ad alleato

Se iniziamo a considerare l’obiettivo come un alleato, cambia la prospettiva. 

Il modo in cui ci muoviamo verso di esso, le paure che ci attiva, le emozioni che suscita in noi, le strategie che mettiamo in atto per avvicinarci a lui e quelle che mettiamo in atto per sabotarci, ci forniscono informazioni importantissime su di noi, e ci offrono la possibilità di crescere, guarire, evolvere.

 

Un obiettivo è un alleato se si trova sulla nostra direzione, se ci impegna senza farci vivere costantemente nello sforzo, se contribuisce a un maggior benessere in ogni ambito della nostra vita.

Se invece ci snatura o ci chiede energie che vanno a scapito del nostro benessere e delle altre aree della nostra vita, nella mia ottica diventa un nemico della nostra felicità.

 

Riflessioni per un anno pieno di significato

Per creare un anno significativo, di realizzazione e di benessere, ecco quindi alcuni spunti che potranno aiutarti a puntare il tuo GPS in una direzione felice e  nel pieno rispetto di te stessa:

  •     Dai un’occhiata ai 12 mesi appena trascorsi e recupera tutto ciò di cui puoi essere soddisfatta e grata.
  •     Fai una valutazione di cosa non sei riuscita a portare avanti o a raggiungere, comprendine le cause, e valuta se è qualcosa che vuoi ancora realizzare.
  •     Stabilisci quali sono i valori non negoziabili per l’anno in entrata, e in che modo vuoi viverli concretamente nelle tue giornate.
  •     Fai un elenco di desideri senza censura e successivamente individuane da 5 a 10 a cui scegli di dedicare tempo ed energie nel prossimo anno
  •     Fai un check di tutte le aree della tua vita e valuta quali sono le priorità che necessitano di essere portate avanti
  •     Infine, per un pizzico di magia, scegli un risultato o progetto che risponda alla domanda: “Cosa sarebbe incredibilmente meraviglioso realizzare quest’anno?” e lancia l’intento di poterlo vivere.

 

Se poi al tuo 2023, vuoi davvero dedicare attenzione, cura ed energia, puoi decidere di pianifi-CREARE il nuovo anno, unendoti al percorso Crea il tuo anno – a partire da Te.

 

È un percorso bellissimo e davvero ricco, tiene conto di tutto ciò di cui ti ho parlato in questo articolo – e molto di più!- ed ha già accompagnato moltissime donne a creare la mappa dei propri desideri e alla realizzazione di splendidi progetti.

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A partire da te

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Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Autostima e altri miti. Scopriamo come difendersi dai luoghi comuni della crescita personale.

Dove vai, se l'autostima non ce l'hai...

Se vuoi puoi!

Devi crederci!

Devi uscire dalla tua zona di comfort!

Ma soprattutto…”Devi avere più autostima!”

e se non fai tutto questo, la peste ti colga!

Se mi conosci o hai già letto qualche altro mio post, sai che mi piace sottolineare quanto mi senta lontana da molti dei luoghi comuni della crescita personale e di un certo tipo di formazione  e di quanto possa essere dannoso prendere queste incitazioni per oro colato.

 

Ma vediamo alcuni luoghi comuni…

 

1) Se vuoi puoi

Gemella eterozigota di Volere è potere

Volere non è potere. Volere è volere. 

Certamente è la miccia per poter iniziare a fare qualcosa. Ma non è certo garanzia di successo.

Ti è mai capitato di volere più denaro, una salute migliore, un lavoro più gratificante o una relazione più appagante? O magari semplicemente meno cellulite, più capelli, meno chili (per non parlare degli anni).

Eppure, sono certa lo avrai constatato anche tu, che il volere queste cose non ti ha anche reso/a automaticamente capace di ottenerle.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione positiva di questa affermazione è darti una sorta di sveglia, una cosa del tipo : “ehi, se fino ad oggi pensavi che alcune cose fossero fuori dalla tua portata, forse potresti scoprire che non tutte lo sono.” Difatti, se qualcosa è nei tuoi desideri e nelle tue corde e sei disposto/a ad impegnarti, sicuramente potrai fare dei grandissimi passi avanti! Non è detto che centrerai il bersaglio (e non è quella la cosa più importante), ma sicuramente scoprirai nuove cose su di te e qualcosa di buono ti porterà.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Quando credi a questa affermazione, il tuo focus è sul volere. Perciò se ti trovi a mancare uno dei tuoi obiettivi o propositi, ti viene detto – o dici a te stessa/o- che “non lo volevi abbastanza”. Ma quanto cacchio la dovresti volere una cosa?

Forse il problema non è quanto la vuoi, ma sta da tutt’altra parte, e concentrarti per volerla 10 volte di più non ti servirà a nulla.

Le persone vogliono quello che vogliono, tu e io comprese

Il punto è scegliere, decidere e impegnarsi. Non conosco nessuno che, impegnandosi, non abbia fatto dei progressi significativi in qualcosa.

Quindi se vuoi partecipare a Sanremo come cantante, cosa che oggi peraltro non dice nulla sulla tua bravura, non è detto che potrai farlo. Ma sicuramente impegnandoti e allenando le tue capacità canore, le migliorerai. That’s it!

 

 

2) Devi crederci

…è come quando diciamo a qualcuno “ti devi fidare”.



O credi, o non credi. O ti fidi, o non ti fidi.

Certo puoi cambiare idea sulle cose, puoi acquisire nuove informazioni, puoi vedere la situazione sotto altri punti di vista, puoi iniziare a credere qualcosa di diverso. Ma l’esortazione “devi crederci” quando non riesci a crederci, non farà altro che aumentare la tua frustrazione.

 

L’intenzione positiva 

Cosa c’è di vero, qual è l’intenzione positiva di questa frase?

Che se non credi possibile qualcosa per te, probabilmente non farai le azioni che ti portano a quel risultato. Che c’è una relazione tra ciò che credi e pensi, come ti senti, e come ti comporti. Che se non sei soddisfatto di come ti comporti o dei risultati che hai, sarà utile diventare consapevole di quelle che sono le tue convinzioni e credenze.

Ma l’esortazione “devi crederci” somiglia molto a “sii spontanea!” Forzarsi a credere non è credere, come forzarsi di essere spontanei non corrisponde a esserlo.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Succede che, anche qui, la tua attenzione e i tuoi sforzi saranno sul credere, come se mettendoti nella posa di Hulk e digrignando i denti tu potessi aumentare esponenzialmente il potere di credere nelle tue capacità o nel fatto che un evento si possa verificare.

Suggerirei piuttosto di accorgerti che sì, quello che crediamo o non crediamo vero o possibile influenza le nostre percezioni, le nostre scelte e quindi la nostra vita. E quindi sarà un lavoro importante accorgerti di quali siano le convinzioni che sostengono il tuo benessere e la buona riuscita dei tuoi progetti, e quali invece li ostacolano. E da lì si può iniziare a lavorarci. No, non con la posa di Hulk. 😉 

 

3) La zona di comfort

Per quanto riguarda la famigerata zona di comfort, devi sapere che qualsiasi impresa, dalla più piccola alla più grande, non è stata compiuta “fuori dalla zona di comfort” di chi l’ha portata avanti, ma “in comfort”. Il nostro cervello non vuole stare scomodo, vuole lavorare risparmiando energia, perciò il meta messaggio che ti dice che per combinare qualcosa devi necessariamente soffrire, non dice il vero. Infatti,  il nostro cervello cercherà sempre di evitarci quella sofferenza, facendoci così rimanere fermi ai blocchi di partenza o portandoci a qualche auto-sabotaggio lungo la strada.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione buona è quella di farti capire che se la tua zona di comfort è il divano di casa tua, sarà difficile (anche se non impossibile) fare grandi cose da lì. 

Di vero c’è che se facciamo sempre le stesse cose, che ci sono comode, familiari, abituali, ci perdiamo un mondo di altre possibilità

Di vero c’è pure che una vita guidata solo dalla sicurezza e dall’evitamento di qualsiasi rischio, probabilmente è ben poca vita.

 

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Succede che la vita diventa una guerra, le imprese diventano battaglie, gli altri- ma soprattutto i tuoi attuali limiti, divengono dei nemici da annientare. Ma secondo te, se fai la guerra a delle parti di te, potrai mai vincere? No, perché una guerra implica danni e vittime, e se l’avversario è una parte di te, avrai comunque perso. Succede che te ne vai in giro come i “soldati fantasma giapponesi” che, anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, continuavano a stare rifugiati nella jungla armati fino ai denti, rifiutandosi di arrendersi. Succede che non ti godi il viaggio, ma soffri finché non arrivi all’obiettivo. E se non arrivi? Indovina.

 

Quindi

Quello che dobbiamo capire è che, per darci maggiori possibilità e se vogliamo aumentare le nostre probabilità di successo nel lungo periodo, la nostra zona di confort va allargata, arricchita, espansa, con rispetto, coraggio e amorevolezza. Non dobbiamo vivere fuori dalla zona di confort, ma piuttosto ampliarla per avere una vita più ricca e piena, se è questo che desideriamo.

Dobbiamo rendere familiare, facile, normale quello che non lo era, e non fare la guerra a noi stessi pensando di poter stare perennemente scomodi.

 

Per un triatleta quegli sforzi sono la sua zona di comfort. Non la tua, o la mia. Ma la sua sì.

Per un imprenditore seriale, intraprendere è la sua zona di comfort.

Per un fannullone incallito, la sua zona di comfort è il divano, o il bar.

 

Perciò avrebbe più senso dire:

“Scegli con cura la tua zona di comfort perché le tue azioni origineranno da lì”

E se è importante sapere che quando ti approcci a qualcosa di nuovo sentire un po’ di attrito farà parte del processo, è anche cruciale ricordare che andare contro la tua natura non ti renderà più efficace, e nemmeno più felice.

 

 

4) Devi avere più autostima

La definizione di autostima è “la distanza tra il sé percepito e quello ideale” ovvero tra come pensi di essere e come desideri essere. Io però credo che sia più corretto definirla come la distanza tra quello che pensi di essere e quello che pensi di dover essere.



“Dover essere”, non senti anche tu come puzza di fregatura?

Eppure basta guardare qualsiasi spot pubblicitario per capire che come sei non vai bene, e che dovresti sempre essere in qualche altro modo (normalmente grazie al loro prodotto!). Inadeguatezza vendesi. Anzi, regalasi!

Stimare significa misurare, il che già ci mette davanti all’assurdo compito di misurare il valore di un essere umano.

Quindi la mia auto-stima è la misura che faccio di me stessa/o in base a quello che penso che dovrei essere, rispetto a quello che sono. Si salvi chi può. 😉

L’intenzione positiva

Immagino che l’intento “sano” che si nasconde in questa esortazione voglia metterci in guardia dal dis-amore per noi stessi, che voglia suggerirci di non parlare male di e a noi stessi, di non svalutarci perché da quello che crediamo di noi dipende ogni nostra scelta nonché la nostra auto-efficacia. Immagino che voglia stimolarci ad alzare lo sguardo e raddrizzare le spalle, e a pensare bene di noi stesse/i.

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Molto probabilmente inizierai a darti da fare per ottenere riconoscimenti esterni, da cui poi trarre la considerazione che darai a te stessa/o. 

Ti impegnerai a  percorrere in tempo, e con successo, tutte le tappe ritenute fondamentali per un individuo nel tuo contesto, ti prodigherai nel raggiungimento di risultati straordinari (come il numero di follower sui social) e finalmente sentirai che ottieni perciò vali.

Ed ecco che la tua autostima, come il prezzo del gas, potrà schizzare alle stelle.

Poco importa se sarai stremata/o e ti sentirai distante da te stessa/o.

Inoltre, la stima che traiamo dai nostri risultati è per sua natura fragile ed effimera perché i risultati, a differenza dell’impegno, non sono sotto il nostro controllo.

Siamo fuori pista, e per rientrarci dobbiamo capire la vera origine di quella sensazione che ricerchiamo tanto e a cui diamo il nome di autostima.

La vera origina risiede nel vivere coerentemente con i propri valori senza infrangerli, nell’avere la stessa faccia in pubblico e in privato, nell’ impegnarsi per ciò in cui si crede.

 

Perciò

Se “vuoi avere più autostima”, non indebitarti per comprare una macchina più grande, non ammazzarti di lavoro trascurando te stesso e la tua vita per fare una carriera supersonica, non andare in palestra per ostentare un fisico statuario, non cercare di “pomparti” e autoconvincerti recitando affermazioni allo specchio battendoti il petto come un gorilla maschio alfa.

Piuttosto, inizia a conoscerti. Inizia a chiederti cosa ami e cosa ti rende felice. Inizia a chiederti in che cosa credi e cosa ha valore per te.

E poi inizia ad andare in quella direzione, con coraggio e con tutta l’amorevolezza di cui sei capace.

Accetta i tuoi attuali limiti, le tue paure, le volte in cui non ce la fai, le volte in cui non ti piaci un granché, gli errori che farai. Sostieniti, incoraggiati, stai dalla tua parte.

 

Piuttosto che “devi avere più autostima”, ti direi “impara ad accettare e apprezzare quello che sei, con la fiducia che ogni giorno potrai crescere ed imparare”.

 

E se vuoi impegnarti con te stessa, per accettarti e apprezzarti maggiormente, alleggerisciti delle pressioni interne e esterne. Posso aiutarti con il mio percorso trasformativo:

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Pensa positivo! O no?

Pensa positivo! O no?

I falsi miti del pensiero positivo hanno procurato più danni che benefici. Scopriamo cosa c’è di buono da imparare, analizzando le parole di Louise Hay. 

pensiero positivo gina abate coaching

Mi è capitato spesso, quando le persone mi chiedono che lavoro faccio, che commentino più o meno con “Ah sì! Pensiero positivo… Motivazione… Autostima, quelle cose lì vero?”

Ti svelo due cose:

  1. io non motivo nessuno, perché ognuno ha da trovare le proprie ragioni e i propri motivi per passare all’azione (al massimo io l’aiuto a riconoscerli).
  2. l’autostima è qualcosa di molto importante e profonda, e spesso viene confusa con il guardarsi allo specchio e dirsi con aria agguerrita: “Io sono figa/o, io valgo, io posso fare tutto”, ed è qualcosa che non consiglierei a nessuno 😉 

Ora che mi sono liberata di questi sassolini nella scarpa, arriviamo al punto di cui voglio parlarti oggi: il Pensiero Positivo.

 

Più danni della grandine

 

A mio avviso il Pensiero Positivo ha fatto più danni della grandine. Certo, anche il “pensiero negativo” non scherza. Ma quindi? Cerchiamo di capire qual è l’intenzione buona e quali sono i fraintendimenti che permeano questo argomento.

 

Normalmente se ti dico “Pensa positivo” cosa ti viene in mente?

Forse per prima cosa la canzone di Jovanotti, ma subito dopo, con tutta probabilità, ti verranno in mente cose come “Andrà tutto bene” e l’ormai famoso bicchiere mezzo pieno.

 

Dove nasce tutto questo?

 

Nel 1984, in un periodo della mia vita in cui ero molto sofferente, mi capitò tra le mani il libro “Puoi guarire la tua vita” di Louise Hay, una delle madri del pensiero positivo.

 

La Hay era riuscita a guarire dal cancro trasformando i suoi pensieri, e voleva giustamente condividere con il mondo quello che aveva sperimentato sulla sua pelle.

 

Ricordo di aver divorato con entusiasmo quelle pagine perché quel libro mi confermava qualcosa che avevo sempre sentito essere vera. Parlo del collegamento tra i pensieri che abbiamo, la chimica che creiamo nel nostro corpo (che percepiamo sotto forma di emozioni e sensazioni) e la capacità della nostra mente e del nostro corpo di esprimere utilmente le sue potenzialità: guarire da una malattia, realizzare un progetto, creare una relazione felice o qualsiasi altra cosa.

 

Quello che è passato è invece, banalmente, “Pensa positivo e tutto andrà bene”. Cosa semplicemente non vera.

 

Il fraintendimento

Il messaggio superficiale che è arrivato fino a noi, è che se pensiamo che le cose andranno bene, lo faranno; che se pensiamo che guadagneremo un sacco di quattrini e troveremo il/la nostro/a partner ideale, succederà; che se pensiamo che la guerra finirà o che guariremo da una malattia, lo faremo accadere.

 

Io ci ho provato e non ha funzionato e probabilmente anche tu mi dirai la stessa cosa.

 

Se poi a questo aggiungiamo la Legge dell’Attrazione, che sembra dirci che se pensiamo intensamente ad un elefante mentre ce ne stiamo comodamente seduti in salotto, lo facciamo apparire hic et nunc, ecco che la frittata è fatta.

 

Gina, ma allora ci stai dicendo che quello che pensiamo non conta? che è inutile “pensare bene”?

 

Il tassello di un mosaico più grande

No, sto piuttosto dicendo che essere consapevoli che i nostri pensieri hanno un peso è solo un tassello di un mosaico ben più ampio e che, se non ce ne rendiamo incontro rischiamo tre conseguenze:

 

  1.  andiamo incontro a delusione certa
  2.  rischiamo di buttar via l’acqua con tutto il bambino, banalizzando e generalizzando con un pericoloso: “Queste cose non funzionano”
  3.  ci de-responsabilizziamo rispetto quello che possiamo veramente fare

 

Cosa c’è di vero?

Come ti dicevo, c’è di vero che i pensieri ai quali crediamo creano una certa chimica nel nostro corpo, generano emozioni. Determinati pensieri ed emozioni ci faranno propendere verso l’azione, altri invece verso il sentirci vittime impotenti, altri verso la ricerca di un colpevole, altre verso la commiserazione… e da lì scaturiranno i nostri comportamenti, le iniziative, le azioni, le interpretazioni che daremo a tutto ciò che accade. Creeremo così la nostra realtà (per la parte che ci compete)

 

Quindi certo, il pensiero crea. Ma per fortuna non basta il pensiero, né si materializza subito (se no saremmo tutti fottuti, non credi? 😉 ) 

 

Facciamo un esempio

 

Ricordo bene che Louise Hay nel libro diceva qualcosa come: “Quando usi bene la mente puoi anche mangiare cibo per gatti che starai bene”  

 

In un certo senso questa frase è vera, ma ti va di analizzarla con me?

 

  • “Quando usi bene la mente” = quando usi la mente in modo utile, funzionale, costruttivo, in modo che sostenga il tuo progetto o intento
  • “Usare bene la mente” significa anche provare l’emozione corrispondente a ciò che vuoi creare, significa cambiare percezione, vedere qualcosa che prima non vedevi, crederlo possibile.
  • “Puoi mangiare anche cibo per gatti” : sì, ma non in eterno. Di vero c’è che la mente è talmente potente che può creare le condizioni per il “successo” e la salute (e ahimè, anche per la malattia e l’insuccesso) nonostante le condizioni avverse. Ma a un certo punto bisognerà anche aiutarsi.

Ricordo bene infatti che Louise Hay, a un dato punto del suo viaggio personale, aveva rivoluzionato anche il suo modo di mangiare. Un maggior amore per se stessa, e il desiderio di vivere bene nel presente (e possibilmente anche in un radioso futuro) le avevano fatto ripulire frigo e dispensa da tutto il cibo spazzatura, le scatolette e i cibi conservati che normalmente teneva in casa.

 

Il pensiero costruttivo porta ad azioni costruttive

 

Ed è questa la parte che molti sembrano tralasciare.


Sono certa che quando Louise recitava le sue affermazioni, non stava recitando meccanicamente “Io sono sana” mentre in realtà era piena di paura e risentimento perché pensava “c’ho un cacchio di tumore, altroché”. 

Viveva con certezza la sensazione di essere guarita, il suo cervello era probabilmente in onde Theta, che sono quelle della creazione, della riprogrammazione dell’inconscio, che sono quelle della rigenerazione e guarigione e, per Jung, anche quelle dell’accesso all’infinito campo dell’inconscio collettivo con tutto il suo patrimonio di informazioni.

 

Stava liberando e attivando le infinite possibilità racchiuse nel suo corpo e nella sua mente.

 

E questo sì, è un potere a cui ognuno di noi può trovare accesso, con i giusti strumenti e le giuste pratiche..

Molto più di un semplice pensiero positivo, no?

 

Last but not least

 

Louise Hay era Louise Hay, e se da un lato ha voluto mostrare qualcosa che è potenzialmente possibile per ogni essere umano, ci ha anche mostrato che lei ha seguito la sua strada, ha creato il suo modo, ha seguito e trasformato ciò che sentiva giusto nel profondo.

 

Forse è proprio questo il suo messaggio, e il messaggio di tutti gli uomini e donne che hanno eccelso in qualcosa: fate come me non significa fate le stesse cose che ho fatto io, ma fate anche voi le cose che sentite giuste e vere nel profondo, dopo aver fatto pulizia di ciò che non siete voi.

 

E questo, credo, è il messaggio più importante.

 

Fare ordine dentro di sé, ascoltarsi, alleggerirsi e allinearsi con ciò che vogliamo creare sono passaggi importanti per ogni nostra realizzazione. Per questo sono diventati i punti cardine di uno dei miei percorsi trasformativi di gruppo:

 

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Ottimismo: falsi miti, buone pratiche possibili (e perché ci dovrebbe importare)

Ottimismo: falsi miti, buone pratiche possibili (e perché ci dovrebbe importare)

Se ti chiedo di pensare a un ottimista, come te lo raffiguri?

A volte si tende a pensare, erroneamente, che l’ottimista sia una persona un po’ ingenua, che vede tutto attraverso lenti colorate. Quello che dice “andrà tutto bene” e si limita a sperarlo. Quello che nel vedere il bicchiere mezzo pieno non considera che comunque è anche mezzo vuoto. O quello che precipitando da un grattacielo, ad ogni piano dice “fin qui tutto bene” ma si sta inevitabilmente schiantando a terra. 

Insomma, una specie di fatalista positivo che però non attiva alcun tipo di energia emozionale, mentale o fisica per uscire dalle difficoltà e dar forma al suo destino.

Come hai capito, questa è una rappresentazione sbagliata e non è quella a cui mi riferisco quando dico che l’ottimismo ha molti vantaggi.

Cosa intendo con ottimismo?

Martin Seligman, uno dei padri della Psicologia Positiva, studiando l’incapacità appresa si accorse che alcune persone nelle stesse situazioni non si arrendevano facilmente, e altre ancora non si arrendevano mai. 
Cos’è l’incapacità appresa? Quell’impotenza che si sviluppa quando gli esseri umani, così come gli animali, vengono sottoposti a stimoli stressogeni ai quali non possono sottrarsi e sui quali non possono avere alcun controllo.

Allora volle approfondire gli schemi mentali e le inclinazioni di questi soggetti più resilienti, approdando così a individuare gli stili cognitivi che caratterizzano pessimisti e ottimisti.

Ecco, secondo Seligman, cosa caratterizza un ottimista:

  • È una persona che tende a focalizzarsi sulle possibilità anche in presenza di problemi.
  • Tende a pensare a sé stesso come a una persona in grado di incidere sulle situazioni, di influenzare e guidare le persone, di realizzare e di raggiungere obiettivi.
  • Si vede come parte attiva nei suoi successi, non li ritiene frutto del caso, della fortuna o dell’incapacità altrui.

Inoltre, contrariamente a quanto si crede, l’ottimismo non è una caratteristica innata, ma piuttosto di una disposizione appresa: ovvero si può imparare. 

Ma perché dovremmo farlo?

Molti studi dimostrano che chi è ottimista:

  • Gode di una salute migliore.
  • Vive mediamente più a lungo.
  • Gode di relazioni più soddisfacenti (anche con se stesso).
  • Ha una maggior capacità di realizzarsi e realizzare.

L’ottimista legge i successi come personali, generali e permanenti, frutto del proprio impegno e delle proprie capacità, mentre giudica gli insuccessi come “incidenti di percorso” e interpreta queste circostanze come impermanenti, occasionali e circoscritte.

Pessimisti vs ottimisti

Una persona con un atteggiamento tendenzialmente pessimista nutre forti dubbi sulla possibilità di influenzare la realtà: questo tende ad accrescere il suo senso di impotenza, rassegnazione e autocommiserazione, e crea uno stato vitale scarsamente energetico. 

Al contrario, chi ha un atteggiamento ottimista crede di poter essere l’artefice dei suoi successi: questo gli fa porre l’attenzione su tutti quei dettagli e indizi che possono confermare e rafforzare questa idea. In questo modo rinforza la stima di sé,  le convinzioni potenzianti sulle proprie capacità e la fiducia in generale.

Insomma, è un ciclo virtuoso che si auto-alimenta.

Ed è per questo che imparare ad essere ottimisti è estremamente vantaggioso.

Ecco alcuni passaggi grazie ai quali puoi allenare il tuo ottimismo:

  1. Nota e scegli dove porre l’attenzione, in ogni specifica situazione

    esempio: In una mattinata al lavoro dove molte cose sono andate bene, altre non benissimo, e uscendo la collega Laura, incontrata in corridoio, non ti ha salutata.  La tua attenzione va all’insieme delle cose successe, o a Laura che non ti ha salutata?

    Ogni porzione di realtà e il tempo in cui tratterrai quei pensieri nella tua mente avrà un effetto su di te e sulle tue azioni.

  2. Impara a distinguere il Fatto dall’interpretazione 

    esempio: In una mattinata al lavoro dove molte cose sono andate bene, altre non benissimo, e uscendo la collega Laura, incontrata in corridoio, non ti ha salutata. La tua attenzione va all’insieme delle cose successe, o a Laura che non ti ha salutata?

    Ogni porzione di realtà e il tempo in cui tratterrai quei pensieri nella tua mente avrà un effetto su di te e sulle tue azioni.
    “Laura non mi ha salutata in corridoio” è un fatto.
    Sono invece interpretazioni: “Laura mi odia”, “Ho fatto qualcosa di sbagliato”, “Tutto l’ufficio si sta coalizzando contro di me”, ”Non sono brava/o nelle relazioni” 

  3. Se l’interpretazione continua a pesare, chiediti:

    “Cos’altro potrebbe voler dire?” cioè se proprio devi interpretare, fallo in modo che ti dia delle possibilità, non che te le chiuda.

    esempio: Laura poteva essere sovraccarica, o avere un problema suo, aver ricevuto una brutta notizia o essere in sovrappensiero. Magari le era sembrato che sia stata tu a non salutare lei. 

  4. Impara a farti domande utili, potenzianti, come:

    Cosa posso fare io in questa situazione?
    Cosa voglio fare?
    Come ho già superato situazioni simili o più complesse?
    Di quali risorse dispongo?
    Di quali aiuti potrei disporre?
    Cosa farei, se non mi preoccupassi del risultato?

    Potresti scoprire che vuoi invitare Laura per un caffè e chiederle se va tutto bene, potresti offrirle il tuo aiuto se serve, potresti lasciar andare e domani salutarla per prima/o con un bel sorriso.

    Questo andrebbe a rafforzare le convinzioni sulla tua capacità di iniziativa, proattività, risoluzione, empatia, ecc. 

  5. Agisci coerentemente con le risoluzioni prese e, se non dovesse piacerti ciò che ne risulta, applica di nuovo il ciclo di domande dalla 1 alla 4.

    Se Laura rifiuta il tuo invito distingui il fatto dall’interpretazione, prova a cercare dei significati che aprano la tua mente alle possibilità, chiediti cosa puoi/vuoi fare e così avanti.

My 2 cents sull’ottimismo

Questo breve ciclo di auto-osservazione lo puoi applicare in ogni situazione sfidante o avversa, davanti a un ostacolo o a un rifiuto, quando non vedi possibilità o quando ti cimenti in qualcosa di nuovo.

Ti aiuterà a prendere in mano le situazioni e percepirti come più capace di influenzare le circostanze: sarà un vero allenamento per il tuo ottimismo.

Ci sono molte, moltissime pratiche che puoi fare tue per innalzare la tua baseline, il tuo livello standard di benessere e capacità di affrontare la vita con il giusto ottimismo, e per fortuna il 2 novembre riparte il percorso in 6 settimane Happy Habits.


Puoi venire a fare un assaggio delle pratiche che faremo nel webinar gratuito di mercoledì 27 ottobre.

Puoi prenotarti mandandomi una mail qui

Crea la tua energia

Crea la tua energia

L’energia, così come la felicità, non va cercata fuori di te. Tu sei in grado di crearla: con il giusto livello di consapevolezza puoi fare molto per te stessa. 

Pronta a scoprire la “formula magica dell’energia”? 

Mi dispiace deluderti ma no, non ci sarà nessuna polvere o pozione miracolosa a venire in nostro aiuto e riattivarci miracolosamente. Però c’è moltissimo che puoi fare se diventi consapevole delle preziose informazioni che arrivano da dentro, e se impari a utilizzare quelle stesse informazioni a tuo vantaggio.


Dopo anni di attenzione ed ascolto, ho imparato a riconoscere quali sono le attività quotidiane che mi danno la carica e quali, invece, sono una specie di kryptonite (sono sicura che anche tu ne hai qualcuna). Spesso però non le posso evitare del tutto, e allora serve diventare bravissime a ricaricarci e soprattutto diventare kryptoniteresistenti.

Ti piacerebbe? Seguimi.

Ti presento la TRIADE dell’energia


Le iscritte alla newsletter hanno avuto delle preview approfondite su questo argomento: mattoncino dopo mattoncino, ho parlato loro dei passi da fare per tenere monitorata la nostra energia e smuoverla quando è necessario.
Se vuoi iscriverti anche tu vai qui 🙂 

Inizia dal corpo

Il primo elemento della TRIADE è ciò che fai con il tuo corpo: la postura, come tieni le spalle, quanto è eretta o incurvata la tua schiena, la respirazione, l’espressione del tuo viso. Ma anche dove tieni le mani! Spesso, quando siamo sovrappensiero o in tensione, le nostre mani vanno a titillare qualche parte del viso, a stressare una ciocca di capelli o a combattere con le pellicine… ebbene – a tutto questo corrisponde un certo stato d’animo e generalmente a un’energia piuttosto stagnante. 

Anche l’uso della voce concorre a creare il nostro stato interno e la nostra energia: parlare a voce piena o con la voce di un gattino ha un effetto diverso non solo sugli altri, ma in primis su te stessa.

Siamo un tutt’uno! Non possiamo assumere la stessa identica postura e tutte le altre caratteristiche di quando siamo tristi e sperare di sentirci entusiaste – non funziona così.

Possiamo intervenire: senza snaturarci, senza forzarci, ma portando attenzione e consapevolezza e, se non ci piace quello che si è creato dentro di noi in modo “automatico”, possiamo modificarlo e ci sentiremo subito diversamente.

Dov’è il tuo focus?

ll secondo elemento della TRIADE dell’energia risiede nel nostro focus, dove dirigiamo la nostra attenzione. 

Il tuo cervello, in ogni momento, deve filtrare miliardi di informazioni che  lo bombardano dall’esterno e dall’interno. Deve decidere cosa sia “rilevante” e cosa non lo sia e deve farlo in frazioni di secondi e con il minimo dispendio di energia. Pertanto, fa costantemente 3 operazioni: distorce, generalizza e cancella . In questo modo “tiene” delle informazioni e, necessariamente deve ignorare qualcos’altro. 

Le sue scelte sono buone per la sopravvivenza. Ma lo sono anche per la tua prosperità, felicità, e piena realizzazione? E che effetto hanno sul tuo livello di energia?

Non possiamo lasciare che siano le nostre vecchie programmazioni a decidere, ed è qui che entriamo in ballo noi.

Perciò vorrei che ti fermassi e facessi a te stessa alcune domande. 

Fai qualche respiro profondo e prova a dare una risposta:

  • A cosa do la mia attenzione, prevalentemente o in questo preciso momento?
  • Alle possibilità, o agli ostacoli?
  • Alle soluzioni, o ai problemi?
  • Alla paura di fallire, o al desiderio di creare?
  • A tutte le ragioni per cui potrebbe andare male, o all’unica ragione per cui vale la pena di farlo?
  • A ciò che è importante, o alle mille possibili distrazioni?
  • A quello che mi viene raccontato, o a quello che sento essere vero?
  • Ai difetti del mio/della mia partner, o a tutto ciò che c’è di incredibilmente buono in lui o lei?
  • Ai miei limiti, o alle mie capacità? 

E ancora:

  • Ti concentri sulle cose che puoi controllare, che dipendono da te, oppure su ciò che è fuori dal tuo controllo?
  • Ti concentri su un passato che non c’è più, su un futuro che non esiste ancora, o sul momento presente, dove puoi decidere e agire? 

Mettere l’attenzione su qualcosa, esclude inevitabilmente qualcos’altro – ecco perché è importante scegliere bene quale parte alimentare.

Ciò a cui dedichi la tua attenzione, crea il tuo mondo. 

Puoi vivere in un mondo di ostacoli o in uno di possibilità. Se ti concentri sempre su ciò che manca, è difficile sostenere la tua felicità.

Il linguaggio. Le parole sono importanti.

C’è un terzo elemento, che concorre a creare il tuo stato e il tuo livello di energia: è il linguaggio che utilizzi e i significati che attribuisci a tutto ciò che accade.

Non solo ad alta voce, ma specialmente dentro di te, il linguaggio che usi per descrivere le tue giornate, il modo in cui interpreti le situazioni e i significati che dai a ciò che accade, può rendere la tua vita un inferno o… un luogo di villeggiatura!

Facci caso

Usi parole che ti incoraggiano, ti fanno vedere possibilità, ti fanno sentire bene, ti fanno sentire alla guida della tua vita in ogni momento, oppure usi un linguaggio e una narrazione dove tu sei la vittima, o dove la vita è ingiusta, o dove gli altri sbagliano sempre? Oppure da mattina a sera ti dici “devo” fare questo, “devo” fare quello e  in generale usi un linguaggio che ti toglie potere ed energia?

Il lavoro sul tuo stato e sulla tua energia è un lavoro importantissimo, perché sta alla base delle tue decisioni e di tutti i tuoi comportamenti. In cambio ti richiede solo un po’ di attenzione e di allenamento. Si tratta di un’abitudine che, giorno dopo giorno, entra a far parte della tua routine e crea la tua identità. 

Mi riferisco a quell’identità come la tua “casa emozionale”, ovvero il luogo a cui tendi a tornare dopo un momento particolarmente felice, o particolarmente difficile. Quella “casa” gioca un ruolo fondamentale, spesso ha il controllo della tua vita: è quello che nei miei percorsi chiamo “il punto chiave della felicità”.

Ma ora dimmi

Come ti senti in quella casa? Sei soddisfatta di come stai lì o c’è qualcosa che vorresti cambiare? Se hai bisogno di una mano per “ristrutturarla” sono qui per te, ti invito al mio nuovo percorso in partenza a fine mese: scrivimi per maggiori informazioni!

Un abbraccio,
Gina