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É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

Nel dialogo è facile incorrere in incomprensioni e reazioni emotive inaspettate. Vediamo come potremmo comunicare meglio (o cambiare visione).

Farsi capire è sempre semplice?

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. 

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente

Alessandro Baricco.

 

Un problema ricorrente

 

Nelle ultime due settimane mi è capitato di imbattermi ripetutamente, in modo indiretto ma anche in prima persona, in una problematica ricorrente.
Sembrava che tutte le mie clienti, ma anche altre persone intorno a me, stessero vivendo la stessa difficoltà: quella di riuscire a farsi capire e discutere senza drammi. Chi con il partner, chi con il datore di lavoro, chi con la figlia adolescente e chi all’interno di un’amicizia importante, mi raccontavano tutte di non riuscire a comunicare in modo costruttivo e soprattutto con reciproca soddisfazione.

Sarà successo anche a te, questa difficoltà genera amarezza, senso di impotenza, frustrazione, o a volte rabbia e finisce per aumentare la distanza e far crescere l’incomprensione.

 

Come mai, nonostante si parta sempre con le migliori intenzioni, spesso finisce così?

 

Farsi capire è comunicare bene

 

La comunicazione interpersonale è un tema vasto e pieno di sfaccettature, e che affronto spesso perché credo sia l’attività senza la quale tutte le altre sarebbero fallimentari. 

Pensaci.

La comunicazione è alla base di ogni nostra relazione e di ogni nostra attività, pertanto possedere l’abilità di comunicare con il prossimo, di comprendersi e farsi comprendere, aumenta non solo la nostra soddisfazione e il nostro sentirci nutriti, ma anche la nostra probabilità di successo nella quasi totalità delle cose che facciamo.

 

Oggi voglio affrontare con te uno di questi aspetti che, se riconosciuto e padroneggiato, potrà fare tutta la differenza del mondo nelle tue comunicazioni interpersonali.

 

Prenderò come esempio un episodio di cui sono stata testimone

 

Qualche sera fa eravamo a cena a casa di amici: l’atmosfera era leggera, i discorsi poco impegnati, il cibo buono, una grande piacevolezza, anche se per me, che prediligo uno scambio più autentico e approfondito, stavamo tutti galleggiando un po’ troppo sulla superficie delle cose.

 

A un certo punto uno degli invitati si è espresso su un fatto accaduto ad altri, schierandosi vigorosamente dalla parte di ciò che lui riteneva “giusto”. Era molto coinvolto e, da come parlava, sembrava piuttosto sicuro che il suo punto di vista fosse l’unico possibile.

Lo ascoltavo e osservavo attentamente. Vedevo che dietro a quelle parole si stava muovendo molto di più, percepivo che fosse la punta di un iceberg, e cercavo di comprendere cosa l’iceberg contenesse.

A un certo punto, con molta calma, ho risposto dicendo che comprendevo il suo punto di vista ed ho offerto quello che vedevo dalla mia prospettiva.

 

Evidentemente, nonostante la mia pacatezza, ho toccato qualche verità per lui intoccabile

L’ho visto trasformarsi. Se per tutta la sera, prima di sollevare l’argomento, era rimasto abbastanza silenzioso e quieto, comportandosi in modo gentile, anche se poco partecipe, a un certo punto è uscito fuori un drago sputafuoco.

Ha iniziato a sgranare gli occhi, ha alzato il tono della voce, è diventato paonazzo, ha personalizzato la discussione (ovvero ha portato la cosa sul piano della propria vita, come se il protagonista della storia fosse lui) e si è messo a difendere il suo punto di vista come si trattasse di vita o di morte.

 

Cos’era accaduto?

Possiamo comunicare solo in due modi:

 

  •     o parliamo a partire dal nostro carattere, dalla nostra personalità, dall’ego, da quella struttura difensiva che abbiamo dovuto costruire per affrontare la vita e le sue sfide senza farci troppo male
  •     o parliamo dall’organismo, ovvero dalla nostra essenza, dal nostro cuore.

 

Secondo te, da dove stava comunicando il mio interlocutore? 

Voglio che sia chiara una cosa. Stiamo solo osservando e da parte mia non c’è giudizio. Lasciar parlare il nostro carattere è qualcosa che tutti facciamo molto spesso, a meno che non ci alleniamo a fare diversamente e portiamo molta attenzione alla cosa.

 

In questo caso qualcosa era stato toccato, nelle sue convinzioni e valori, nel modo in cui era stato educato, in ciò che aveva imparato a considerare giusto o sbagliato, e stava combattendo per difenderlo. A parlare quindi, in quel momento, non era il cuore ma la personalità, con tutta la sua storia.

 

Non era interessato a comprendere il mio punto di vista, a mettere in dubbio ciò che difendeva con tanta veemenza, o semplicemente a confrontarsi, anche scegliendo poi di rimanere della sua idea: voleva proprio distruggere ogni altra possibilità.

 

 La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare “è ingiusto”, “è stupido”, “è anormale”, “è irragionevole”, “è scorretto”, “non è gentile”. Molto di rado ci permettiamo di “capire” esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.

Carl Rogers

 

 

Qual è l’intento che abbiamo quando comunichiamo con gli altri, specie le persone a noi più vicine?

 

Di solito le nostre intenzioni sono buone. Vorremmo farci capire, vorremmo che gli altri apprezzassero il nostro punto di vista, o comprendessero la nostra richiesta, o venissero incontro alla difficoltà che stiamo comunicando. Eppure molto spesso otteniamo l’effetto opposto, creando incomprensione e distanza. 

 

Ci sono molte cose che potremmo approfondire per quanto riguarda la comunicazione “sana”: le barriere da evitare, l’importanza dell’ascolto e le sue fasi… ma c’è una cosa che secondo me è la più importante e che fa sempre la differenza: fare contatto e rimanere nell’energia del cuore.

 

Per capire i sentimenti degli altri devi innanzitutto comprendere i tuoi.

(Daniel Goleman)

 

Se non siamo in grado di compiere questo passaggio dalla personalità al cuore, il confronto con l’altro è permeato da un senso di minaccia e si reagisce come davanti a un reale pericolo per la nostra sopravvivenza.

 

Chi vince?

Lo stato in cui viviamo normalmente – che “normale” non è per niente – è uno stato di perenne allerta, una condizione di leggero stress di sottofondo dovuto alle sfide e ai ritmi di questo nostro tempo e quando interviene qualcosa che il nostro sistema classifica come “pericolo”, la reazione è quella di contrattaccare il nemico (reale o immaginato che sia) con tutte le nostre forze.

 

In questo caso però non ci saranno vincitori, perché se nella relazione uno vince e l’altro perde, significa che la relazione ha perso, perciò hanno perso entrambi.

Qual è la via d’uscita?

Cerca prima di capire, poi di essere capito.

Stephen R. Covey

La via d’uscita è dentro di te.

 

Ci sono 2 fasi: auto-osservazione e trasformazione

Nella fase di auto-osservazione possiamo:

  1.  Accorgerci del meccanismo che si è attivato in modo automatico, e accorgerci quali sono le nostre reazioni davanti quella che percepiamo una minaccia
  2. chiederci: perché sto difendendo questa mia opinione o punto di vista come si trattasse di vita o di morte? qual è il bisogno che si nasconde qui sotto?
  3. e ancora: cosa sento nel corpo? quali pensieri sto formulando al riguardo?

E poi c’è la fase di trasformazione, ed è un allenamento a sentire e a rimanere nell’energia del cuore.

Stare nell’energia del cuore non significa “volemose ‘bbene” o fingersi compiacenti. Significa fare contatto con il nostro cuore, con la totalità di ciò che siamo, con l’espressione più ampia e meno condizionata della nostra intelligenza, con la parte di noi che desidera costruire, al contrario del “piccolo sè” che crede di dover vincere per poter esistere. Significa comprendere, smettere di difendere la propria posizione e costruire un ponte tra noi e l’altro, nonostante le divergenze.

 

Ecco quindi le fasi per shiftare la tua energia:

  1.  fai caso al tuo respiro, nota se è bloccato, se è troppo veloce, se sei in apnea…
  2. porta la tua attenzione al cuore, respira con il cuore e mantieni lì la tua attenzione mentre sei, allo stesso tempo, presente anche all’esterno
  3. ascolta l’altro senza giudicare, porta un atteggiamento di curiosità verso il suo mondo, cerca di comprendere cosa c’è dietro a quello che dice
  4. solo allora puoi rispondere, e a volte scoprirai che non è nemmeno necessario farlo.

 Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere.

Pablo Picasso

Arriviamo al punto 

Al di là di tutte le altre competenze che potremmo acquisire, imparare ad essere stabilmente in contatto con il nostro cuore, saper come far ritorno a quell’energia e a quella intelligenza è la chiave per una comunicazione e una vita più “illuminata”.

Immagino saprai che nel cuore ha sede un “piccolo cervello”, una complessa rete neuronale di circa 40.000 neuroni molto specializzati che sembra sappiano prendere decisioni più velocemente e in modo più efficace del nostro “primo cervello”, al quale poi mandano i suoi suggerimenti. 

 

Quando però siamo totalmente identificati con la nostra personalità, con i nostri pensieri, con il nostro ruolo… quei suggerimenti non possiamo sentirli, perché bisbigliano, non gridano.

È per questo che serve rallentare, respirare, ascoltare… La tua guida è lì e non vede l’ora di farti scoprire tutte le tue capacità e potenzialità.

 

Come posso aiutarti

 

Questa è uno degli allenamenti che pratichiamo nel Cammino della Leggerezza 

Se vuoi imparare a shiftare la tua mente e la tua energia, da una modalità reattiva, automatica, figlia dello stress, a una espansa, presente, consapevole, c’è ancora qualche posto nel gruppo in partenza l’11 ottobre.

IL CAMMINO DELLA LEGGEREZZA

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Prenota oggi l’iscrizione: ancora pochi posti disponibili

Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Autostima e altri miti. Scopriamo come difendersi dai luoghi comuni della crescita personale.

Dove vai, se l'autostima non ce l'hai...

Se vuoi puoi!

Devi crederci!

Devi uscire dalla tua zona di comfort!

Ma soprattutto…”Devi avere più autostima!”

e se non fai tutto questo, la peste ti colga!

Se mi conosci o hai già letto qualche altro mio post, sai che mi piace sottolineare quanto mi senta lontana da molti dei luoghi comuni della crescita personale e di un certo tipo di formazione  e di quanto possa essere dannoso prendere queste incitazioni per oro colato.

 

Ma vediamo alcuni luoghi comuni…

 

1) Se vuoi puoi

Gemella eterozigota di Volere è potere

Volere non è potere. Volere è volere. 

Certamente è la miccia per poter iniziare a fare qualcosa. Ma non è certo garanzia di successo.

Ti è mai capitato di volere più denaro, una salute migliore, un lavoro più gratificante o una relazione più appagante? O magari semplicemente meno cellulite, più capelli, meno chili (per non parlare degli anni).

Eppure, sono certa lo avrai constatato anche tu, che il volere queste cose non ti ha anche reso/a automaticamente capace di ottenerle.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione positiva di questa affermazione è darti una sorta di sveglia, una cosa del tipo : “ehi, se fino ad oggi pensavi che alcune cose fossero fuori dalla tua portata, forse potresti scoprire che non tutte lo sono.” Difatti, se qualcosa è nei tuoi desideri e nelle tue corde e sei disposto/a ad impegnarti, sicuramente potrai fare dei grandissimi passi avanti! Non è detto che centrerai il bersaglio (e non è quella la cosa più importante), ma sicuramente scoprirai nuove cose su di te e qualcosa di buono ti porterà.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Quando credi a questa affermazione, il tuo focus è sul volere. Perciò se ti trovi a mancare uno dei tuoi obiettivi o propositi, ti viene detto – o dici a te stessa/o- che “non lo volevi abbastanza”. Ma quanto cacchio la dovresti volere una cosa?

Forse il problema non è quanto la vuoi, ma sta da tutt’altra parte, e concentrarti per volerla 10 volte di più non ti servirà a nulla.

Le persone vogliono quello che vogliono, tu e io comprese

Il punto è scegliere, decidere e impegnarsi. Non conosco nessuno che, impegnandosi, non abbia fatto dei progressi significativi in qualcosa.

Quindi se vuoi partecipare a Sanremo come cantante, cosa che oggi peraltro non dice nulla sulla tua bravura, non è detto che potrai farlo. Ma sicuramente impegnandoti e allenando le tue capacità canore, le migliorerai. That’s it!

 

 

2) Devi crederci

…è come quando diciamo a qualcuno “ti devi fidare”.



O credi, o non credi. O ti fidi, o non ti fidi.

Certo puoi cambiare idea sulle cose, puoi acquisire nuove informazioni, puoi vedere la situazione sotto altri punti di vista, puoi iniziare a credere qualcosa di diverso. Ma l’esortazione “devi crederci” quando non riesci a crederci, non farà altro che aumentare la tua frustrazione.

 

L’intenzione positiva 

Cosa c’è di vero, qual è l’intenzione positiva di questa frase?

Che se non credi possibile qualcosa per te, probabilmente non farai le azioni che ti portano a quel risultato. Che c’è una relazione tra ciò che credi e pensi, come ti senti, e come ti comporti. Che se non sei soddisfatto di come ti comporti o dei risultati che hai, sarà utile diventare consapevole di quelle che sono le tue convinzioni e credenze.

Ma l’esortazione “devi crederci” somiglia molto a “sii spontanea!” Forzarsi a credere non è credere, come forzarsi di essere spontanei non corrisponde a esserlo.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Succede che, anche qui, la tua attenzione e i tuoi sforzi saranno sul credere, come se mettendoti nella posa di Hulk e digrignando i denti tu potessi aumentare esponenzialmente il potere di credere nelle tue capacità o nel fatto che un evento si possa verificare.

Suggerirei piuttosto di accorgerti che sì, quello che crediamo o non crediamo vero o possibile influenza le nostre percezioni, le nostre scelte e quindi la nostra vita. E quindi sarà un lavoro importante accorgerti di quali siano le convinzioni che sostengono il tuo benessere e la buona riuscita dei tuoi progetti, e quali invece li ostacolano. E da lì si può iniziare a lavorarci. No, non con la posa di Hulk. 😉 

 

3) La zona di comfort

Per quanto riguarda la famigerata zona di comfort, devi sapere che qualsiasi impresa, dalla più piccola alla più grande, non è stata compiuta “fuori dalla zona di comfort” di chi l’ha portata avanti, ma “in comfort”. Il nostro cervello non vuole stare scomodo, vuole lavorare risparmiando energia, perciò il meta messaggio che ti dice che per combinare qualcosa devi necessariamente soffrire, non dice il vero. Infatti,  il nostro cervello cercherà sempre di evitarci quella sofferenza, facendoci così rimanere fermi ai blocchi di partenza o portandoci a qualche auto-sabotaggio lungo la strada.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione buona è quella di farti capire che se la tua zona di comfort è il divano di casa tua, sarà difficile (anche se non impossibile) fare grandi cose da lì. 

Di vero c’è che se facciamo sempre le stesse cose, che ci sono comode, familiari, abituali, ci perdiamo un mondo di altre possibilità

Di vero c’è pure che una vita guidata solo dalla sicurezza e dall’evitamento di qualsiasi rischio, probabilmente è ben poca vita.

 

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Succede che la vita diventa una guerra, le imprese diventano battaglie, gli altri- ma soprattutto i tuoi attuali limiti, divengono dei nemici da annientare. Ma secondo te, se fai la guerra a delle parti di te, potrai mai vincere? No, perché una guerra implica danni e vittime, e se l’avversario è una parte di te, avrai comunque perso. Succede che te ne vai in giro come i “soldati fantasma giapponesi” che, anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, continuavano a stare rifugiati nella jungla armati fino ai denti, rifiutandosi di arrendersi. Succede che non ti godi il viaggio, ma soffri finché non arrivi all’obiettivo. E se non arrivi? Indovina.

 

Quindi

Quello che dobbiamo capire è che, per darci maggiori possibilità e se vogliamo aumentare le nostre probabilità di successo nel lungo periodo, la nostra zona di confort va allargata, arricchita, espansa, con rispetto, coraggio e amorevolezza. Non dobbiamo vivere fuori dalla zona di confort, ma piuttosto ampliarla per avere una vita più ricca e piena, se è questo che desideriamo.

Dobbiamo rendere familiare, facile, normale quello che non lo era, e non fare la guerra a noi stessi pensando di poter stare perennemente scomodi.

 

Per un triatleta quegli sforzi sono la sua zona di comfort. Non la tua, o la mia. Ma la sua sì.

Per un imprenditore seriale, intraprendere è la sua zona di comfort.

Per un fannullone incallito, la sua zona di comfort è il divano, o il bar.

 

Perciò avrebbe più senso dire:

“Scegli con cura la tua zona di comfort perché le tue azioni origineranno da lì”

E se è importante sapere che quando ti approcci a qualcosa di nuovo sentire un po’ di attrito farà parte del processo, è anche cruciale ricordare che andare contro la tua natura non ti renderà più efficace, e nemmeno più felice.

 

 

4) Devi avere più autostima

La definizione di autostima è “la distanza tra il sé percepito e quello ideale” ovvero tra come pensi di essere e come desideri essere. Io però credo che sia più corretto definirla come la distanza tra quello che pensi di essere e quello che pensi di dover essere.



“Dover essere”, non senti anche tu come puzza di fregatura?

Eppure basta guardare qualsiasi spot pubblicitario per capire che come sei non vai bene, e che dovresti sempre essere in qualche altro modo (normalmente grazie al loro prodotto!). Inadeguatezza vendesi. Anzi, regalasi!

Stimare significa misurare, il che già ci mette davanti all’assurdo compito di misurare il valore di un essere umano.

Quindi la mia auto-stima è la misura che faccio di me stessa/o in base a quello che penso che dovrei essere, rispetto a quello che sono. Si salvi chi può. 😉

L’intenzione positiva

Immagino che l’intento “sano” che si nasconde in questa esortazione voglia metterci in guardia dal dis-amore per noi stessi, che voglia suggerirci di non parlare male di e a noi stessi, di non svalutarci perché da quello che crediamo di noi dipende ogni nostra scelta nonché la nostra auto-efficacia. Immagino che voglia stimolarci ad alzare lo sguardo e raddrizzare le spalle, e a pensare bene di noi stesse/i.

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Molto probabilmente inizierai a darti da fare per ottenere riconoscimenti esterni, da cui poi trarre la considerazione che darai a te stessa/o. 

Ti impegnerai a  percorrere in tempo, e con successo, tutte le tappe ritenute fondamentali per un individuo nel tuo contesto, ti prodigherai nel raggiungimento di risultati straordinari (come il numero di follower sui social) e finalmente sentirai che ottieni perciò vali.

Ed ecco che la tua autostima, come il prezzo del gas, potrà schizzare alle stelle.

Poco importa se sarai stremata/o e ti sentirai distante da te stessa/o.

Inoltre, la stima che traiamo dai nostri risultati è per sua natura fragile ed effimera perché i risultati, a differenza dell’impegno, non sono sotto il nostro controllo.

Siamo fuori pista, e per rientrarci dobbiamo capire la vera origine di quella sensazione che ricerchiamo tanto e a cui diamo il nome di autostima.

La vera origina risiede nel vivere coerentemente con i propri valori senza infrangerli, nell’avere la stessa faccia in pubblico e in privato, nell’ impegnarsi per ciò in cui si crede.

 

Perciò

Se “vuoi avere più autostima”, non indebitarti per comprare una macchina più grande, non ammazzarti di lavoro trascurando te stesso e la tua vita per fare una carriera supersonica, non andare in palestra per ostentare un fisico statuario, non cercare di “pomparti” e autoconvincerti recitando affermazioni allo specchio battendoti il petto come un gorilla maschio alfa.

Piuttosto, inizia a conoscerti. Inizia a chiederti cosa ami e cosa ti rende felice. Inizia a chiederti in che cosa credi e cosa ha valore per te.

E poi inizia ad andare in quella direzione, con coraggio e con tutta l’amorevolezza di cui sei capace.

Accetta i tuoi attuali limiti, le tue paure, le volte in cui non ce la fai, le volte in cui non ti piaci un granché, gli errori che farai. Sostieniti, incoraggiati, stai dalla tua parte.

 

Piuttosto che “devi avere più autostima”, ti direi “impara ad accettare e apprezzare quello che sei, con la fiducia che ogni giorno potrai crescere ed imparare”.

 

E se vuoi impegnarti con te stessa, per accettarti e apprezzarti maggiormente, alleggerisciti delle pressioni interne e esterne. Posso aiutarti con il mio percorso trasformativo:

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Pensa positivo! O no?

Pensa positivo! O no?

I falsi miti del pensiero positivo hanno procurato più danni che benefici. Scopriamo cosa c’è di buono da imparare, analizzando le parole di Louise Hay. 

pensiero positivo gina abate coaching

Mi è capitato spesso, quando le persone mi chiedono che lavoro faccio, che commentino più o meno con “Ah sì! Pensiero positivo… Motivazione… Autostima, quelle cose lì vero?”

Ti svelo due cose:

  1. io non motivo nessuno, perché ognuno ha da trovare le proprie ragioni e i propri motivi per passare all’azione (al massimo io l’aiuto a riconoscerli).
  2. l’autostima è qualcosa di molto importante e profonda, e spesso viene confusa con il guardarsi allo specchio e dirsi con aria agguerrita: “Io sono figa/o, io valgo, io posso fare tutto”, ed è qualcosa che non consiglierei a nessuno 😉 

Ora che mi sono liberata di questi sassolini nella scarpa, arriviamo al punto di cui voglio parlarti oggi: il Pensiero Positivo.

 

Più danni della grandine

 

A mio avviso il Pensiero Positivo ha fatto più danni della grandine. Certo, anche il “pensiero negativo” non scherza. Ma quindi? Cerchiamo di capire qual è l’intenzione buona e quali sono i fraintendimenti che permeano questo argomento.

 

Normalmente se ti dico “Pensa positivo” cosa ti viene in mente?

Forse per prima cosa la canzone di Jovanotti, ma subito dopo, con tutta probabilità, ti verranno in mente cose come “Andrà tutto bene” e l’ormai famoso bicchiere mezzo pieno.

 

Dove nasce tutto questo?

 

Nel 1984, in un periodo della mia vita in cui ero molto sofferente, mi capitò tra le mani il libro “Puoi guarire la tua vita” di Louise Hay, una delle madri del pensiero positivo.

 

La Hay era riuscita a guarire dal cancro trasformando i suoi pensieri, e voleva giustamente condividere con il mondo quello che aveva sperimentato sulla sua pelle.

 

Ricordo di aver divorato con entusiasmo quelle pagine perché quel libro mi confermava qualcosa che avevo sempre sentito essere vera. Parlo del collegamento tra i pensieri che abbiamo, la chimica che creiamo nel nostro corpo (che percepiamo sotto forma di emozioni e sensazioni) e la capacità della nostra mente e del nostro corpo di esprimere utilmente le sue potenzialità: guarire da una malattia, realizzare un progetto, creare una relazione felice o qualsiasi altra cosa.

 

Quello che è passato è invece, banalmente, “Pensa positivo e tutto andrà bene”. Cosa semplicemente non vera.

 

Il fraintendimento

Il messaggio superficiale che è arrivato fino a noi, è che se pensiamo che le cose andranno bene, lo faranno; che se pensiamo che guadagneremo un sacco di quattrini e troveremo il/la nostro/a partner ideale, succederà; che se pensiamo che la guerra finirà o che guariremo da una malattia, lo faremo accadere.

 

Io ci ho provato e non ha funzionato e probabilmente anche tu mi dirai la stessa cosa.

 

Se poi a questo aggiungiamo la Legge dell’Attrazione, che sembra dirci che se pensiamo intensamente ad un elefante mentre ce ne stiamo comodamente seduti in salotto, lo facciamo apparire hic et nunc, ecco che la frittata è fatta.

 

Gina, ma allora ci stai dicendo che quello che pensiamo non conta? che è inutile “pensare bene”?

 

Il tassello di un mosaico più grande

No, sto piuttosto dicendo che essere consapevoli che i nostri pensieri hanno un peso è solo un tassello di un mosaico ben più ampio e che, se non ce ne rendiamo incontro rischiamo tre conseguenze:

 

  1.  andiamo incontro a delusione certa
  2.  rischiamo di buttar via l’acqua con tutto il bambino, banalizzando e generalizzando con un pericoloso: “Queste cose non funzionano”
  3.  ci de-responsabilizziamo rispetto quello che possiamo veramente fare

 

Cosa c’è di vero?

Come ti dicevo, c’è di vero che i pensieri ai quali crediamo creano una certa chimica nel nostro corpo, generano emozioni. Determinati pensieri ed emozioni ci faranno propendere verso l’azione, altri invece verso il sentirci vittime impotenti, altri verso la ricerca di un colpevole, altre verso la commiserazione… e da lì scaturiranno i nostri comportamenti, le iniziative, le azioni, le interpretazioni che daremo a tutto ciò che accade. Creeremo così la nostra realtà (per la parte che ci compete)

 

Quindi certo, il pensiero crea. Ma per fortuna non basta il pensiero, né si materializza subito (se no saremmo tutti fottuti, non credi? 😉 ) 

 

Facciamo un esempio

 

Ricordo bene che Louise Hay nel libro diceva qualcosa come: “Quando usi bene la mente puoi anche mangiare cibo per gatti che starai bene”  

 

In un certo senso questa frase è vera, ma ti va di analizzarla con me?

 

  • “Quando usi bene la mente” = quando usi la mente in modo utile, funzionale, costruttivo, in modo che sostenga il tuo progetto o intento
  • “Usare bene la mente” significa anche provare l’emozione corrispondente a ciò che vuoi creare, significa cambiare percezione, vedere qualcosa che prima non vedevi, crederlo possibile.
  • “Puoi mangiare anche cibo per gatti” : sì, ma non in eterno. Di vero c’è che la mente è talmente potente che può creare le condizioni per il “successo” e la salute (e ahimè, anche per la malattia e l’insuccesso) nonostante le condizioni avverse. Ma a un certo punto bisognerà anche aiutarsi.

Ricordo bene infatti che Louise Hay, a un dato punto del suo viaggio personale, aveva rivoluzionato anche il suo modo di mangiare. Un maggior amore per se stessa, e il desiderio di vivere bene nel presente (e possibilmente anche in un radioso futuro) le avevano fatto ripulire frigo e dispensa da tutto il cibo spazzatura, le scatolette e i cibi conservati che normalmente teneva in casa.

 

Il pensiero costruttivo porta ad azioni costruttive

 

Ed è questa la parte che molti sembrano tralasciare.


Sono certa che quando Louise recitava le sue affermazioni, non stava recitando meccanicamente “Io sono sana” mentre in realtà era piena di paura e risentimento perché pensava “c’ho un cacchio di tumore, altroché”. 

Viveva con certezza la sensazione di essere guarita, il suo cervello era probabilmente in onde Theta, che sono quelle della creazione, della riprogrammazione dell’inconscio, che sono quelle della rigenerazione e guarigione e, per Jung, anche quelle dell’accesso all’infinito campo dell’inconscio collettivo con tutto il suo patrimonio di informazioni.

 

Stava liberando e attivando le infinite possibilità racchiuse nel suo corpo e nella sua mente.

 

E questo sì, è un potere a cui ognuno di noi può trovare accesso, con i giusti strumenti e le giuste pratiche..

Molto più di un semplice pensiero positivo, no?

 

Last but not least

 

Louise Hay era Louise Hay, e se da un lato ha voluto mostrare qualcosa che è potenzialmente possibile per ogni essere umano, ci ha anche mostrato che lei ha seguito la sua strada, ha creato il suo modo, ha seguito e trasformato ciò che sentiva giusto nel profondo.

 

Forse è proprio questo il suo messaggio, e il messaggio di tutti gli uomini e donne che hanno eccelso in qualcosa: fate come me non significa fate le stesse cose che ho fatto io, ma fate anche voi le cose che sentite giuste e vere nel profondo, dopo aver fatto pulizia di ciò che non siete voi.

 

E questo, credo, è il messaggio più importante.

 

Fare ordine dentro di sé, ascoltarsi, alleggerirsi e allinearsi con ciò che vogliamo creare sono passaggi importanti per ogni nostra realizzazione. Per questo sono diventati i punti cardine di uno dei miei percorsi trasformativi di gruppo:

 

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L’Equilibrio vita – lavoro non esiste 

L’Equilibrio vita – lavoro non esiste 

La ricerca continua dell’equilibrio porta più stress che benefici.

Ti racconto gli esiti della mia ricerca sul work – life balance.

 

 

equilibrio vita lavoro

 

Da poco ho preparato un intervento per un evento formativo dedicato a imprenditrici e imprenditori incentrato sull’Equilibrio vita-lavoro. Ho fatto perciò delle profonde riflessioni sul tema del Work-life balance, ho letto diversi articoli e guardato svariati speech in cerca di ispirazione, chiedendomi che tipo di contributo volevo dare a questi professionisti, per aiutarli a creare una miglior qualità della vita e del lavoro. Quindi sono arrivata alla mia conclusione.

 

L’equilibrio vita-lavoro non esiste, e ora ti spiego perché

 

Che immagine abbiamo quando pensiamo a una vita in cui questo fatidico equilibrio è raggiunto? Forse immaginiamo una serie di giornate ideali, ben organizzate e con ritmi sostenibili, con le nostre 24 ore equamente suddivise in 8 ore di lavoro, 8 di famiglia e svago e 8 di sonno.

Nelle 8 ore dedicate ai nostri cari e allo svago immaginiamo una sorta di famiglia del mulino bianco, dove ci si sveglia cinguettando, si fa colazione insieme immersi tra sorrisi e sguardi amorevoli, si svolazza felici verso scuola o lavoro. Pilates nella pausa, caffè con le amiche (o birra con gli amici) e una serata idilliaca prima di chiudere gli occhi e dormire profondamente, per svegliarsi rinfrancati e carichi all’alba del nuovo giorno.

 

Chi ha una vita così?

 

Io non conosco nessuno. Ma soprattutto siamo sicure che la suddetta vita sarebbe garanzia di benessere e felicità?

 

Il confine tra vita privata e professionale

Un altro dei motivi per cui credo che inseguire questo “equilibrio” sia una missione impossibile è perché è sempre più difficile distinguere il lavoro dalla vita personale. Prendersi cura dei genitori anziani, occuparsi di un figlio adolescente, andare dal commercialista, accudire bambini piccoli, pagare l’IMU e fare la fila alla Posta, appartengono alla sfera della vita o a quella del lavoro?

E se penso allo smart working mi sembra che le cose siano ancora peggiorate. L’ho citato con il nome che è ormai diventato di uso comune, anche se faremmo meglio a chiamarlo remote working: è semplicemente lavorare da casa e di smart non ha nulla.
Rispondi a una call mentre metti su una lavatrice, controlli le mail mentre segui i figli con i compiti, passi da un’attività all’altra in un infruttuoso multitasking e in una totale commistione di ruoli.

 

E noi pretendiamo di trovare l’equilibrio in tutto questo. Nah.

 Aspirare a un miglior benessere nella nostra vita, però, è sacrosanto.

Ti do una buona notizia: questo è anche possibile. Ecco i miei 4 punti sul tema:

 

1) non ricercare l’equilibrio, ma l’appagamento

 “Stanchi, ma felici”, impegnati su più fronti ma con un senso di scopo: non è forse questo che vorremmo provare alla fine della giornata?

Se ci togliamo l’idea che tutto debba essere bilanciato e in equilibrio, secondo me ci siamo già tolti una bella fonte di stress. L’equilibrio dovrebbe essere il mezzo per un fine, e quel fine è proprio, secondo me, l’appagamento

E non sarà probabilmente un’ora di palestra in più a farci sentire appagati, ma piuttosto renderci conto, e prenderci cura, delle 4 dimensioni principali che caratterizzano il nostro essere umani: abbiamo un corpo, una mente, delle emozioni, e probabilmente un’anima (per quanto mi riguarda non ho dubbi in tal senso).

Per sentirci appagati dovremmo imparare a nutrire e prenderci cura del nostro benessere fisico, mentale, emozionale e spirituale. 

Di questo ho già parlato in altre sedi: me ne occupo in tutti i miei percorsi di coaching e non andrò in dettaglio qui.  Ma puoi semplicemente iniziare a porti questa domanda, e trovare le tue risposte:
cosa posso fare, o smettere di fare, per aumentare il mio benessere in ognuna di queste 4 aree?

A volte la risposta sarà semplicemente “togliere”, alleggerire, dire di no a qualcosa. A volte cambiare strada. Altre, fare piccoli cambiamenti, oppure grandi.

La tua strada verso un maggior appagamento può iniziare proprio ora.

 

2) non è una ricetta universale, ma personale; non è fissa, ma dinamica

Il tipo di appagamento di quando sei studente non è certo lo stesso di quando metti su famiglia, o di quando ti accorgi che il lavoro che stai facendo non ti coinvolge né ti soddisfa più come all’inizio.
È una cosa ovvia, eppure sembriamo dimenticarcene quando finiamo appunto “fuori equilibrio”. Vorremmo che le cose restassero così come le abbiamo impostate.

 

Invece è una domanda da ripetersi spesso, una sorta di tagliando da fare regolarmente. 

 

Spesso avremo la sensazione che “la coperta sia troppo corta”. Beh, ti dò una notizia: lo è! La nostra società corre veloce (verso dove non si sa, ma questo è un altro argomento 😉 ), le informazioni e la tecnologia viaggiano alla velocità della luce e solo per rimanere fermo/a dove sei, ti sarai accorto/a che devi remare sempre più veloce. Sì, a volte può essere estenuante.

Ma se sai che la coperta è troppo corta, ti regolerai di conseguenza: a volte lascerai fuori i piedi, e quando si saranno raffreddati un po’ troppo li coprirai, e lascerai fuori le spalle. 

Se partiamo ben sapendo che le nostre to-do-list saranno sempre troppo lunghe per essere azzerate, possiamo iniziare a trarre soddisfazione dal fatto che stiamo vivendo tenendo in considerazione i nostri valori e i nostri veri bisogni (e non mi riferisco solo a quelli primari). Non punteremo l’attenzione sull’aver “fatto tutto” ma sul fatto che ci sentiremo progredire.

 

Il mondo là fuori ci mette l’asticella sempre più alta, ma a volte non serve saltarla, se non è nel nostro miglior interesse: possiamo mettere su un po’ di musica e passarci sotto, come nel limbo.

In pratica: decidi tu a cosa dare il tuo tempo, la tua attenzione, le tue energie e il tuo investimento emotivo, in ogni momento. Come fare? vai al prossimo punto. 

 

3) la visione di te a 80 anni guida le tue azioni quotidiane

Da un po’ di tempo c’è una novità nella mia vita: ho un nipotino di 5 mesi (di cui sono follemente innamorata). È chiaro che il patchwork della mia vita mi ha richiesto una revisione, perché per me dedicare del tempo a mia figlia e al piccolino è assolutamente una priorità.

 

Sono una nonna relativamente giovane, ancora molto attiva e con una vita personale ricca di attività che amo portare avanti, perciò se voglio esserci nella loro vita, ho bisogno di riprogettare le cose, cambiare qualche abitudine, essere creativa, rompere qualche schema, reinventarmi.

 

Se immagino il mio 80esimo compleanno circondata dall’amore e dalla presenza delle persone che amo, ho da dedicare amore e presenza oggi, a mia volta.

Inoltre, se mi immagino autosufficiente, lucida e in forma, ho da far in modo che la mia settimana preveda momenti di movimento, allenamento, approvvigionamento di cibi quantomeno “decenti”  e qualche attività buona per la mente.

 

Quindi la mia visione guida le mie decisioni quotidiane.

In fondo essere disciplinati significa proprio applicare, nella nostra quotidianità e a piccole dosi, una visione più ampia che ci sta a cuore (e te lo dice la regina delle indisciplinate ribelli). È fattibile, e fonte certa e costante di micro dosi di appagamento.

 

E tu, hai mai pensato a come vorrai festeggiare il tuo 80esimo compleanno, e a come immagini di essere?

 

Certo, il nostro impegno in quella direzione non è garanzia di successo al 100%. Ma se lasci che sia il caso – o gli altri – a decidere, possiamo essere quasi certe/i che il risultato sarà ben distante.

 

 

 

4) fermati, fatti domande e ascolta le risposte che vengono da dentro 

Non puoi sentire le risposte se non ti fermi a farti domande e ad ascoltare ciò che emerge dal tuo interno. Uno dei mali dei nostri tempi è che tentiamo di risolvere tutto con la razionalità, con le informazioni, con gli esperti, i dati e le statistiche. Ma tutto questo ci parla del passato, raccoglie numeri ed esperienze di quel che è stato fino a questo momento. Invece affrontare il presente e il futuro necessita di “dati” che ancora non esistono: ecco perché serve affinare la propria capacità di ascoltare le sensazioni, i bisogni profondi, l’intuizione, i desideri del cuore.

 

Chiediti: 

“Sto vivendo la vita che voglio, o quella che ci si aspetta da me?” 

“Cosa voglio io davvero?”

A volte sarà importante farti aiutare, soprattutto nel farti domande buone e sempre nuove, ma le risposte saranno sempre e solo le tue.

Se crei lo spazio, il tempo e l’apertura, le risposte non tarderanno ad arrivare.


Ha senso cercare l’equilibrio?

Le nostre vite somigliano all’attività di un giocoliere, ed è impossibile pensare di poter tenere le palline per aria in perenne movimento. Ricercare l’appagamento, in modo personale e dinamico, significa sapere perfettamente che spesso una di quelle palline cadrà a terra, ma sapere anche quale lasciar cadere, perché non farà un grande danno, e quale tenere assolutamente in movimento, perché non possiamo permetterci di farla cadere.

Una volta sarà la tua relazione a chiedere un’extra dose della tua attenzione, una volta un’amicizia in crisi, un’altra volta il tuo corpo che ti avrà necessità di una maggior amorevolezza, oppure ci sarà una prospettiva di carriera che ti chiederà un supplemento di tempo ed energia.

 

Ma se conosci i tuoi valori, se hai una visione – anche se non dettagliata – della tua vita a lunga scadenza, se hai chiarezza su ciò che conta per te e quindi hai una direzione (nota che non ho parlato di obbiettivi!), se ciò che fai, pur essendo faticoso a volte, ti dà un senso di scopo, credo che alla fine delle tue giornate e delle tue settimane “non equilibrate” potrai sentire che ne è valso l’impegno. 

 

Insomma, sentirai quel senso di appagamento che tutti noi cerchiamo.

E questo, a parer mio, vale più della chimera dell’equilibrio.

Cosa possiamo imparare da questo anno difficile?

Cosa possiamo imparare da questo anno difficile?

Un anno, questo, che ci ha messo tutti alla prova, e non ha finto di sfidarci, nemmeno per le feste.

Stiamo per trascorrere un Natale sotto tono, che per molti sarà lontano dai propri cari, o sarà accompagnato dalla preoccupazione che incontrarsi e scambiarsi affetto e abbracci possa mettere a rischio la salute di chi amiamo.

Ho appena saputo che probabilmente non festeggerò con mio padre e la sua famiglia, perché in una riunione familiare non si sentirebbero del tutto sereni. Lo comprendo, ma il dispiacere comunque è grande, perché la Vigilia di Natale, da sempre, è stata insieme.

Ma questa è solo la ciliegina sulla torta, su una torta che ognuno di noi avrebbe fatto volentieri a meno di mangiare.

Nei mesi passati abbiamo infatti vissuto ogni tipo di emozione: disorientamento, paura, rabbia, ci siamo sentiti costretti e privati della nostra libertà, confusi dalle informazioni discordanti, sopraffatti dalle disposizioni e dai provvedimenti, impotenti davanti a chiusure e distanziamenti, indignati per i danni economici, addolorati per non poter dare un degno saluto a chi ci lasciava, preoccupati per i nostri anziani e per il futuro nostro e dei nostri figli.

Siamo stati messi alla prova, e lo siamo tuttora.

Ma… c’è un ma.

Quest’anno ha portato anche dei doni. Ben nascosti, ma ci sono stati 😉

Mi piacerebbe quindi che ci focalizzassimo insieme su quello che di buono questo anno ci ha lasciato, vorrei facessimo questo esercizio di stanare il bene anche dove, ad uno sguardo superficiale, sarebbe difficile vederlo.

Pronta? Pronto?

È STATO UN ANNO ESSENZIALE


Una delle cose di cui mi sono resa conto è che non abbiamo bisogno di molte cose, soprattutto in termini di capi d’abbigliamento, ma anche di oggetti in generale. Io ero già piuttosto “essenziale”, e sono stata bene anche con meno.

Certo, in questo periodo è più facile perché le occasioni sociali sono decisamente ridotte, ma potrebbe essere il “La” per continuare ad essere più attenti alla sostanza che alla forma, più padroni delle nostre scelte e meno proni ai bisogni indotti dai paragoni e dalla pubblicità.

UN ANNO DI COSE SEMPLICI


Ho imparato a dare un valore ancora più grande a cose semplici come una passeggiata all’aria aperta, una cena con una coppia di amici, una videochiamata mentre preparo la cena.

Nella mia vita non avrei mai pensato, infatti, che potesse mancarci una libertà così basilare come quella di uscire di casa, passeggiare, incontrarsi. Ogni volta che diamo qualcosa per “scontata” forse non la stiamo davvero apprezzando per quanto vale.

UN ANNO DI DOMANDE


Ho osservato che molte delle cose che facevamo “prima” non erano così importanti ai fini del nostro benessere (anche se non vedo l’ora di poter fare un viaggio in qualche luogo dove la Natura è selvaggia).

Questo periodo ci ha permesso forse di farci quelle domande importanti, quelle che non si ha mai tempo per porsi e che possono portarci a fare scelte diverse rispetto alle abitudini e ai comportamenti che chissà quando avevamo adottato: un’ottima opportunità per ridefinire chi siamo, cosa ci fa stare bene, cosa vogliamo, e cosa non vogliamo più.

UN ANNO DI ALLEANZE


Ho avuto più occasioni di “alleanze” con amiche e colleghe, più desiderio di unione e di creare cose insieme.

Forse perché i momenti difficili accomunano. Ma in realtà credo che questo “fare meno”, questo essere meno affaccendate, ci ha dato più modo di ascoltare la nostra voce interiore, i nostri desideri e le nostre intuizioni.

UN ANNO DI SEMPLICI ATTIMI


Ho imparato ad apprezzare un caffè bevuto per strada in un bicchierino di carta. Una cena semplice fatta in casa con le amiche.Ho dato maggior presenza e attenzione a ogni momento passato con le persone a me care.

Forse eravamo un po’ “viziati” (io un po’ lo sono. Sicuramente per quanto riguarda il caffè 😉 ).Ma questo periodo di privazioni, forse il primo della vita per molti di noi, ci ha offerto la possibilità di spostare il focus, di diventare delle campionesse e dei campioni dell’apprezzamento, di vivere il momento presente senza correre avanti in quel che verrà dopo e senza fare paragoni con il passato, e senza confrontare con un ideale che, per lo meno ora, non era attuabile.

UN ANNO DI CONSAPEVOLEZZA


Ho visto e compreso ad un livello più profondo quanto sia importante sospendere il giudizio verso chi ha paure o idee diverse dalle proprie, e quanto sia cruciale esprimere il proprio pensiero senza creare ulteriore divisione. 

Questo non è sempre facile lo ammetto, sebbene la direzione sia chiara. Ma quello che abbiamo visto – e che qui non voglio ripetere- è stata la creazione di due fazioni, il reciproco screditamento della parte opposta a colpi di epiteti ed etichette arbitrarie, la mancanza totale di ascolto di ciò che l’altro sostiene, delle sue parole, ma soprattutto delle sue preoccupazioni, delle sue paure. Opporsi rinforza questo meccanismo, e io ho compreso che non voglio partecipare, non voglio seminare dualità e discordia, neanche ad un livello energetico, perché questa divisione non ci fa gioco, fa solo gioco a un sistema che ha le sue ragioni di esistere, ma che non sono le nostre. Come ci ricorda l’antica saggezza dei nativi americani: “Nessun albero ha rami così stupidi da litigare tra loro.”

UN ANNO DI RITOCCHI MAGICI


Ho imparato ad aggiungere un doppio pizzico di magia al quotidiano, quando rischiava di diventare troppo prevedibile. 

Non ho mai amato la parola “accontentarsi”, perché mi rimanda l’idea di rinuncia, di rassegnarsi a situazioni e cose che non ci appagano o non fanno per noi, quasi non avessimo diritto a desiderare altro. Amo però l’idea di “farci contenti” come apprezzamento e “impreziosimento” di ciò che c’è, di quello che abbiamo, di quello che è possibile. Sì quindi alla creatività che ci sospinge nel dar vita a nuove modalità e situazioni, nonostante i limiti del momento.

E quindi?

Sappiamo tutti quante cose ci sono mancate e ancora ci mancano, e siamo tutti concordi nell’auspicarci di riacquisire la nostra spensieratezza e soprattutto una maggiore libertà. 

Ma da ogni situazione possiamo uscire più forti e capaci se riusciamo a focalizzarci sul “pieno”, prima che sul “vuoto”.

Accorgersi, essere consapevoli, apprezzare, sono passaggi importanti a questo scopo.

Ti invito a fare lo stesso, prima a livello generale, e poi a livello personale.

Registrare i tuoi successi personali, le soddisfazioni, l’impegno, è un passaggio cruciale per chiudere bene l’anno in corso ed affacciarsi con lucidità, fiducia ed un pizzico di magia all’anno nuovo. È questo infatti il primo passo di ogni processo di pianificazione, o meglio creazione, dell’anno che verrà.

Perciò prenditi il tempo per apprezzare, per diventare consapevole di ciò che è nascosto, per “registrare” a livello profondo i tuoi successi (non necessariamente in termini di esito, ma anche in termini di impegno, attenzione, cura che hai messo in ciò che hai fatto).

Non ci è mai dato di sapere come saranno le cose là fuori.

Ma in ogni momento abbiamo l’estrema libertà di scegliere come vogliamo sentirci, e di rispondere agli eventi come veri “capitani della nostra nave”.

E con questa scorta di beni nella stiva, sapremo certamente navigare bene anche se ci sarà qualche tempesta.

Sei riuscita a fare la tua lista delle cose positive dell’anno? 

Raccontami quello che hai scoperto nei commenti qui sotto, oppure mandami un messaggio su Instagram se non sei riuscita a trovare “niente”, sarei felice di aiutarti!

Un abbraccio,
Gina