29 Giu 2020 | Crescita personale
Ti ho parlato dell’importanza di trovare il tuo posto felice nella vita reale, di riconoscere e diventare consapevole dei luoghi che ti fanno sentire connessa con ciò che ti circonda e, specialmente, con te stessa.
Oltre a ciò, esiste anche un modo alternativo per raggiungere il tuo posto felice: creandolo. Esatto, hai letto bene. Ti parlo di come creare il tuo happy place mentale, utilizzando le funzioni superiori della tua mente.
La prima volta che l’ho incontrato avevo poco più di 18 anni.
Stavo attraversando un periodo molto difficile della mia vita, che purtroppo non sarebbe durato poco: la malattia e la morte di mia madre mi avevano lasciata con un vuoto incolmabile e con un macigno di immagini dolorose e di emozioni non espresse da comprendere ed elaborare.
Nel tentativo di ritrovare un po’ di benessere avevo accettato di partecipare ad un corso di dinamica mentale (ora dinamiche della mente) dove ho iniziato a comprendere, forse per la prima volta in termini anche pratici, come funzioni la nostra mente e come fosse possibile utilizzarla consapevolmente per un maggiore benessere.
L’esercizio con i colori dell’arcobaleno
Uno degli esercizi base che praticavamo era il rilassamento con i colori dell’arcobaleno al quale seguiva l’immaginazione di una scala con 21 gradini da discendere. Alla fine della discesa, e dopo qualche ulteriore passaggio, eravamo guidati a lasciar apparire un bel posto della natura in cui sentirci bene, protetti, al sicuro, liberi di esplorare, muoverci e fare meravigliose scoperte e incontri.
È apparso così: una piccola radura verdissima, con un enorme albero di cui ricordo ancora i dettagli e i disegni della corteccia. La temperatura era perfetta e c’era qualche fiore – pochissimi a dire il vero – che sembravano dipinti con i pennarelli da un bambino più che dei fiori reali. Ma si sa, con l’immaginazione possiamo fare qualsiasi cosa.
Finalmente l’ho trovato
È così che ho incontrato il mio posto felice della mente, il mio posto sicuro, il luogo dove potevo rifugiarmi anche senza spostarmi da casa. Questo posto era in grado di aiutarmi a guarire le mie ferite e rigenerarmi in quella che non era una fuga dalla realtà, ma una pausa dall’incessante attività dei pensieri automatici che la nostra mente produce.
In quel posto magico potevo immaginare qualsiasi cosa, potevo far apparire sagge guide che mi portavano messaggi e insegnamenti preziosi, potevo ricevere medicamenti portentosi, potevo mandare pensieri di amore e guarigione non solo a me stessa ma a tutte le persone che ne avessero bisogno.
Non è pura e semplice immaginazione
Potrebbe sembrare solo fantasia, potrebbe somigliare una fuga dalla realtà. Ciò che avveniva, invece, era una comunicazione simbolica con il mio inconscio, bypassando il mondo dei pensieri ordinari e forgiando nuove sinapsi e nuove reti neurali, a sostegno di un migliore equilibrio e benessere autentico.
Negli anni quel posto felice ha cambiato aspetto diverse volte, diventando ora una spiaggia deserta del Mar Rosso dove avevo corso da sola e libera in una vacanza da ragazza. Ma anche una piccola baia delle Isole Comore di cui mi ero innamorata in un altro viaggio. Poi l’incavo di un albero gigante che mi accoglieva al suo interno diventando una sorta di casa con più stanze. Ciò che non cambiava mai era la sensazione di pace e sicurezza che quei luoghi mi trasmettevano e i benefici che potevo trarne tutte le volte a livello mentale, emozionale e anche fisico. Questo lo percepivo io, ma è dimostrato ora anche dalla scienza.
La nostra mente è portentosa
Attraverso queste prime esperienze ho iniziato a comprendere che i poteri della nostra mente sono magici e misteriosi. Non tutto è spiegabile in modo logico e razionale. Queste esperienze sintetiche che noi possiamo fare in uno stato di rilassamento e immersi in una realtà virtuale, che non necessita di tecnologia esterna, sono molto più potenti di quanto possano apparire. L’esperienza sintetica veniva utilizzata già negli anni ’70 con atleti professionisti ad alto livello. La pratica permetteva loro, tramite una vivida e particolareggiata immaginazione di allenamento, di attivare le stesse aree del cervello che si attivavano durante gli allenamenti effettivi, con effetti positivi concreti e misurabili sia sul perfezionamento della tecnica, sia sullo sviluppo muscolare. Magari te ne parlerò in un prossimo articolo 🙂 .
Forse sono state proprio queste prime esperienze ad avviarmi verso il desiderio di indagare e comprendere sempre meglio come funziona la nostra mente e come possiamo intervenire attivamente per creare un maggiore benessere ed una maggiore felicità.
Il tuo posto felice è all’interno della tua mente
Ti invito quindi a creare il tuo posto felice all’interno della tua mente, un luogo dove poterti rilassare profondamente e creare attivamente (e non casualmente, come nei pensieri ordinari). Magari anche tu, con un pizzico di polvere magica, avrai l’opportunità di incontrare grandi maestri e saggi. Magari saranno proprio quei personaggi “immaginati” a darti le risposte che ti servono per superare un problema, a trovare una soluzione creativa o a spiegarti come concretizzare il prossimo passo del tuo progetto.
Certo, sei sempre tu, sono parti di te. Ma sono le funzioni superiori della tua mente ad emergere quando sei in uno stato di profondo rilassamento e le tue onde cerebrali rallentano, ed è uno stato molto ricco di risorse che puoi sperimentare con grande facilità.
Se vuoi, posso aiutarti a creare il tuo posto felice
Ti piacerebbe ricevere una registrazione audio che ti aiuti a rilassarti e a far apparire il tuo posto felice?
Chi è iscritto alla mia newsletter riceverà questo mese una speciale meditazione guidata per raggiungere e creare il proprio posto felice.
Vuoi riceverla anche tu?
Seguimi su Instagram e contattami in privato: ti manderò il link per scaricare la meditazione.
Un abbraccio,
Gina!
Ps: se sei interessata a leggere anche l’articolo sul tuo luogo felice fisico lo trovi qui.
1 Giu 2020 | Crescita personale
Perché la ricompensa serve più della minaccia quando vogliamo attivare in noi un comportamento virtuoso.
Tutti noi abbiamo qualche comportamento di cui faremmo volentieri a meno, giusto? Un comportamento che a lungo andare potrebbe portarci a risultati spiacevoli.
E sicuramente spesso vorremmo aiutare qualcun altro a cambiare il proprio comportamento in uno più positivo (magari i nostri figli, il nostro compagno, i nostri colleghi, i nostri capi…)
La nostra resistenza al cambiamento però rema spesso in direzione opposta ai nostri desideri, e ce ne accorgiamo tutte le volte che facciamo un nuovo proposito, senza poi riuscire a portarlo avanti.
Come mai continui ad evitare di allenarti, se sai che porterà il tuo fisico a indebolirsi e ad accumulare curve nei posti più indesiderati?
Perché continui a stare in quella relazione, se sai di aver scelto la persona sbagliata?
Per quale motivo eviti di attuare quelle strategie di organizzazione che ti farebbero fare un salto di qualità nel tuo lavoro di freelance?
Sappiamo che le due leve che motivano il nostro comportamento sono la ricerca del piacere e l’allontanamento dal dolore (non solo in senso fisico, ma soprattutto emozionale).
Forse però non usiamo la leva giusta.
Cosa ci motiva veramente al cambiamento?
Una delle strategie che usiamo maggiormente per tentare di farci fare (o indurre qualcuno a fare) qualcosa, è immaginare o prospettare i pericoli e le conseguenze negative di quella condotta.
In pratica usiamo la paura come motivazione, tentiamo di spaventare noi stessi e gli altri per indurre un cambiamento positivo.
Peccato che questo raramente funziona, ce lo dimostra anche la scienza.
Infatti la risposta del nostro cervello alla paura è flee or freeze: fuga o paralisi, molto più raramente fight, ovvero combattimento.
Quindi minacciare tuo figlio, dicendogli che se non sistema la stanza non potrà giocare al computer, difficilmente si rivela efficace. A volte lo è nell’immediato, ma non lo aiuta ad aver voglia di fare la cosa giusta, non lo aiuta a costruire l’abitudine di rimettere le cose al loro posto.
Così come non funziona mettere quelle immagini terrorizzanti sui pacchetti di sigarette. Anzi. La paura, in questo caso, porta alla fuga, ma non dalle sigarette, bensì dalle sensazioni negative che quell’immagine evoca. Ecco perché conoscerai sicuramente qualcuno che ama rifugiarsi in rassicuranti giustificazioni come “ne muoiono di più in incidenti stradali” o “mia nonna fumava un pacchetto al giorno ed è rimasta sana come un pesce fino a 95 anni”.
Tendiamo a evitare le situazioni che ci spaventano.
Prova a pensarci: controlli più spesso il tuo saldo bancario nei periodi di “grassa” o quando sai di avere eroso il fido? Se sei come la maggior parte delle persone, ti colleghi spesso nei momenti buoni e poco nei momenti critici, salvo poi tornare a controllare freneticamente quando le cose vanno davvero male e a volte è ormai un po’ tardi per intervenire.
Diversi studi scientifici hanno dimostrato che per la maggior parte della nostra vita non sembriamo imparare dalle notizie “minacciose” (salvo un periodo che va dai 30 ai 40 anni circa).
Rispetto a cosa ci può spingere a cambiare un comportamento negativo, siamo tutti più sensibili alle informazioni che vorremmo sentire, piuttosto che quelle che ci spaventano.
Ma se le minacce non sono funzionali, quale “leva” si confà di più al nostro cervello?
Mi ha colpito molto leggere di un esperimento che è stato condotto in un ospedale, dove è stata installata una telecamera per monitorare quanti medici e paramedici usassero sanificare le mani prima e dopo aver fatto visita a un paziente (questo era prima del Covid, of course).
Nonostante tutti sapessero quanto questa operazione potesse essere importante e tutti sapessero che c’era una telecamera a filmarli, soltanto uno su dieci faceva regolarmente questa operazione (GOSH!).
Allora è stato inserito l’utilizzo di una lavagna elettronica, visibile a tutti, che tenesse traccia dei “progressi” di tutto lo staff medico riguardo la sanificazione delle mani. Indovina un po?
Il 90% delle personale medico ha modificato positivamente il suo comportamento!
Come mai? E come possiamo usare questa conoscenza per aiutare noi stesse, e indurci a modificare positivamente quei nostri comportamenti che sarebbe così importante trasformare?
Ecco le tre leve che hanno funzionato, attivate dall’utilizzo della lavagna elettronica:
- INCENTIVAZIONE SOCIALE: Siamo esseri sociali, e a volte anche un filino competitivi 😉 Sapere cosa fanno gli altri e tentare di uguagliarli, o superarli, sembra essere un comportamento naturale per il nostro cervello. Ecco perché connetterci con persone che si cimentano nell’implementare una certa attività virtuosa può aiutarci a farlo anche noi, perché risulta che questo rende il nostro cervello più felice, ed incline quindi all’azione.
- RICOMPENSA IMMEDIATA: Premiati! A volte basterà un bel segno di spunta colorato sulla tua to do list, altre volte sarà un piccolo festeggiamento, altre volte sarà fermarti per un attimo e ringraziare te stessa per il progresso fatto, possibilmente tenendone una traccia scritta. Tendiamo a prediligere il piacere immediato rispetto la soddisfazione futura, il certo per l’incerto: insomma, il celebre uovo oggi, perché chissà se potrò avere una gallina domani… 😉 Quindi, la ricompensa immediata per qualcosa che pagherà soltanto in futuro è una buona strategia e sembra essere la via per evitare il naufragio di mille splendidi propositi felici.
- MONITORAGGIO DEI PROGRESSI: Sottolinea i progressi possibili, piuttosto che le conseguenze negative. La paura induce inazione più spesso di quanto non induca attivazione, mentre invece sentirsi progredire è una sensazione che viene ricercata, tra le persone di tutte le età. Tieni traccia, scrivi, fai un grafico, usa delle applicazioni, racconta a qualcuno e “registra” tu stessa i tuoi passi avanti nella direzione che hai intrapreso. Ti aiuterà ad aver voglia di fare ulteriori progressi.
E ora passiamo all’azione
Come potresti applicare questa conoscenza alla tua vita, e applicare i 3 passaggi qui descritti per modificare un tuo comportamento?
Io ho deciso che cercherò un’alleata per fare un allenamento di Pilates e di Yoga a casa, in collegamento online, un paio di volte alla settimana in giorni e orari fissi (capita anche a te che siccome-potresti-farlo-sempre-allora-non-lo fai-mai?).
La mia ricompensa sarà sentirmi più forte ed elastica, e affidabile per mantenere l’impegno, e metterò una stelletta colorata sul calendario tutte le volte che terrò fede all’impegno.
Monitorerò i progressi notando la maggior facilità di esecuzione, forza e resistenza
E tu, su quale aspetto della tua vita ti vuoi sperimentare?
Fammelo sapere!
E se decidi che quell’alleata vorresti essere tu, magari combiniamo. 😉
Un abbraccio!
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4 Mag 2020 | Crescita personale
e come possiamo lavorare per crearla
Cos’è questa felicità di cui parlo tanto? Non si tratta di un ottimismo che ignora il buon senso, una gioia perfetta h24 o correre in giro con un sorriso a 32 denti.
La felicità è una cosa seria 😉
È uno qualcosa di concreto, un solido stato di benessere che tutti noi possiamo allenare. Come la forma fisica.
Questo non è di certo uno dei periodi più spensierati della storia, come certamente sai, e parlare di Felicità può sembrare frivolo o superfluo, perché ci sono cose più serie e gravi a cui pensare.
Ma se lavorare alla felicità ci rendesse concretamente più capaci, più adatti a superare anche questo momento, se ci rendesse più creativi e coraggiosi, più concentrati ed efficaci, allora non sarebbe questa la priorità?
Lasciarsi contagiare dalla negatività, dalle legittime preoccupazioni, dalla frustrazione, rabbia, tristezza o pessimismo è tutto sommato facile: se non stiamo attenti, avviene senza che tu debba fare niente.
L’altra opzione, invece, è quella di assumersi la responsabilità di come ti senti e investire un po’ di tempo nella creazione e nella condivisione.
È da questa presa di responsabilità e dalla domanda “cosa posso fare io?” che è nata in me l’idea, all’inizio del lockdown, di creare il percorso gratuito che si è da poco concluso su Le pratiche della felicità.
E a posteriori posso confermare che è stata una delle idee più belle e gratificanti che ho avuto negli ultimi tempi , in quanto ci siamo trovati in tantissimi (in realtà quasi tutte donne) a fare pratica di felicità.
Infatti la felicità per me va allenata, non ricercata.
Ora ti voglio raccontare qualcosa che forse ha contribuito a rafforzare l’equivoco riguardo alla “ricerca” della felicità
Nel 1776 Thomas Jefferson ha redatto la Dichiarazione di Indipendenza in cui, tra le altre cose, veniva riconosciuto a tutti gli americani il diritto a “The pursuit of Happiness” interpretato e tradotto appunto come “ricerca” della Felicità.
Probabilmente avrai visto anche il celebre (e bellissimo!) film con Will Smith dal titolo omonimo.
Pochi sanno però che a quel tempo il verbo to pursue significava “praticare un’attività, farla regolarmente, renderla un’abitudine”.
SBAM! Quando l’ho letto per la prima volta è stata un’ulteriore conferma per me, di quanto la felicità sia una competenza che possiamo allenare.
Ed è tutta nelle nostre mani.
Ricercarla genera frustrazione, perché porta a rincorrere obbiettivi e ideali spesso stereotipati. Se, invece, alleni il tuo corpo e la tua mente a creare il tuo naturale stato di benessere, riuscirai a provare la felicità reale, concreta, fatta su misura per te.
E da lì sarà anche più facile comprendere quali “battaglie” intraprendere, e quali invece vorrai lasciar perdere perché non ti corrispondono.
Essere felici comporta innumerevoli benefici, come:
- prendere decisioni che si riveleranno più giuste e allineate con noi
- avere relazioni personali e lavorative migliori
- portare avanti le proprie azioni con maggiore efficacia
- provare emozioni più funzionali alle varie situazioni
- attutire i momenti down con maggiore consapevolezza
- avere a disposizione tutta la nostra creatività (che sotto stress non è disponibile)
- portare maggior equilibrio al nostro organismo, a vantaggio della nostra salute
- il nostro corpo rifletterà il nostro stato mentale: saremo più belle e giovani! (ce lo conferma la scienza)
Durante il corso online, durato ben 6 settimane, abbiamo toccato diversi aspetti:
- abbiamo esplorato i fondamenti scientifici della felicità, gli effetti dello stress sul corpo e sulle capacità cognitive e relazionali, i benefici dello stato di benessere;
- abbiamo imparato a rallentare e ri-equilibrare corpo e mente in 3 minuti;
- abbiamo sperimentato l’effetto energizzante o calmante del respiro;
- abbiamo praticato tecniche come l’Equilibrio Emozionale, il Switching, il Radicamento, Il Comando Theta, la tecnica di Coerenza Cardiaca Veloce e molte altre;
- abbiamo sperimentato quanto la Felicità possa essere creata e allenata non solo per stare meglio, ma per essere decisamente più efficaci nella vita.
La grande ondata di energia scatenata da questa serie di incontri mi ha fatto capire quanto per me fosse importante inserire un nuovo corso, all’interno dei miei percorsi, che faccia della felicità una priorità e possa aiutare le persone a prendersi questa responsabilità e innalzare stabilmente il proprio “punto chiave” della felicità.
Il nuovo percorso che ho ideato si chiama Le pratiche della felicità Intensive Circle: clicca qui per avere tutte le informazioni!
Un abbraccio,
Gina
15 Apr 2020 | Crescita personale
Non puoi pretendere che dal tubetto di dentifricio esca la crema per il viso: quando sei sotto pressione, butti fuori quello che c’è già dentro di te.
Questo ragionamento ti sembra abbastanza scontato, vero? E dire che è difficile prendere consapevolezza del meccanismo quando succede a noi. Eppure funziona allo stesso modo: quando qualcuno va a stimolare un nostro punto sensibile, la reazione (quello che buttiamo fuori) non è da imputare a l’altro, ma fa parte di ciò che noi già avevamo dentro.
Ti ho incuriosito? Lascia che ti racconti meglio in questo articolo!
Qualche giorno fa, in una delle mie rarissime uscite dall’inizio del lockdown, ho assistito a due scene che mi hanno fatto riflettere. Anzi, ti dirò di più: di una sono stata sia osservatrice che protagonista.
Ti racconto cosa è successo a me
Ero stata dal dentista e stavo rientrando in macchina, verso casa. Ad un certo punto, in lontananza, vedo una signora in bicicletta che sbuca per attraversare sulle strisce. Mi è venuto spontaneo rallentare con grande anticipo e fermarmi a una distanza maggiore del solito – quasi a volerla rassicurare sulle mie intenzioni. Le ho sorriso, ci siamo guardate negli occhi, e le ho fatto un cenno per farla passare.
Dopo questo breve incontro, ho proseguito lungo la strada e mi sono fermata per fare la spesa nel piccolo market vicino a casa.
… e di cosa sono stata spettatrice
Mi sono messa in fila e prima di me c’erano tre persone: un uomo sui quarant’anni con due cani al guinzaglio, e due uomini tra i cinquanta e i sessanta.
Erano tutti con mascherina e guanti, tranne l’uomo con i cani che chiacchierava con il più giovane dei due. Il signore più anziano attendeva il suo turno cercando di capire a chi sarebbe toccato. Vedendo uscire un cliente e vedendo che nessuno della fila accennasse ad entrare, ha gentilmente fatto notare che qualcuno era uscito e che quindi si poteva entrare.
In un attimo l’uomo più giovane, quello con i due cani, ha reagito rabbiosamente, prendendola sul personale e lamentandosi con un classico «Eh… si vede che siamo in Italia!», offendendo il malcapitato e cercando solidarietà con il suo interlocutore di prima.
Ho osservato tutto questo senza giudizio, ma ora vorrei riflettere con te.
Qualche attimo prima a me era venuto spontaneo fare un gesto di gentilezza, forse addirittura più per me che per la signora in bicicletta. Quel piccolissimo atto di gentilezza e solidarietà faceva stare bene me, in primo luogo, ed era benefico anche per lei.
Era come una piccola onda che nasceva e si propagava da dentro di me, a fuori di me, fino all’altra persona. E forse oltre.
E credimi, non lo scrivo per vantarmi della mia bontà d’animo 😉 ma per sottolineare che quel gesto è stato possibile perché dentro di me in quel momento c’era calma e serenità, c’erano sentimenti benevoli.
(Non mi sento sempre così: ti assicuro che quando sono nel traffico e in ritardo per un appuntamento mi risulta davvero poco spontaneo fare la stessa cosa. 😉 Diciamo che, mediamente, mi trovo in quello stato d’animo).
Ma torniamo al ragazzo sotto pressione
Il ragazzo con i cani fuori dal supermercato invece alla minima sollecitazione ha buttato fuori una nuvola di rabbia, rancore, turbolenza e aggressività.
Colpa dell’uomo che l’ha sollecitato ad entrare?
No. Semplicemente, alla minima pressione è uscito quello che c’era già dentro.
Non puoi spremere il tubo della maionese e sperare che ne esca della senape.
Anche quella è stata un’onda, ma un’onda di tensione e frustrazione, di separazione e giudizio che, come la nuvola di polvere e insetti che gira intorno a Pig-Pen, ha un effetto su tutte le persone intorno.
(Se non te lo ricordi Pig-Pen è il personaggio dei Peanuts che ha un pessimo rapporto con acqua e sapone).
Come mai avviene questo?
É un periodo in cui la pressione esterna è aumentata, in cui tutti siamo sfidati in qualche misura.
E quando non possiamo controllare l’esterno (ma quand’è che possiamo, in realtà?) rimaniamo a fare i conti con quello che c’è dentro di noi.
Sappiamo creare una certa pace, anche nel bel mezzo di una sfida?
Sappiamo creare una sorta di benevolenza, anche quando qualcuno va a toccare un nostro punto sensibile?
Sappiamo creare equilibrio, anche quando fuori le cose girano vorticosamente?
Sappiamo dire ciò che pensiamo, senza per questo aggredire o annientare l’altro?
Allo stesso modo in cui possiamo allenare il corpo per essere più adatti ad affrontare le sfide sul piano fisico, possiamo allenare anche la nostra mente e il nostro sistema per essere adatti e capaci ad affrontare qualsiasi tipo di situazione.
Possiamo allenarci a creare una solida base di benessere a prescindere da ciò che accade. E non necessariamente perché cerchiamo l’Illuminazione, ma per essere più efficaci nelle nostre relazioni, nelle nostre piccole e grandi imprese, nel prendere decisioni, nello scegliere ciò che è buono per noi.
Stare bene dentro, per i più, non è un dono del cielo: è frutto di attenzione e di pratica.
La pressione ha generato in me una voglia di creare
Anche per questo motivo ho creato il percorso gratuito online Le Pratiche della Felicità, ogni martedì alle 18.30 fino alla fine di aprile.
Iscriviti mandando una mail a info@ginaabate.it con oggetto Le Pratiche della Felicità, e ci alleneremo insieme!
17 Feb 2020 | Crescita personale
Cosa sta alla base della comunicazione empatica? Impariamo la tecnica delle 5 sedie, per comunicare con maggiore consapevolezza.
Avere relazioni di qualità sembra essere una delle risorse essenziali per vivere una vita felice, e ricca di significato, come risulta dalla ricerca sulla felicità più lunga della storia (Harvard, 1938- 2013). Eppure le nostre sofferenze più frequenti derivano proprio dal “non capirsi”, dai litigi, dalle discussioni che quotidianamente abbiamo proprio con le persone a noi più vicine, a casa, con gli amici e al lavoro. Com’è possibile?
Marshall Rosenberg, padre della comunicazione non-violenta, ci ha trasmesso l’idea che il nostro modo di comunicare “violento” (ricco cioè di critiche, giudizi e manipolazioni) è qualcosa di appreso, mentre l’Empatia è qualcosa di innato, che però perdiamo crescendo, imitando i modelli comunicativi che registriamo intorno a noi. Serve quindi recuperarla, per comunicare mantenendo il contatto con noi stesse e con gli altri, osservando senza giudicare, individuando emozioni e bisogni, e facendo le richieste necessarie.
Non so quale sia la tua esperienza in merito, ma a me capita a volte di scivolare inconsapevolmente in una battaglia su chi ha più ragione, magari con il mio compagno (eh già… lui è proprio la mia palestra più grande 😉 ) E allora ecco che mi fermo, faccio un passo indietro e utilizzo quello che so. Quello che sto per condividere con te in questo articolo è proprio uno dei metodi che mi viene maggiormente in aiuto…
Le 5 sedie per imparare la comunicazione empatica
Una delle metodologie che trovo essere più utili quando si tratta di comunicazione empatica e modulazione del nostro comportamento “sotto pressione” è la tecnica delle 5 sedie di Louise Evans, che lei stessa descrive nel suo intervento al Tedx di Genova. Questa metodologia ti aiuterà a rallentare e capire quale tipo di comunicazione e di comportamento stai attuando in ogni situazione.
Se mi conosci un po’ sai quanto io ami la Natura: sarà anche per questo che trovo simpatica, oltre che efficace, questa metodologia: i protagonisti sono 5 animali, che con le loro caratteristiche ti aiuteranno ad osservare il tuo comportamento e magari sceglierne gradatamente uno più funzionale. Ma vediamoli!
La teoria della comunicazione empatica: ad ogni animale la sua sedia
Immagina di avere cinque sedie in fila, di 5 colori diversi e ognuna collegata ad un animale. Immagina di capire dove ti trovi in ogni situazione “difficile” tra te e qualcun altro e tieni presente che più ti sposti verso la sedia numero 5, più abile sarai diventata e meglio sarà per le tue relazioni.
SEDIA ROSSA – LO SCIACALLO
Lo sciacallo è un animale molto furbo, opportunista, un animale che attacca. In termini comunicativi, quando sei su questa sedia fai il gioco del “ho ragione io”. Se noi abbiamo ragione, questo implica che dall’altra parte qualcuno deve avere per forza torto e questo non facilita sicuramente le relazioni. É più importante per noi avere ragione o preservare e magari rafforzare la relazione con questa persona? Ricorda sempre che avere ragione non serve a niente. Se non a rimanere uguali a se stessi.
SEDIA GIALLA – IL PORCOSPINO
Il porcospino è un animale che si sente molto vulnerabile e quando avverte un pericolo o c’è qualcosa che lo spaventa, si appallottola su se stesso per proteggersi. Questa è una sedia di dubbio, di critica e giudizi verso noi stesse , di insicurezza. Qui è come se ricercassi quello che ci potrebbe essere di sbagliato te e nelle tue azioni, con la certezza di trovarlo. Quando siamo sulla sedia del porcospino è come se riversassimo tutti gli attacchi dello sciacallo verso noi stesse. E anche qui non si sta per niente bene.
SEDIA VERDE – IL SURICATO
Hai presente il suricato? Quel simpatico animaletto di nome Timòn che nel Re Leone canta Hakuna Matata insieme al Facocero Pumba? Bene, Walt Disney a parte, il suricato è un animaletto che quando è “di guardia” è capace di stare in piedi per delle ore sulle zampare posteriori e, allungandosi il più possibile, osservare cosa succede tutt’intorno. É un animaletto molto molto vigile, capace di stare ore fermo immobile a non far nulla, limitandosi ad osservare. Questa è la sedia in cui siamo vigili, siamo delle sentinelle, siamo in pausa, attendiamo. È la sedia della consapevolezza. Ci interroghiamo su quello che pensiamo, su quello che diciamo. È una sedia in cui diventiamo curiose anziché giudicanti. Questa è la sedia da dove scegliamo da che parte andare: direzione sciacallo e direzione giraffa?
SEDIA AZZURRA – IL DELFINO
Il delfino è un animale super intelligente, curioso, socievole, ama giocare, ma soprattutto è dotato di un radar molto particolare, detto “sonar”, che gli permette di emettere dei suoni impercettibili all’uomo che, rimbalzando suoi ostacoli circostanti, gli forniscono una mappa dettagliata di tutto ciò che lo circonda. Quella del delfino sarà perciò la sedia dell’introspezione e dell’indagine. Per questa sedia è calzante il pensiero di Aristotele “Conoscere te stesso è l’inizio di tutta la saggezza”. Qui indaghiamo dentro di noi, siamo molto consapevoli di noi stesse, riconosciamo quali sono i nostri bisogni, i nostri valori, i nostri confini con chiarezza. È una sedia potente, in cui ci riprendiamo il nostro potere e riusciamo a mettere i nostri paletti in modo assertivo e mai aggressivo.
SEDIA VIOLA – LA GIRAFFA
La giraffa è l’animale che ha il cuore tra i più grandi e potenti di tutti gli animali terrestri, ed ha anche il collo più lungo, che le permette di guardare le cose da una prospettiva molto più ampia rispetto a qualsiasi altro animale non volatile. In questa sedia noi siamo consapevoli dei nostri bisogni ma siamo attente anche ai bisogni dell’altra persona. Siamo empatiche, amorevoli. Iniziamo a chiederci cosa sta provando l’altra persona, cosa sta succedendo dentro di lei, di che cosa ha bisogno. Qui non ci importa di avere ragione, ci caliamo nei panni degli altri, cerchiamo di comprenderli e di vedere tutto con una visione più ampia. Diventiamo comprensive e accettiamo la diversità. É una sedia in cui manteniamo la connessione con l’altra persona, qualsiasi cosa accada, anche se siamo in disaccordo e anche se dal confronto dovesse risultare di prendere due strade diverse.
Ma vediamo un esempio concreto.
Proviamo a immaginare una situazione reale e, in seguito, vediamo che tipo di risposta potremmo adottare spostandoci di sedia in sedia.
SITUAZIONE: Stai passeggiando per la città e incroci un’ex collega che non vedi e non senti da un po’ di tempo e con la quale eravate molto legate. Ti sembra di notare che è sfuggente, che nel suo atteggiamento c’è qualcosa di diverso dal solito.
COMUNICAZIONE EMPATICA – COME RISPONDERE, SPOSTANDOTI DA UNA SEDIA ALL’ALTRA:
- SCIACALLO – Attacchiamo l’amica. «Ehi, ma buongiorno!! Tutto bene sì?! ti ho chiamato tre volte e tu non rispondi? Sono mesi che non ti fai viva!». Potremmo anche non attaccare verbalmente, ma farlo con uno sguardo di sospetto o di giudizio, o con un tono di voce velatamente accusatorio. Insomma, il sottofondo qui è che noi siamo la parte lesa e lei si è comportata male.
- PORCOSPINO – La salutiamo velocemente, magari risultando sfuggenti noi, perché siamo impegnate a rimuginare, mettendoci in una condizione di colpevole vittimismo. “Chissà cosa ho fatto, come mai non si è fatta viva con me, le avrò fatto qualcosa? Sarà per quella volta che le ho fatto una battuta e lei c’è rimasta male… Eh sì, sicuro ce l’ha con me. O magari crede ancora che io abbia parlato male di lei con il capo…” Insomma, qui la ricerca dell’errore, della “colpa” è su di noi.
- SURICATO – Qui ci mettiamo in pausa e osserviamo cosa accade. É uno spartiacque, è la sedia “sliding doors” : da un lato le ragioni dell’ego con le sue ferite e i suoi giudizi, dall’altra l’Empatia, per noi stesse e per gli altri. Nel caso della nostra ex collega quindi, la osserviamo, ci osserviamo, e ci chiediamo che cosa sta veramente succedendo. Sospendiamo ogni giudizio.
- DELFINO – In questa postazione non “facciamo”molto in realtà, ma raccogliamo segnali, proviamo un’apertura di cuore verso noi stesse e verso di lei, cerchiamo di stare in contatto per comprendere e valutare il da farsi. Questo potrebbe risultare nel chiederti “Ok, vorrei riuscire a rientrare in contatto con lei, ci tengo ad essere sua amica. Voglio che le stia bene, però voglio stare bene anche io. Di cosa ho bisogno? Quale potrebbe essere una strada buona per entrambe?”
- GIRAFFA – Nei confronti dell’amica ti chiederesti: “Di che cosa ha bisogno LEI? Che cosa sta succedendo? Come posso aiutarla? Cos’è importante per lei?”. Anche se quello che è importante per lei non coincide con ciò che importante per te ci sarà sempre apertura. È comprendere e accettare la diversità. Magari in un prossimo articolo andremo in maggiore profondità con la comunicazione empatica, ma ti assicuro che se ti alleni su questi passaggi vedrai accadere “miracoli”! 🙂
Facile? No. Possibile? Certamente.
A volte è difficile rinunciare al gioco di io ho ragione o di rinunciare al ruolo della vittima. Se restiamo in questi due ruoli non “vinciamo”. Avere ragione, imporsi sull’altro non rappresenta la vittoria, perché la vera vittoria è, invece, avere buone relazioni basate sull’ascolto autentico e, per farlo, è necessario scegliere bene la nostra sedia!
Un abbraccio,
Gina
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