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Ti racconto perché fotografo i tramonti

Ti racconto perché fotografo i tramonti

Le cose che fai, anche quelle apparentemente banali, ti possono rivelare qualcosa di importante su di te, come i tuoi Bisogni e Valori. Ecco cosa mi ha rivelato la mia passione per i tramonti. 

Non ricordo bene quando sia iniziato. Probabilmente da bambina, insieme alla mia passione per la Natura e per gli animali. Probabilmente ho imparato ad amarli ancora di più quando d’estate cenavamo tutti insieme in poggiolo e ne potevo ammirare la bellezza circondata dall’amore di mamma e papà, o quando restavamo in spiaggia fino a tardi immersi in quella atmosfera un po’ sospesa. Forse le vacanze al mare e i posti esotici visitati, con profumi, colori e sensazioni nuove, hanno aumentato questa mia passione. E certo, qualche passeggiata lungomare al crepuscolo mano-nella-mano li avrà resi ancora più indelebili nel mio archivio emozionale.

Fatto sta che ho sempre amato i tramonti e che appena posso cerco di catturarne la bellezza non solo con gli occhi, ma anche con le mie – sebbene scarse- capacità fotografiche. Ma si sa, quando il soggetto è bello, il fotografo può anche non eccellere.
Non ci avevo mai riflettuto, è semplicemente una cosa che amo fare. Ma proprio scrivendo e lavorando sul tema dei Bisogni, uno dei 9 Pilastri della Felicità secondo la Scienza del Sè, ho compreso le radici profonde di questo mio gesto: fotografare tramonti è un modo di nutrire alcuni  dei miei bisogni e valori fondamentali. 

I tramonti sono vari e sono unici.

Il tramonto è una grande espressione di varietà. La Natura non fa fotocopie e difficilmente possono esistere due tramonti uguali. A seconda della stagione, della presenza o assenza di vento o di nuvole, della temperatura, si creano colori e forme imprevedibili e sempre nuovi. A Trieste, dove vivo io, il sole tramonta sul mare e questo offre ulteriore varietà per l’osservatore. Il mare che accompagna il tramonto può essere agitato, calmo, con le onde più o meno alte e rumorose e tutti questi fattori mischiati tra loro creano ogni volta uno spettacolo unico

I tramonti sono pieni di meraviglia.

Nei tramonti vedo un’infinita bellezza, che per me è sia un valore che un bisogno. Credo che la bellezza abbia il potere di farci stare bene perché credo contenga l’idea di  bene, di “buono”, di armonia come gli antichi Greci ci insegnano. È un linguaggio universale, che travalica tempi, culture e situazioni; è lì per noi, e tutti ne possiamo godere e lo possiamo comprendere. Fa bene al cuore.
Ecco perché fotografo e condivido, per diffondere la bellezza che vedo, e non tenerla per me, nella certezza che a qualcuno quel bello farà bene.

Esprimono amore e unione.

Nella bellezza della natura di cui il tramonto è espressione, io ci vedo l’amore, la presenza dell’energia universale, di quell’”essenza”, quel divino. Insomma di quel qualcosa di più grande di noi che si dona senza chiederci niente in cambio e che in quei momenti diventa palpabile. Il sole è per me una delle espressioni più grandi dell’amore incondizionato: ci regala luce e calore, che sono assolutamente indispensabili per la nostra vita, esattamente nella misura in cui arrivano. Ci hai mai pensato? Se sulla Terra ci fossero 10° in più rispetto alle massime attuali o 10° in meno rispetto alle minime, probabilmente diventerebbe un luogo inospitale e non esisterebbero più le condizioni necessarie alla vita. Nei tramonti, quindi, riscontro questo amore incondizionato, e allo stesso tempo un grande equilibrio.

I tramonti sono anche un mezzo per  vivere un senso di amore e connessione con me stessa e con il tutto. 

E il bisogno di amore e unione è un altro dei bisogni fondamentali di ogni essere umano. Me e te comprese.

Nei tramonti c’è sicurezza.

Non è forse rassicurante vedere il sole che tramonta con la fiducia che domani mattina sorgerà di nuovo? Magari sarà coperto dalle nuvole, ma in ogni caso ci sarà un nuovo giorno, tornerà la luce e questa è una sicurezza fondamentale, di cui ogni essere umano ha bisogno.

Infondono pace.

I tramonti mi infondono un senso di pace. Vedere il sole abbassarsi lentamente all’orizzonte fino a scomparire inghiottito dal mare, mi trasmette una calma profonda che rimane con me a lungo. Il respiro rallenta, i pensieri si placano; le tensioni e gli affanni della giornata si scaricano e si crea maggior spazio per accogliere il nuovo.

E ora, consapevolizza qualcosa per te.

Possiamo fare ogni cosa in modo veloce, distratto e inconsapevole, o soffermarci e assaporare, comprendere, nutrirci.

Riconoscere i tuoi valori, così come individuare i tuoi bisogni ed i mezzi che usi per appagarli, sono aspetti importanti per la consapevolezza di chi sei veramente e per orientare le tue scelte, per questo ne sto scrivendo in questo blog. 

In ogni cosa che fai (o che non fai) c’è il tentativo di soddisfare i tuoi bisogni, ed è fondamentale che tu lo faccia rispettando i tuoi valori, altrimenti la tua soddisfazione e la stima che hai di te stessa ne risentiranno. Le due sfere si devono muoversi all’unisono, ed è solo nostra la responsabilità e il potere di capire come soddisfare entrambi. 

Quindi ora pensa alle cose che ami fare, che ti appassionano e ti fanno stare bene. Ripensa ai 6 valori fondamentali secondo la teoria di Robbins-Madanes: sicurezza, varietà, amore-unione, importanza, crescita e contribuzione (ne ho parlato in questo mio articolo) Quali bisogni soddisfi attraverso quel comportamento?

E soprattutto inizierai a capire che quando qualcosa non ti soddisfa c’è sotto un bisogno che urla per avere la tua attenzione, oppure un bisogno che stai soddisfacendo andando contro i tuoi valori.

Fammi sapere le tue scoperte e fammi pure le tue domande. Sarò felice di leggerti e di risponderti!

Un abbraccio, 

Gina

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I bisogni, uno dei pilastri della tua felicità (e della Scienza del Sé)

I bisogni, uno dei pilastri della tua felicità (e della Scienza del Sé)

Ti propongo alcune riflessioni sui bisogni e un esercizio per acquisirne maggior consapevolezza 

 

Oggi voglio parlarti di uno dei “fondamentali” della felicità: i Bisogni. 

Da sempre filosofi, pensatori, e ora anche gli uomini di scienza, si sono interrogati su cosa sia la felicità e su quali siano, di conseguenza, gli ingredienti che la compongono.

La visione che sento più mia è quella di “una vita ben vissuta”, ricca di significato, con una direzione a noi allineata, da cui scaturisce un certo benessere generale. C’è chi sembra capace di creare tutto questo facilmente e spontaneamente, ma per la maggior parte di noi serve invece “lavorarci” un po’.

Ma come fare? Le ricette sembrano infinite, ognuno dice la propria e l’unica cosa assicurata sembra essere il disorientamento.

Recentemente sono venuta in contatto con la Scienza del Sé, una nuova disciplina impiegata nell’ambito della crescita personale, che ha riunito tutto ciò che serve conoscere per acquisire una certa consapevolezza di sé e guidarsi verso una vita appagante e vissuta in pienezza Sono temi già molto noti in quest’ambito, ma la novità è che sono stati organizzati in 9 Pilastri (dal Prof. Sandro Formica, docente all’Università di Miami) e con il supporto di articoli accademici e materiali scientifici.

 

I bisogni sono il primo di questi pilastri

 

Che ne siamo consapevoli o no, tutto ciò che facciamo (o non facciamo) é mosso da un bisogno. I bisogni sono qualcosa di universale che tutti gli esseri umani hanno. A seconda del contesto, a seconda della situazione, a seconda del momento, i nostri bisogni variano sia per priorità sia per, diciamo così, assortimento. 

 

I bisogni sono qualcosa che ogni essere umano ha e variano a seconda del contesto e della situazione. Essi attivano e dirigono il nostro comportamento.

 

 

Teorie sui bisogni

 

Sono molti gli studiosi che hanno elaborato una teoria sui bisogni. Uno di questi era lo psicologo Abraham Maslow, che scelse di rappresentare i bisogni su una scala gerarchica, la Piramide nota appunto con il suo cognome. I bisogni di sopravvivenza venivano posti alla base della piramide, mentre quelli di autorealizzazione e trascendenza venivano posti al vertice. 

Esiste poi la teoria elaborata più recentemente da Antony Robbins e la psicoterapeuta Cloe Madanes: tutti gli esseri umani hanno essenzialmente sei bisogni: quattro riguardanti la personalità e due più spirituali. I bisogni individuati da Robbins sono i seguenti: importanza (nel senso di significato), amore ed unione, sicurezza e il suo opposto varietà e, infine i bisogni “dello spirito”, ovvero crescita e bisogno di contribuire a qualcosa di più grande di noi. Questi ultimi sono i bisogni più elevati, che creano il vero appagamento all’individuo.

 

Noi invece utilizzeremo una lista più completa di bisogni ed esigenze, e per farlo troverai un esercizio alla fine dell’articolo.

 

 

I bisogni, nella pratica

 

Il concetto fondamentale è che noi abbiamo bisogno di soddisfare i nostri bisogni. 

Ma il mezzo, la strategia che utilizzerai per soddisfarli farà una grande differenza in termini di soddisfazione e di sostenibilità.

 

Vediamo per esempio l’Amore, che è uno dei bisogni fondamentali di ogni essere umano. Un modo funzionale per soddisfarlo è attraverso le relazioni (amici, famiglia, coppia, figli, ecc.), prendendosi un cane o un gatto, prendendosi cura di qualcuno o di qualcosa. Lo stesso bisogno però potrebbe spingere qualcuno a rimanere in una relazione malsana, o potrebbe spingere un bambino a comportarsi male pur di attirare l’attenzione (e quindi l’amore) dei genitori. 

Quindi il bisogno è sano, ma il comportamento o il mezzo che ho trovato per appagarlo non è altrettanto “sano”, e quindi non è sostenibile nel tempo. 

 

Parlando di bisogni è anche molto comune cadere in una sorta di fraintendimento molto diffuso: siccome io ho un bisogno, tu devi comportarti in un certo modo, o devi astenerti da certi comportamenti pur di soddisfarmelo.

Inutile dire che anche in questo caso la strategia non è sostenibile.

 

Ecco allora cosa possiamo fare 

 

Familiarizzare con i propri bisogni in prima persona significa fondamentalmente tre cose:

  1. imparare a riconoscere ciò che sentiamo
  2. acquisire un vocabolario che ci permetta di dargli un nome  
  3. scegliere cosa possiamo fare per prendercene cura.

 

Qual è il bisogno che abbiamo (adesso, in ogni circostanza)? Qual è il bisogno che ci spinge a fare (o non fare) una certa cosa? Qual è il bisogno che non è soddisfatto in un determinato momento? 

E per fare questo ci vengono in aiuto le emozioni “negative”: molto spesso infatti sono lì proprio per segnalarci che c’è un bisogno non soddisfatto sotto. 

 

Il bisogno è innanzitutto una responsabilità personale (bambini esclusi) , una responsabilità che io ho verso me stessa di capire che cos’è e in che modo funzionale lo posso soddisfare.

 

Questo esercizio ti aiuterà tutte le volte che un’emozione spiacevole ti segnala qualcosa.

 

 

 

Il mio esercizio per individuare i bisogni

Se sei iscritta alla mia newsletter hai già ricevuto la scheda dei bisogni, altrimenti, se vuoi proseguire con l’esercizio ISCRIVITI QUI.

 

Fatto? Eccoci qui di nuovo, pronte per affrontare l’esercizio. 

 

  1. Pensa ad una situazione in cui non ti sei sentita soddisfatta
  2. Guardando la scheda che ti ho inviato, chiediti: quale mio bisogno non è stato appagato in quella situazione? Leggi la tabella e trascriviti bisogni che ti risuonano di più, sicuramente ne troverai diversi. Poi cerca di affinare l’ascolto e restringi il campo a 1-3 bisogni al massimo.
  3. Decidi in che modo vuoi prenderti cura di ognuno di quei bisogni. Cosa puoi fare a riguardo?

In questa prima fase sarà bene prenderti cura personalmente del soddisfacimento di quel bisogno. Successivamente potrai decidere se fare una richiesta a qualcuno, che ovviamente non sarà obbligato ad eseguire! 

(In ogni caso vedremo come allenare la tua capacità di esporre i tuoi bisogni e fare richieste in un prossimo articolo sulla comunicazione empatica).

E adesso, condividi?

Mi piacerebbe che tu condividessi le tue scoperte e riflessioni con me.
Ovviamente non ci aspettiamo di risolvere tutto con questo esercizio, ma è un primo passo di un percorso che affronteremo insieme (e che potrei seguire da casa attraverso gli esercizi di crescita e gli aggiornamenti che riceverai nella mia newsletter). Questo esercizio è fondamentale per acquisire un po’ di familiarità con “ciò che è vivo e vero in te”, come diceva il grande Marshall Rosenberg, padre della comunicazione non-violenta.

 

Un altro aspetto importante per soddisfare i tuoi bisogni in modo sostenibile, sarà tenere conto dei tuoi valori.

Ma questo sarà tema di un ulteriore approfondimento.

 

Un abbraccio, 

Gina

 

 

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Individua l’anti-parola del 2020, un esercizio per riconoscere quando diventi il limite di te stessa

Individua l’anti-parola del 2020, un esercizio per riconoscere quando diventi il limite di te stessa

L’anno nuovo è da poco iniziato e, come di consueto, nel primo periodo si tende a fare bilanci e “pronostici” per l’anno che verrà.

Fa parte delle pratiche di gennaio quindi, definire quale sarà la parola che ci accompagnerà nei mesi a seguire.

Questo esercizio, diventato un trend negli ultimi anni, può esserci d’aiuto per individuare una guida, quasi una sorta di mantra che possa orientare le nostre energie e le nostre risorse durante l’anno.

 

Cerco di spiegarmi meglio

 

Immagina che tu senta che la parola giusta per orientarti nel 2020 sia CORAGGIO. Questo termine diventerà per te uno sprone, un memo, un monito. Nelle situazioni difficili ti tornerà alla mente il coraggio, tingerai con questa sfumatura di coraggio tutte le situazioni in cui sentirai di dover tirar fuori la carica, dove magari restavi ad osservare senza dire la tua, o dove magari eri troppo accondiscendente e non te la sentivi di mettere dei sani paletti. O ancora dove evitavi di proporti per quella collaborazione o per quel progetto per paura di ricevere un rifiuto.

Ecco che, grazie all’individuazione della parola del 2020, sarai in grado di ricordare la rotta da mantenere, nel mare magnum delle possibilità, delle sollecitazioni e degli svarioni emozionali che viviamo quotidianamente.

 

E l’anti-parola allora?



 

Altrettanto interessante è l’individuazione dell’anti-parola dell’anno. L’anti-parola non è altro che la rappresentazione della nostra kryptonite, della dispersione delle nostre energie, della vanificazione dei nostri sforzi e propositi.  Sarà il segnale di allerta a cui porre attenzione, sarà il campanello d’allarme che ci riporterà sulla nostra direzione.

 

E ora, con la dovuta spensieratezza, andiamo a fare questo veloce esercizio per individuare l’anti-parola per il 2020. Pronta?

 

 

  1.  Pensa per un attimo alle situazioni in cui non ti sei piaciuta, non ti sei riconosciuta o hai giocato al ribasso nell’ultimo anno.
  2. Pensa ai momenti in cui quello che hai pensato, detto, fatto o sentito come emozione, è stato lontano dalla meraviglia che sai di essere.
  3. Pensa a cosa ti ha trattenuta dal cogliere le giuste opportunità per il tuo lavoro e per la tua vita.
  4. Cerca la matrice comune, un elemento che tu riscontri in tutte e tre le riflessioni sopra. Riassumile in una sola parola che abbia senso per te (nei limiti del possibile).
  5. Ora la parte divertente. Scrivi la parola su un foglio, fai una bella X rossa sopra, come se fosse soda caustica o veleno per topi: è pur sempre la tua kryptonite! Assicurati che sia evidente anche visivamente. Infine, trova il modo più forte per te per distruggere quel foglio. Fallo in frantumi, buttalo nel water, brucialo: eliminalo dalla tua vita. (questo passaggio è importante, perché nei punti precedenti hai lavorato con la tua mente conscia, ma ora dobbiamo registrare il cambiamento a livello più profondo, e questo piccolo rituale è quello che ci vuole per comunicare con la tua mente subconscia, la parte sommersa dell’iceberg).
  6. Bene!!! Ora ti chiedo di condividere con me la tua anti-parola dell’anno, spiegando come ti è stata d’ostacolo quella parola nelle situazioni citate nelle domande 1, 2 e 3.

 

Sperando che eliminare la tua anti-parola sia stato fortemente liberatorio, ti mando un forte abbraccio!

Gina

 

 

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Non sei (mai) troppo grande per scrivere la letterina a Babbo Natale

Non sei (mai) troppo grande per scrivere la letterina a Babbo Natale

Prenditi del tempo per scrivere la letterina a Babbo Natale: un esercizio per scoprire i tuoi veri desideri e sviluppare la fiducia di poterli realizzare.

 

Con il Natale alle porte e il nuovo anno che fa capolino, siamo sollecitate da più parti a mettere per iscritto i nostri buoni propositi, fare bilanci e fissare nuovi sfidanti obiettivi.

 

E se ti proponessi di fare insieme a me un gioco diverso?

Scrivere la letterina a Babbo Natale! Siamo ancora in tempo, perché nella letterina non chiederemo delle cose da trovare sotto l’albero, ma andremo a esprimere i nostri principali desideri per l’anno nuovo (bada bene che non ho scritto obiettivi né propositi). Prima di prendere la carta e iniziare a scrivere, ti invito a riflettere bene con me su due aspetti fondamentali: i desideri e la fiducia.

Viviamo in una società ossessionata dagli obiettivi, un’ossessione con cui mi trovo fortemente in disaccordo. Il rischio con gli obiettivi è che spesso si corre dietro ad un risultato, senza chiederci prima se quel risultato è in linea con noi, con i nostri valori, con la qualità della vita che vogliamo avere tutti i giorni. Sì, ho scritto proprio tutti i giorni. É mia convinzione infatti che non valga mai la pena di vivere 3, 5, 10, anni orribili (spesso anche di più) in nome di un qualsiasi obiettivo personale.

É importante quindi chiarire a te stessa quali sono le emozioni che vuoi provare tutti i giorni, non solo nei giorni speciali, non soltanto il giorno in cui avrai eventualmente raggiunto l’obiettivo (e se poi non lo raggiungi?)

 

Non parlare di obiettivi ma dei tuoi desideri

Quindi, scaviamo un po’ più a fondo: quali sono le cose che veramente vogliamo? Le desideriamo per noi o anche per gli altri? Un po’ di sano egoismo è fondamentale nella vita, tuttavia penso che qualsiasi risultato, qualsiasi successo se non viene condiviso con altri o se non crea un benessere che vada al di là della nostra piccola sfera personale, non sia degno di chiamarsi successo.

Ecco perché preferisco parlare di desideri e non di obiettivi. Credo che i nostri desideri siano il linguaggio della nostra parte più profonda, del nostro cuore, del nostro vero io. E, se sappiamo leggerli, possiamo rivelarci molto di noi. Ma ad una condizione, e tra poco scoprirai qual è.

Per poter scrivere la tua letterina a Babbo Natale, alla fine di questa lettura, immagina di poter esprimere tre desideri (mi dispiace, ma anche Babbo ha letto il libro di Robert Cialdini e ha scoperto che limitare le opzioni da più valore al prodotto 😉 ). Immagina cosa vorresti che ti aiutasse a realizzare nel prossimo anno. Cosa chiederesti?

 

Prima di scrivere la letterina, pensa a quando eri bambina

Mentre riflettevo su quello che avrei scritto io nella famosa letterina, ho pensato a quando ero bambina. Non è passato poi così tanto tempo, ma per certi aspetti sembra di parlare di un’altra era. Quando ero piccola, la tv per i ragazzi proponeva un solo programma al giorno, in una certa fascia oraria e basta, non esisteva la pubblicità indirizzata ai bambini, non c’era internet, e quindi non eravamo costantemente sollecitati a desiderare qualcosa che qualcun altro voleva vendere. Nella letterina a Babbo Natale esprimevamo quindi le nostre richieste in totale libertà: una fionda, un arco con le frecce, un cucciolo o una bambola parlante. Ma non erano desideri indotti: erano proprio nostri!

Certo, poteva capitare di poter essere influenzate dalla compagna di classe che aveva sette Barbie, e magari, in fondo alla letterina, una Barbie ce la infilavamo anche noi. Ma senza tanta convinzione, forse solo perché quella amichetta ci suscitava una qualche forma di ammirazione e volevamo guadagnarci la sua stima. Però nella letterina c’erano principalmente i nostri veri desideri, e nessuna letterina somigliava a quella di qualcun altro.

 

Poi i tempi sono cambiati…

Se penso alle letterine in partenza per il circolo polare artico scritte da mia figlia o delle mie nipoti, solo un paio di decenni più tardi, non posso fare a meno di notare una grande differenza. La maggior parte delle richieste riguardavano articoli sponsorizzati negli spot pubblicitari che sapevano perfettamente come catturare la loro attenzione e indurre il desiderio: Winx, Bratz, Xbox, cose che poi predisponevano all’acquisto seriale di tutti gli accessori e i modelli successivi.

Qual è il problema? Quando otteniamo qualcosa che desideriamo dal profondo del cuore la soddisfazione è più vera e duratura, perché ha a che fare con i nostri valori. Ma quando il desiderio è indotto, come nel caso della Bratz (o il suo equivalente, rapportato alla nostra vita adulta) proviamo un surrogato di felicità, destinata ad estinguersi come il fuoco di un bengala, lasciandoci con l’illusione che saremo veramente soddisfatte quando avremo anche la nuova Bratz, quella appena uscita con i capelli rossi.

 

I desideri ci dicono qualcosa di noi, a patto che siano davvero nostri!

Perciò vorrei ti mettessi in ascolto, che scavassi a fondo dentro di te per far emergere veramente quello che desideri. E siccome nessuna creazione può avvenire senza un pizzico di magia, soprattutto a Natale, vorrei che contattassi un po’ di quella fiducia che avevi da bambina. Ma con qualche differenza.

La chiameremo fiducia attiva.

Da piccole chiedevamo le cose senza filtri, senza preoccuparci troppo se un regalo poteva essere troppo pesante o troppo grande, non pensavamo in termini di fattibilità quando scrivevamo la letterina a Babbo Natale.
Eppure, se ci pensi, non eravamo passive. Svolgevamo un duplice ruolo:

  1. Ci chiarivamo le idee e scrivevamo la letterina.
  2. Ci comportavamo coerentemente, come se fossimo già certe di ottenere quella cosa.

Questo poteva significare “comportarci bene”, seguendo quelle che erano essenzialmente delle norme di buon senso, ma anche “portarci avanti”.
Ricordo che nell’attesa di ricevere un cane o un gatto (o almeno un criceto, perbacco!!) leggevo tutti i libri che fossero reperibili sull’argomento.

Perché c’era la fiducia.
Noi avevamo fatto la nostra parte, e il resto era nelle mani di Babbo Natale, di cui ci fidavamo totalmente.

Ecco quindi che, se ci riflettiamo bene, la letterina a Babbo Natale diventa una metafora per la nostra vita: è importante fare chiarezza e capire cosa desideriamo davvero, poi agire, comportarci coerentemente a quei desideri, e avere fiducia.

 

Abbiamo un grande, grandissimo potere sulle nostre vite.

E allo stesso tempo non abbiamo il totale controllo di quello che ci succede, delle opportunità che ci si parano davanti, degli incontri che facciamo, e di un sacco di cose molto più grandi di noi.
Sono certa che se osservi tutto quello che hai finora realizzato, noterai che non è da attribuire esclusivamente a te.
Tutto quello che hai vissuto è un misto tra la tua partecipazione attiva e quello che la vita ti riserva ogni giorno. Ed è un sollievo, perché possiamo smettere di sentirci come se dovessimo fare tutto noi. Questo non significa diventare fatalisti e lasciare tutto al caso, perché allo stesso tempo una parte sta a noi, e c’è così tanto che possiamo fare.

E se da bambine avevamo fiducia in Babbo Natale, ora potremmo avere fiducia in qualcosa di diverso: nella vita, nell’universo, nell’intelligenza divina… Qualsiasi nome tu le dia, è quella cosa che sottende alla vita stessa, che alterna stagioni e maree, fa crescere i capelli (beh, non a tutti 😉 ) fa sì che un seme diventi pianta.

É una danza che si conduce in due. L’importante è scoprire come muovere i propri passi in questa danza continua tra l’avere fiducia in qualcosa di più grande e il pensare che tutto sia frutto delle nostre azioni. Il segreto sta nel far coesistere il fare e l’affidarsi, il decidere e il fluire, il condurre e il lasciarsi condurre.

 

Ora sei pronta a scrivere la tua letterina!

Perciò ora non indugiare oltre: prendi carta e penna, magari una carta speciale e una penna che ti piace molto, mettiti in un posto un po’ raccolto, o ovunque tu ti senta bene. Fai un paio di bei respiri lenti e profondi, magari un sorriso, e scrivi in libertà i tuoi desideri per il 2020. Poi scegli i tre più significativi, quelli che ti ispirano, ti fanno sorridere di gioia e soddisfazione solo a pensarci. E infine fai sapere a Babbo Natale che conti sul suo aiuto per la loro realizzazione.

 

Ah, e ricordati di lasciargli dei biscotti o qualcosa di dolce: in barba a tutte le
raccomandazioni dietetiche, è rimasto sempre un gran golosone.

Se ti fa piacere, condividi la tua lista su Instagram taggando @gina.abate.coaching!
Un abbraccio,
Gina

Bloccata da un pensiero.

Bloccata da un pensiero.

Succede anche a me.

E mi è successo proprio in questo periodo, di rimanere bloccata da un pensiero che non è di alcuna utilità. A volte può essere vivido e pressante, a volte- come nel mio caso- può aleggiare sullo sfondo, serpeggiante. Così, mentre sei impegnata sui mille fronti della quotidianità, quasi neanche ti accorgi che è lì e che ti blocca.

Eppure lo fa.

 

Sono presto tre mesi che non scrivo una Newsletter né un post nel mio Blog. Non è stata una scelta consapevole e serena. Piuttosto una parentesi caratterizzata dalla presenza di una vocina che, come la più insolente delle zanzare quando cerchi di dormire in una calda notte estiva, continuava a ronzarmi all’orecchio: “dovresti scrivere un post, dovresti mandare la Newsletter, è troppo tempo che non lo fai, a quest’ora dovresti averne scritti già tre”… bzzz…bzzz…bzzzz…. Eppure per mesi non è successo niente.

Perché?

Non ho avuto tempo? Ero a corto di argomenti? Ho cambiato idea? Niente di tutto questo.

Chiamiamolo effetto-nausea.

È quello stato d’animo che spesso mi prende quando apro il mio Instagram e sembra che siano tutti Coach, esperti, guru- che siano tutti “arrivati” e felici, che abbiano una formula magica per tutto, che abbiano i 4 passi per questo, i 9 scalini per quello e i 3 segreti che devi conoscere per…ogni cosa!

In quei momenti mi sembrano tutte più avanti di me- non professionalmente magari, su questo sono molto sicura e tranquilla – ma più “sul pezzo”. Sembrano (e spesso sono!)  più a loro agio con la tecnologia, sembrano più abili nell’uso dello strumento e sembrano divertirsi nel restare al passo con gli ultimi ritrovati delle stories, dei video IGTV e tutto il resto- mentre io mi sento arrancare.

Davanti a questa overdose di stimoli, offerte, consigli, proposte, la mia reazione istintiva è ritirarmi come un paguro nella mia conchiglietta e non partecipare affatto, perché mi sembra una competizione, ed essendo la mia natura collaborativa e aggregante, quando sniffo odore di competizione tendo ad auto-eliminarmi. (Non una gran strategia, concordi?)

I pensieri che mi girano per la testa in quei momenti sono: “ma cos’altro ho da aggiungere io, a questo oceano di input, informazioni e suggerimenti? Cos’ho da aggiungere a questo coro di gente urlante, che si sbraccia per catturare la tua attenzione nei video e ha sicuramente la soluzione per te?”

E la risposta inconscia a questi pensieri è …freeeeze. Mi fingo morta aspettando che passi il supposto pericolo 😉

Ehi, ma aspetta un momento.

Questo è esattamente quello che mi riferiscono la maggior parte delle donne con cui lavoro, le partecipanti dei miei percorsi, le mie clienti in Coaching, le imprenditrici e professioniste che supporto in azienda, le donne che mi contattano e mi raccontano dove si sentono incastrate o limitate. È uno dei temi più comuni, una delle distorsioni più diffuse, una di quelle bugie che, se ripetute con la giusta intensità, assumono carattere di verità e ci fanno sabotare i nostri amati progetti.

 

Non sei abbastanza…

Abbastanza cosa, stavolta? abbastanza esperta, oppure giovane, o matura, o”arrivata”, conosciuta, sconosciuta, originale, bella, unica, sicura, divertente…cosa?! Ma quando la smetteremo con questo mantra? Oppure ancora “Sei troppo…” e anche qui una lunga sfilza di attributi con il solito effetto rallentante o paralizzante.

 

I social hanno amplificato l’umana sensazione che tutti siano meglio di noi.

Ma cadere in quella trappola realizza proprio quello che temiamo.

Ci fa restare indietro.

Ma non indietro alle altre o agli altri. Chissenefrega.

Indietro rispetto ai nostri progetti.

Non ci fa ottimizzare le energie impegnate ad arrivare fin qui.

Gli studi che abbiamo compiuto.

Il tempo dedicato.

I quattrini spesi per imparare quelle nuove abilità.

Le promesse che ci siamo fatte. Le comprensioni che abbiamo avuto.

Lo scopo che abbiamo compreso di avere.

I talenti che abbiamo ricevuto in dono e coltivato.

 

Non stiamo onorando la nostra Unicità, la nostra vita, non stiamo facendo la nostra parte, pienamente.

La competizione è solo nella mia testa. Ognuna fa quello che fa. Period.

 

Quindi TA-DAAA…!

Ecco i miei 4 passi per uscire concretamente dallo stato di blocco 😉

Questo è quello che ho fatto io e che anche tu puoi mettere in atto per abbassare la voce del critico/perfezionista interiore e ridistribuire l’energia bloccata alla parte di te che può realizzare le cose:

 

1) smetti di guardarti in giro allo scopo di paragonarti. Dedica uno slot di tempo alla settimana per trarre ispirazione dal lavoro altrui, poi chiudi tutto e occupati di quello che vuoi fare tu

(fatto!)

 

2) anziché cercare i tuoi “troppo” o “troppo poco” concentrati su tre caratteristiche tue che ti piacciono, che fanno parte della tua Unicità, punta su quelle e amplificale

(onestà: mi mostro come sono, con i miei successi e i miei punti deboli, senza paura; desiderio di contribuire: se sto in silenzio di certo non sarò utile a nessuno; allegria: tra una faccetta che sorride e un po’ di autoironia, eccomi qui a scrivere)

 

3) ricordati qual è il tuo perché, qual è lo scopo più grande, qual è il contributo che vuoi donare agli altri, quale beneficio ne potranno trarre. Uno, dieci o centomila non importa

(voglio aiutare le altre donne a superare i modelli mentali che le tengono a freno, e aiutarle a liberare e incanalare concretamente le loro capacità, in progetti che migliorano la loro vita e, perché no?, il mondo!)

 

4) fai subito una piccola azione concreta in quella direzione

(eccomi qui a scrivere)

 

5) lo so avevo detto quattro, ma a me piace disobbedire 😉 trova come rendere il compito più facile e divertente

(divido il lavoro in 3 parti: stesura di getto, rilettura e formattazione, pubblicazione. E per premio prendo la bici e vado a bermi un caffè lungomare 😉 )

 

 

Ecco che quello che fanno gli altri scompare all’orizzonte, e il tuo lavoro riprende il suo significato.

E allora eccoti riprendere il contatto con il tuo perché, a mantenere le promesse fatte a te stessa, a dare il tuo contributo alla vita e alla realizzazione di altre donne e persone.

L’unica vera sconfitta è ritirarsi dal proprio percorso, è compierlo con poca convinzione, è esitare davanti alle piccole paure, è lasciarsi abbattere dalle scuse, lasciarsi vincere dalle difficoltà.

 

Perché, come recita il mio adorato anello da cui non mi separo mai,

Realizzare quello che abbiamo dentro può essere facilissimo o difficilissimo, ma è l’unico motivo per cui siamo qui.

(La frase è di Sebastiano Zanolli ed incarna perfettamente il mio pensiero. L’anello è un “pezzo unico” , capolavoro di Valerio Tagliacarne e la sua Ink gioielli  )

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Le sottrazioni, le donne e quella sensazione che non se ne va…

Le sottrazioni, le donne e quella sensazione che non se ne va…

Un giorno Teresa, quando i genitori rincasarono all’ora di pranzo, andò loro incontro chiedendo il significato di una certa parola complicata.

“Dove l’hai sentita?” le chiesero, forse per contestualizzarne il senso.

“L’ho letta sul giornale!” rispose lei con naturalezza, quasi distratta da qualcosa di nuovo che nel frattempo aveva attirato la sua attenzione.

Teresa aveva 5 anni. E non sapeva leggere. Almeno per quanto ne sapessero i suoi genitori.

“L’ho letta qui” e andò a prendere il quotidiano di qualche giorno prima, che giaceva ripiegato sulla fòrmica verde del piano di cucina.

 

Era vero.

Teresa aveva imparato a leggere da sola. Curiosando, registrando tutto come faceva sempre. Osservando da lontano la sorella maggiore che faceva la seconda elementare.

 

Da quel giorno la sua innata curiosità venne stimolata, e le vennero assegnati piccoli semplici compiti per allenare le sue naturali inclinazioni: aveva un quaderno a quadretti con il margine sul quale la mamma disegnava un primo pezzetto di “cornicetta”, che lei avrebbe dovuto continuare e colorare.

Poi c’erano le lettere: Maiuscole, minuscole. E poi altri disegnetti. Dei pulcini un po’ spigolosi (dovevano pur sempre seguire la traccia dei quadretti!) che Teresa colorava di un bel “giallo pulcino” 😉 e con il piccolo becco arancione.

 

E poi c’erano i numeri.

Un pianeta un po’ sconosciuto e ostile, verso il quale Teresa dimostrava una certa diffidenza.

Nonostante ciò si esercitava, con esiti variabili.

Addizioni: ok.

Moltiplicazioni: era imbattibile.

Sottrazioni: sabbie mobili.

Divisioni: sistematicamente trasformava i due puntini del “diviso” in una “x” trasformando l’operazione più difficile per lei in una moltiplicazione.

Insomma, “barava”.

Il risultato era sempre un numero molto più grande di quello delle moltiplicazioni effettivamente assegnate, ma che importava: l’importanza era fare bene e non deludere le aspettative della mamma. E forse anche le proprie.

Voleva essere all’altezza in tutto!

 

Era nato forse lì il seme dell’idea di essere un bluff?

Stava iniziando a germinare, nel buio del suo inconscio, per il fatto che aver imparato a leggere spontaneamente “non valeva” come il percorso canonico?

Comunque le sue esercitazioni continuarono serenamente per tutta l’estate, forse per 10 minuti al giorno o poco più, e la sua gioia più grande era quando poteva scrivere i suoi pensieri ed emozioni, piccoli temi e le prime poesie.

E poi ci fu quell’evento.

Sì perché lo scopo di questo lavoro estivo era valutare se Teresa era idonea per “saltare” la prima elementare, dove si sarebbe senz’altro annoiata, data la sua intelligenza vivace e le sue capacità, e paracadutarsi così direttamente in seconda.

Era nata in Febbraio e avrebbe evitato così, dicevano, di “perdere un anno”.

 

La bambina era pronta, lo era di suo. E poi si era anche preparata- e per lei era stato davvero un gioco. Se non fosse stato per quelle divisioni e sottrazioni. Ma tutto era sotto controllo.

 

C’era solo una piccola formalità da espletare. Un esamino di ammissione alla seconda.

Teresa andò lì assolutamente serena e tranquilla: non lo sapeva mica cosa fosse un esame, perciò non era per niente spaventata.

E infatti seppe fare tutto quello che le venne chiesto, e rispondere a tutte le domande.

Tranne “quella”.

Ad un certo punto quella sottrazione: 13-8.

A memoria non le veniva.

Era una sottrazione.

E il 13 era un numero dispari. Non le piacevano i numeri dispari.

E lei voleva saperlo, voleva rispondere in automatico come avrebbe fatto con 8×2 oppure 10-6.

Ma 13 – 8 era difficile. E lei non lo sapeva fare.

E lei sapeva che se avesse contato sulle dita avrebbe risposto, ma pensava di doverlo fare “da sola”, pensava  di dover conoscere la risposta e che contare sulle dita non valesse.

E così si congelò.

E si mise a piangere.

E si vergognò.

E si sentì non all’altezza del compito, non capace.

Allora non era quel genietto che si diceva….

E credette di aver deluso la mamma, e la maestra.

E tirò un colpo basso alla sua identità.

A 5 anni!

E a nulla valsero i tentativi di consolarla, da parte della mamma e della maestra.

E a poco valse il fatto che l’esame lo passò a pieni voti, e che zompò subito in seconda, e che era molto brillante nonostante fosse un anno più piccola.

No. Quello sarebbe stato l’unico fotogramma che Teresa avrebbe rivissuto per tutta la sua vita ripensando a quell’esame.

E quella sarebbe stata la sensazione che l’avrebbe accompagnata, tra sé e sé, tutte le volte che si trattava di dimostrare ciò che sapeva, ciò che era.

E sarebbe stato il sottofondo di ciò che credeva di essere, nonostante tutti i “successi” che registrava.

Quella sensazione non se ne andava.

Lei era un bluff, che di lì a poco sarebbe stato smascherato.

 

 

Dopo molti anni e molto lavoro con se stessa, Teresa scoprì che questa “sindrome dell’impostore” è una sensazione molto diffusa tra le persone capaci e colpisce le donne molto più degli uomini. Così ci si porta sempre con sé questa sensazione di non essere davvero come gli altri ti vedono, di non meritare i successi che vivi, di non valere davvero come gli altri credono, che in fondo è stata fortuna, circostanze favorevoli, coincidenze sincroniche ma mai, davvero davvero merito tuo.

 

Forse sarà per questo che mi sono appassionata a questi temi, non con la pretesa di “guarire” le ferite dell’inconscio – che esulerebbe dalle mie competenze- ma di fornire strumenti, sistemi, spunti e percorsi attraverso i quali potersi realizzare pienamente  nella vita e nel lavoro , a prescindere dalle bugie che abbiamo registrato su di noi.

 

Ah, e per quel che vale, Teresa è il suo secondo nome.

Il suo primo nome è Gina.

 

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