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Perché la felicità è una nostra responsabilità

Perché la felicità è una nostra responsabilità

e come possiamo lavorare per crearla 

Cos’è questa felicità di cui parlo tanto? Non si tratta di un ottimismo che ignora il buon senso, una gioia perfetta h24 o correre in giro con un sorriso a 32 denti. 

La felicità è una cosa seria 😉 

È uno qualcosa di concreto, un solido stato di benessere che tutti noi possiamo allenare. Come la forma fisica.

Questo non è di certo uno dei periodi più spensierati della storia, come certamente sai, e parlare di Felicità può sembrare frivolo o superfluo, perché ci sono cose più serie e gravi a cui pensare.

Ma se lavorare alla felicità ci rendesse concretamente più capaci, più adatti a superare anche questo momento, se ci rendesse più creativi e coraggiosi, più concentrati ed efficaci, allora non sarebbe questa la priorità?

Lasciarsi contagiare dalla negatività, dalle legittime preoccupazioni, dalla frustrazione, rabbia, tristezza o pessimismo è tutto sommato facile:  se non stiamo attenti, avviene senza che tu debba fare niente. 

L’altra opzione, invece, è quella di assumersi la responsabilità di come ti senti e investire un po’ di tempo nella creazione e nella condivisione.

È da questa presa di responsabilità e dalla domanda “cosa posso fare io?”  che è nata in me l’idea, all’inizio del lockdown, di creare il percorso gratuito che si è da poco concluso su Le pratiche della felicità

E a posteriori posso confermare che è stata una delle idee più belle e gratificanti che ho avuto negli ultimi tempi , in quanto ci siamo trovati in tantissimi (in realtà quasi tutte donne) a fare pratica di felicità.

Infatti la felicità per me va allenata, non ricercata. 

Ora ti voglio raccontare qualcosa che forse ha contribuito a rafforzare l’equivoco riguardo alla “ricerca” della felicità

Nel 1776 Thomas Jefferson ha redatto la Dichiarazione di Indipendenza in cui, tra le altre cose, veniva riconosciuto a tutti gli americani il diritto a “The pursuit of Happiness” interpretato e tradotto appunto come “ricerca” della Felicità.

Probabilmente avrai visto anche il celebre (e bellissimo!) film con Will Smith dal titolo omonimo.

Pochi sanno però che a quel tempo il verbo to pursue significava “praticare un’attività, farla regolarmente, renderla un’abitudine”.

SBAM! Quando l’ho letto per la prima volta è stata un’ulteriore conferma per me, di quanto la felicità sia una competenza che possiamo allenare. 

Ed è tutta nelle nostre mani.

Ricercarla genera frustrazione, perché porta a rincorrere obbiettivi e ideali spesso stereotipati. Se, invece, alleni il tuo corpo e la tua mente a creare il tuo naturale stato di benessere, riuscirai a provare la felicità reale, concreta, fatta su misura per te. 

E da lì sarà anche più facile comprendere quali “battaglie” intraprendere, e quali invece vorrai lasciar perdere perché non ti corrispondono.

Essere felici comporta innumerevoli benefici, come:

  • prendere decisioni che si riveleranno più giuste e allineate con noi
  • avere relazioni personali  e lavorative migliori
  • portare avanti le proprie azioni con maggiore efficacia
  • provare emozioni più funzionali alle varie situazioni
  • attutire i momenti down con maggiore consapevolezza
  • avere a disposizione tutta la nostra creatività (che sotto stress non è disponibile)
  • portare maggior equilibrio al nostro organismo, a vantaggio della nostra salute  
  • il nostro corpo rifletterà il nostro stato mentale: saremo più belle e giovani! (ce lo conferma la scienza)

Durante il corso online, durato ben 6 settimane, abbiamo toccato diversi aspetti:

  • abbiamo esplorato i fondamenti scientifici della felicità, gli effetti dello stress sul corpo e sulle capacità cognitive e relazionali,  i benefici dello stato di benessere;
  • abbiamo imparato a rallentare e ri-equilibrare corpo e mente in 3 minuti;
  • abbiamo sperimentato l’effetto energizzante o calmante del respiro;  
  • abbiamo praticato tecniche come l’Equilibrio Emozionale, il Switching, il Radicamento, Il Comando Theta, la tecnica di Coerenza Cardiaca Veloce e molte altre;
  • abbiamo sperimentato quanto la Felicità possa essere creata e allenata non solo per stare meglio, ma per essere decisamente più efficaci nella vita.

La grande ondata di energia scatenata da questa serie di incontri mi ha fatto capire quanto per me fosse importante inserire un nuovo corso, all’interno dei miei percorsi, che faccia della felicità una priorità e possa aiutare le persone a prendersi questa responsabilità e innalzare stabilmente il proprio “punto chiave” della felicità.

Il nuovo percorso che ho ideato si chiama Le pratiche della felicità Intensive Circle: clicca qui per avere tutte le informazioni!

Un abbraccio, 

Gina

Quel che esce sotto pressione è quello che c’era dentro

Quel che esce sotto pressione è quello che c’era dentro

Non puoi pretendere che dal tubetto di dentifricio esca la crema per il viso: quando sei sotto pressione, butti fuori quello che c’è già dentro di te.
Questo ragionamento ti sembra abbastanza scontato, vero? E dire che è difficile prendere consapevolezza del meccanismo quando succede a noi. Eppure funziona allo stesso modo: quando qualcuno va a stimolare un nostro punto sensibile, la reazione (quello che buttiamo fuori) non è da imputare a l’altro, ma fa parte di ciò che noi già avevamo dentro.
Ti ho incuriosito? Lascia che ti racconti meglio in questo articolo!

Qualche giorno fa, in una delle mie rarissime uscite dall’inizio del lockdown, ho assistito a due scene che mi hanno fatto riflettere. Anzi, ti dirò di più: di una sono stata sia osservatrice che protagonista.

Ti racconto cosa è successo a me

Ero stata dal dentista e stavo rientrando in macchina, verso casa. Ad un certo punto, in lontananza, vedo una signora in bicicletta che sbuca per attraversare sulle strisce. Mi è venuto spontaneo rallentare con grande anticipo e fermarmi a una distanza maggiore del solito – quasi a volerla rassicurare sulle mie intenzioni. Le ho sorriso, ci siamo guardate negli occhi, e le ho fatto un cenno per farla passare.

Dopo questo breve incontro, ho proseguito lungo la strada e mi sono fermata per fare la spesa nel piccolo market vicino a casa.

… e di cosa sono stata spettatrice

Mi sono messa in fila e prima di me c’erano tre persone: un uomo sui quarant’anni con due cani al guinzaglio, e due uomini tra i cinquanta e i sessanta. 

Erano tutti con mascherina e guanti, tranne l’uomo con i cani che chiacchierava con il più giovane dei due. Il signore più anziano attendeva il suo turno cercando di capire a chi sarebbe toccato. Vedendo uscire un cliente e vedendo che nessuno della fila accennasse ad entrare, ha gentilmente fatto notare che qualcuno era uscito e che quindi si poteva entrare. 

In un attimo l’uomo più giovane, quello con i due cani, ha reagito rabbiosamente, prendendola sul personale e lamentandosi con un classico «Eh… si vede che siamo in Italia!», offendendo il malcapitato e cercando solidarietà con il suo interlocutore di prima.

Ho osservato tutto questo senza giudizio, ma ora vorrei riflettere con te.

Qualche attimo prima a me era venuto spontaneo fare un gesto di gentilezza, forse addirittura più per me che per la signora in bicicletta. Quel piccolissimo atto di gentilezza e solidarietà faceva stare bene me, in primo luogo, ed era benefico anche per lei. 

Era come una piccola onda che nasceva e si propagava da dentro di me, a fuori di me, fino all’altra persona. E forse oltre. 

E credimi, non lo scrivo per vantarmi della mia bontà d’animo 😉 ma per sottolineare che quel gesto è stato possibile perché dentro di me in quel momento c’era calma e serenità, c’erano sentimenti benevoli. 
(Non mi sento sempre così: ti assicuro che quando sono nel traffico e in ritardo per un appuntamento mi risulta davvero poco spontaneo fare la stessa cosa. 😉 Diciamo che, mediamente, mi trovo in quello stato d’animo).

Ma torniamo al ragazzo sotto pressione

Il ragazzo con i cani fuori dal supermercato invece alla minima sollecitazione ha buttato fuori una nuvola di rabbia, rancore, turbolenza e aggressività.

Colpa dell’uomo che l’ha sollecitato ad entrare?

No. Semplicemente, alla minima pressione è uscito quello che c’era già dentro.

Non puoi spremere il tubo della maionese e sperare che ne esca della senape.

Anche quella è stata un’onda, ma un’onda di tensione e frustrazione, di separazione e giudizio che, come la nuvola di polvere e insetti che gira intorno a Pig-Pen, ha un effetto su tutte le persone intorno.
(Se non te lo ricordi Pig-Pen è il personaggio dei Peanuts che ha un pessimo rapporto con acqua e sapone).

Come mai avviene questo?

É un periodo in cui la pressione esterna è aumentata, in cui tutti siamo sfidati in qualche misura.

E quando non possiamo controllare l’esterno (ma quand’è che possiamo, in realtà?) rimaniamo a fare i conti con quello che c’è dentro di noi.

Sappiamo creare una certa pace, anche nel bel mezzo di una sfida?

Sappiamo creare una sorta di benevolenza, anche quando qualcuno va a toccare un nostro punto sensibile?

Sappiamo creare equilibrio, anche quando fuori le cose girano vorticosamente?

Sappiamo dire ciò che pensiamo, senza per questo aggredire o annientare l’altro?

Allo stesso modo in cui possiamo allenare il corpo per essere più adatti ad affrontare le sfide sul piano fisico, possiamo allenare anche la nostra mente e il nostro sistema per essere adatti e capaci ad affrontare qualsiasi tipo di situazione.

Possiamo allenarci a creare una solida base di benessere a prescindere da ciò che accade. E non necessariamente perché cerchiamo l’Illuminazione, ma per essere più efficaci nelle nostre relazioni, nelle nostre piccole e grandi imprese, nel prendere decisioni, nello scegliere ciò che è buono per noi.

Stare bene dentro, per i più, non è un dono del cielo: è frutto di attenzione e di pratica.

La pressione ha generato in me una voglia di creare

Anche per questo motivo ho creato il percorso gratuito online Le Pratiche della Felicità, ogni martedì alle 18.30 fino alla fine di aprile.

Iscriviti mandando una mail a info@ginaabate.it con oggetto Le Pratiche della Felicità, e ci alleneremo insieme! 

Le pratiche della felicità per un nuovo inizio

Le pratiche della felicità per un nuovo inizio

Torneremo mai come prima? Forse, io credo che potremmo “tornare” ancora meglio di prima: inizia allenando la tua felicità.

Ciao

prima che inizi la lettura, ho una piccola richiesta da farti.

Solo prova, poi mi dirai.

Chiudi gli occhi un attimo e fai un respiro profondo.

Prenditi il tempo.

Per essere qui, un paio di minuti.

Per essere presente.

Respira, lentamente, 3 volte. 

Ascoltati.

Magari abbozza un sorriso 😉

E poi riapri gli occhi.

Siamo ancora abituati a correre, a saltellare di qua e di là. Magari virtualmente – se fisicamente non si può. 

E se provassimo a rallentare davvero?

Stiamo vivendo qualcosa di mai visto prima, di mai vissuto.

Uno scenario che al massimo era stato immaginato in alcuni film e romanzi che ci sembravano apocalittici e così lontani da noi. “Non a noi, non in questa vita” abbiamo pensato.

E invece sta accadendo.

Ma la mia attenzione, la mia domanda principale è “Cosa ci porterà fuori da qui? E cosa potrà sostenerci, nel tempo?”

Certamente le cose non potranno riprendere come prima, e servirà aver coltivato delle caratteristiche di forza e flessibilità, di centratura e di interconnessione, di responsabilità personale e globale.

Sarà difficile? Per molti sì. Ma possiamo usare questo tempo per crescere e trasformarci, per renderci pronti a immaginare e creare un futuro davvero migliore.

Cosa ci sosterrà, cosa ci ostacolerà.

È stato incoraggiante vedere la grande solidarietà che ci ha animati tutti nei primi giorni di questa grande crisi. “We are all in this together” – siamo tutti insieme in questa situazione.

Ma poi una gran parte delle persone ha virato verso la paura, la rabbia, il giudizio, la separazione.

Ancora.

Di nuovo.

Tutto questo non genera felicità

E se questi sentimenti sono del tutto comprensibili in questo momento, quello che è ingiustificabile è l’utilizzo che ne facciamo.

Ho letto mature (e stimate) professioniste lanciare accuse sui social contro “gli anziani” che escono tutti i giorni per comprare solo il minimo e bloccano la fila al banco salumi a chi invece deve fare scorta per la settimana.

Chi invece inveisce proprio contro chi, dovendo fare la scorta per tutta la settimana, si trattiene troppo a lungo al supermercato.

Gente che urla dalla finestra “stai a casa!” vedendo un uomo camminare, senza sapere niente di quel qualcuno (che magari è costretto ad andare al lavoro).

Chi, vedendo dei ragazzini (tutti fratelli e abitanti sotto lo stesso tetto) uscire due minuti a sfogarsi correndo davanti casa, scatta loro una foto minacciando di farne chissà cosa.

Chi, eleggendosi a un giustiziere, punisce con un gavettone gelato una passante, non sapendo di colpire un’infermiera alla fine di un estenuante turno in ospedale.

Chi maledice i benefici dei lavoratori dipendenti, chi il bonus indennità delle partite iva.
(Tutte storie vere!)

Persone nelle stesse difficoltà che si giudicano, si criticano, si minacciano a vicenda.

Come i capponi di Renzo, un’altra volta (ricordi i Promessi Sposi di Alessandro Manzoni?).

Come se si cercasse sempre “fuori” la causa del nostro malessere, o dei problemi che viviamo.

E se questo ha senso a volte, non può certo essere un modus vivendi. Non più.

Questo non porta felicità. Se continuiamo così, non avremo capito niente. Avremo perso un’altra occasione.

Cosa vogliamo creare?

E quali ingredienti vogliamo mettere nell’impasto?

Perché, sarai d’accordo con me, con gli ingredienti di prima il risultato non è uscito un granché.

Su cosa vogliamo concentrarci? Di cosa ci vogliamo occupare?

Ci è stata offerta, anche se a un prezzo sicuramente alto, la preziosa possibilità di avere tempo, quel tempo che tutti bramavamo, reclamavamo – la cui mancanza era ritenuta responsabile di tutte le cose che non riuscivamo a fare per noi, dei libri che non riuscivamo a leggere, degli argomenti che non riuscivamo a studiare.

Ma anche solo il tempo per pensare, fare “pulizie”, fare scelte, ascoltarsi, fare chiarezza. Essere.

E magari lavorare a quelle fondamenta, a quel nucleo centrale che, se riconosciuto e allenato, sa offrirci la stabilità necessaria quando vengono a mancare i riferimenti.

Ecco, credo che rinforzare quel nucleo sia la cosa principale da fare, ora, per salvaguardare il nostro equilibrio e a nostra centratura, per recuperare quella guida interiore così indispensabile quando la rotta che avevamo tracciato non è più praticabile e non abbiamo ancora gli elementi per tracciarne una nuova.

O forse per lungo tempo ci sarà chiesto di navigare a vista.

A volte penso che tutto quello che ho fatto nella vita sia stato una preparazione a questo.

E forse è lo stesso anche per te.

Siamo chiamati a vibrare alto, a far brillare la nostra luce e accendere e rinforzare quella luce negli altri.

A lavorare sia sull’aspetto “verticale”, ovvero sulla nostra evoluzione e connessione con una dimensione più alta, qualsiasi cosa significhi per te, che sul piano “orizzontale” – ovvero sulle cose pratiche e concrete da fare.

E, tra le une e le altre, c’è una sinergia.

Perché davvero “we are all in this together” – e ce la faremo solo se ci tratteremo in un certo modo – con gentilezza, con amore, ma anche con la forza e la determinazione di chi sa di poter e voler fare la sua parte- verso noi stessi, verso gli altri, verso il pianeta.

E questo richiede consapevolezza, discernimento, chiarezza d’intenti. E sicuramente lavorare, almeno un po’, per costruire quel luogo intoccabile dentro di noi.

Quel centro nel quale ogni cosa nuova può germogliare e che, grazie a te, può prendere vita e forma concretamente nella realtà.

Le pratiche della felicità

Per aiutarti ad “allenare” quel nucleo, ho creato il percorso online, completamente gratuito, a cui ti invito a partecipare.  Le Pratiche della Felicità, ogni Martedì alle 18.30 fino alla fine di aprile.

Se vuoi avere un’idea dei principi su cui si basa puoi leggere questo mio articolo.

Iscriviti alla mia Newsletter per ricevere tutte le comunicazioni in merito (se sei già iscritta/o – vai a leggere la mia ultima mail 😉 ).

Cambia percezione, cambia risultati

Cambia percezione, cambia risultati

La tua percezione è sempre attiva oppure, a volte, ti ritrovi a compiere dei gesti in modo del tutto automatico? Voglio parlarti di quello che puoi fare, semplicemente cambiando percezione. Ne sarai stupita. Perché da una percezione più attiva cambiano anche i risultati e, questo significa maggiori benefici con il solo utilizzo della tua mente!

Lascia che ti racconti quello che è successo a me

L’altra mattina stavo facendo le pulizie di casa e, mentre lo facevo, ho iniziato a pensare “Caspita, però stamattina non ho fatto i miei 10 minuti di ginnastica…”. In effetti, ero partita lancia in resta… ehm diciamo che ero partita aspirapolvere in resta, carica per l’operazione dust-buster ancor prima di colazione, stravolgendo la mia routine mattutina. Proprio io che normalmente faccio i miei 5 tibetani e 5 minuti di HIIT per risvegliare il corpo (lo sai già vero, che la mattina sono una specie di zombie?). 

Ma poi mi sono detta «Ehi, ma io sto già “facendo ginnastica”».

Certo, ora starai pensando che non è proprio la stessa cosa, e hai ragione, ma potrebbe esserlo, con la giusta percezione

Quello che sto per raccontarti potrebbe esserti utile in questi giorni di semi-reclusione, in cui non possiamo andare in palestra, a yoga o a fare zumba e magari dobbiamo passare una maggior quantità di tempo a fare le normali attività casalinghe, che di solito deleghiamo almeno in parte.

Quello di cui ti sto per parlare ha a che fare con la percezione, ancor meglio con la consapevolezza, e i suoi risvolti sono tantissimi e hanno a che fare con moltissimi aspetti, oltre alla tua forma fisica.

L’esperimento sulla percezione 

Nel 2006 la psicologa Ellen Langer dell’Università di Harvard ha condotto un esperimento che ha coinvolto 84 cameriere ai piani che lavoravano in 7 diversi hotel.

Alle donne è stato chiesto quanto allenamento fisico facessero mediamente, e tutte hanno dichiarato di non dedicarsi a nessun tipo di allenamento ( 1/3 ha detto zero, 2/3 hanno detto solo saltuariamente). Sono quindi state effettuate tutte le misurazioni del caso (massa magra/massa grassa, peso, centimetri nelle parti “cruciali”, pressione sanguigna ecc.) ed i risultati hanno confermato quanto dichiarato, ovvero i parametri erano quelli delle persone sedentarie.

Il gruppo iniziale è quindi stato diviso in due.

Il primo gruppo (44 persone) è stato informato del fatto che in realtà quello che loro facevano pulendo 15 camere ogni giorno, superava abbondantemente la quantità di attività fisica raccomandata dai medici ed è stato fornito loro un corollario di dettagli su quante calorie si bruciassero passando l’aspirapolvere o strofinando i sanitari, cosa succedeva al loro corpo quando cambiavano le lenzuola o pulivano i vetri e così via.

Alla fine un promemoria di queste informazioni è stato reso visibile sul loro posto di lavoro e alle signore è stato chiesto di non modificare nulla delle loro normali abitudini.

Al secondo gruppo invece non è stata data alcuna informazione.

E un mese dopo indovina cos’è successo?

Il gruppo “informato”, nonostante non avesse portato alcun cambiamento alle proprie abitudini, aveva in realtà modificato sensibilmente i parametri precedentemente misurati, dimostrando perdita di peso, diminuzione massa grassa e aumento massa muscolare, regolazione della pressione sanguigna, giro vita e giro fianchi diminuiti. 

Risultati concreti senza “fare niente”?
Non proprio: comportamento identico, ma differente atteggiamento mentale.

La percezione conta

Cosa era successo a queste donne? Erano diventate consapevoli di quello che stavano facendo, ci avevano dato un significato diverso: prima stavano solo “lavorando”, ora stavano anche facendo attività fisica! 

Forse avevano iniziato a portare la loro attenzione ai movimenti, anziché a farli in modo meccanico e “assente”, hanno aumentato il coinvolgimento, la presenza, la mindfulness – tanto da produrre modifiche tangibili nel loro corpo.

Cosa ci insegna questo esperimento sulla nostra percezione?

Questo, come molti altri esperimenti fatti, ci dice che la consapevolezza è qualcosa di impalpabile ma che diventa tangibile, che quello che crediamo ha un’influenza sui risultati concreti, e che la mente ha un effetto potente sul corpo. Ci ricorda che le informazioni che riceviamo ci aiutano a creare delle immagini, che vanno ad influenzare il nostro presente e il nostro futuro. È quindi fondamentale vigilare su cosa influenza la nostra immaginazione, in questi giorni più che mai.

In questi giorni di “tempo sospeso”, di semi isolamento e “reclusione” in cui la maggior parte delle nostre abitudini è stata stravolta, come potremmo usare questa conoscenza per il nostro bene? Quale promemoria vorremmo tenere a vista in questo periodo, al pari delle pulitrici dell’esperimento?

Ora tocca a te: cambia percezione e cambia i risultati!

Per esempio potresti notare cosa innalza, cosa espande la tua energia, e quello che invece la abbassa (io pur tenendomi alla larga dalla tv e dalla radio ancor più del solito, risento comunque di quel minimo di informazione che mi arriva).  Trova quindi le TUE pratiche per rimettere in equilibrio il tuo sistema.

Queste sono quelle che funzionano con me:

  • Respirare.
  • Sorridere.
  • Ballare scatenata.
  • Amare.
  • Provare cose nuove, anche se chiusa in casa.
  • Meditare per la guarigione del mondo.
  • Massaggiare il mio corpo con una crema profumata.
  • Sentirmi parte di qualcosa di molto più grande, sentire che forse, per la prima volta a livello mondiale, siamo una cosa sola e potremo farcela solo se restiamo uniti.

Qualsiasi cosa tu decida di fare, metti te stessa interamente in quell’attività, che sia passare la scopa, fare i biscotti, leggere una storia ai tuoi figli o progettare lo sviluppo della tua attività non appena saremo fuori da qui.

Perché il futuro si crea nel presente.

E credo che sia il momento giusto per creare insieme, qui e ora, il mondo migliore che tutti noi desideriamo.

Un abbraccio, con amore

Gina

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Creare o farsi contagiare?

Creare o farsi contagiare?

Qual è la parola che hai sentito nominare più spesso in queste ultime settimane? Ora, io qui non la voglio nemmeno pronunciare, ma sono certa che siamo tutte concordi: la protagonista assoluta è il nome di un certo ceppo virale che vuole contagiare, una parola così “malata” di protagonismo da essersi messa un diadema in testa. 😉 

Non farti contagiare dalle notizie

Nei giorni scorsi, anche senza andare mai a cercarmi le notizie, mi sono comunque sentita accerchiata: accendevo la radio per sentire un po’ di musica e quella parola era lì; sfogliavo un giornale ed eccola apparire ovunque; mentre facevo zapping su Sky alla ricerca di un film, ecco spuntare le varie breaking news e tavole rotonde sul tema. Per non parlare poi di quando mi collegavo sui social, perché venivo travolta dalla vera valanga.

È successo anche a te?

Vignette, video ironici, meme, fake news. Articoli, post, interviste, servizi giornalistici. Con gli scopi più disparati: informazione e prevenzione, per sdrammatizzare, per esorcizzare, per gridare al complotto, e addirittura per scopi promozionali (ebbene sì, ho visto il post di una pasticceria che sta producendo dei dolcetti a forma di covid-19). 

Il punto è che ovunque ti giri la tua attenzione viene sequestrata e dirottata su quello.

Non puoi non pensarci.

Non lasciarti travolgere.

L’informazione è importante e l’oggettività delle cose anche, ammesso che esista. 

Ma noi viviamo di percezioni, e le parole che usiamo (o subiamo) e le immagini che a quelle parole associamo, hanno un effetto su di noi, provocano emozioni e suggestioni riguardo al presente e ai futuri possibili.

Sembra si faccia di tutto per evocare in noi scenari apocalittici alla Walking Dead, dove è pericoloso entrare in contatto con gli altri, dove ammalarsi è facilissimo e, soprattutto, dove contagio equivale a malattia-complicanze-rischio di morte.

Parole ed immagini hanno un grande potere…

Ogni immagine che tratteniamo nella nostra mente può contagiare noi, il nostro sistema, le sentinelle nel nostro corpo, la nostra capacità di fronteggiare al meglio ciò che ci preoccupa, sia tutto il resto delle situazioni che continuano ad esistere esattamente come a prima che si manifestasse questa emergenza.

Ogni parola e ogni immagine che la nostra mente associa a quella parola, crea un’emozione. E un’emozione è qualcosa che succede nel corpo, una reazione chimica, che ha un effetto sulle nostre capacità decisionali, sul nostro benessere nel breve e nel lungo termine; ha un effetto sul nostro sistema immunitario.

Storie di ordinario Placebo 

La nostra mente ha la capacità di creare le condizioni per attivare la naturale capacità di auto-guarigione del nostro organismo e questo è noto come effetto Placebo. Sicuramente ne avrai sentito parlare.

Ma il potere della mente funziona anche nel senso opposto.

Il dr Joe Dispenza nel suo libro “Placebo Effect” racconta una quantità di casi incredibili al riguardo. 

Sam Londe

Come la storia di Sam Londe, i cui esami diagnostici avevano rivelato l’avanzare di diversi tumori;  aveva chiesto al medico di fare il possibile per farlo vivere almeno fino a Natale, ed è morto proprio pochi giorni dopo aver festeggiato con la sua famiglia. Niente di strano, potrai pensare, salvo che l’autopsia rivelò che la diagnosi era sbagliata e il povero Sam non era in una condizione che avrebbe potuto ucciderlo. Lui credeva di stare per morire, il suo medico lo credeva, la sua famiglia lo credeva. 

Mr Wright

Per non parlare della storia del signor Wright, affetto da diversi linfomi, che aveva chiesto che gli venisse somministrato un farmaco sperimentale nel quale lui riponeva grande fiducia, il Krebionzen. Poco tempo dopo aver ricevuto l’iniezione i tumori erano scomparsi e Wright stava benissimo.

Passarono due mesi e Wright lesse che alcuni trial successivi non avevano confermato l’efficacia del farmaco e poco dopo ebbe una ricaduta.

Allora il medico gli disse che esisteva una versione nuova, riveduta e corretta del Krebionzen, e che lui avrebbe potuto riceverla. Questa volta però l’iniezione conteneva solo soluzione salina, ma ebbe comunque il potere di far scomparire i tumori. 

Mesi dopo però, Wright lesse che il Krebionzen era stato definitivamente dichiarato inefficace e, sentendosi ormai perduto, si ammalò definitivamente. Eppure quello che l’aveva “guarito” era solo soluzione fisiologica.

Il caso del Giappone

E che dire di quell’esperimento effettuato nel 1962 in Giappone? Vennero presi a campione dei  bambini fortemente allergici a un certo tipo di edera; gli fu strofinata l’edera velenosa su un avambraccio dicendo loro che fosse innocua, e una innocua sull’altro avambraccio, dicendo che fosse quella velenosa: tutti i bambini svilupparono l’eruzione cutanea sul braccio trattato con la foglia innocua, e 11 non ebbero alcuna reazione sul braccio trattato con l’edera velenosa.

Insomma, le nostre convinzioni e la nostra percezione dell’ambiente esterno hanno l’effetto di contagiare in modo potente il nostro ambiente interno. Nel bene e nel male.

Come possiamo proteggerci dalle informazioni che ci vogliono contagiare?

Riflettiamo insieme: quale tipo di ambiente interno sta creando tutta l’attenzione che stiamo dando ad un determinato problema, in questo momento?

A cosa stai pensando, soprattutto, in questi giorni? 

Quale ambiente stai creando, nella tua mente e quindi all’interno del tuo corpo, sottoponendoti a questo bombardamento di notizie?

Preoccuparsi non è una strategia.

Certo, nemmeno ignorare il problema lo è.

E quindi?

Forse “creare” è la strategia migliore.

Creare spazio, allontanandoci dai media per un po’.

Creare equilibrio, respirando in modo consapevole.

Creare serenità, indirizzando i nostri pensieri in una direzione propositiva.

Creare immagini, emozioni e suggestioni costruttive.

Creare empatia, levando lo sguardo dal nostro ombelico e offrendo la nostra vicinanza agli altri.

E poi certo creare azione: se puoi, dove puoi e come puoi. 

Il pensiero crea.

Crea emozioni, crea una certa chimica nel corpo, crea separazione o connessione, crea paura o speranza. 

Tu cosa vuoi creare? Cosa stai creando? 

Ecco cosa puoi fare nella pratica

Nel momento in cui ti accorgi che i tuoi pensieri sono assorbiti da qualcosa che non vorresti vedere concretamente realizzato, fermati un momento. Prendi consapevolezza e cambia direzione.

Chiediti: qual è l’intenzione positiva dietro a questa mia preoccupazione?

E una volta che l’hai individuata fatti un’altra domanda: in che modo posso mantenere l’intenzione positiva, ma con dei pensieri- ed eventualmente delle azioni- più utili?

Allo stesso modo in cui non permetteresti alle erbacce di crescere nel tuo giardino, né permetteresti ad altri di scaricare lì la propria immondizia, prenditi cura del tuo “giardino interno”: la responsabilità è tua.

Ed è un bene perché, ribaltando la celebre frase dello zio Ben di Spiderman, “da grandi responsabilità, derivano grandi poteri”.

Sono curiosa di leggere le tue consapevolezze e trasformazioni, lasciami un commento sotto a questo post!

Un abbraccio, 

Gina

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Comunicazione empatica: scegli la sedia giusta e migliora la qualità delle tue relazioni

Comunicazione empatica: scegli la sedia giusta e migliora la qualità delle tue relazioni

Cosa sta alla base della comunicazione empatica? Impariamo la tecnica delle 5 sedie, per comunicare con maggiore consapevolezza. 

Avere relazioni di qualità sembra essere una delle risorse essenziali per vivere una vita felice, e ricca di significato, come risulta dalla ricerca sulla felicità più lunga della storia (Harvard, 1938- 2013). Eppure le nostre sofferenze più frequenti derivano proprio dal “non capirsi”, dai litigi, dalle discussioni che quotidianamente abbiamo proprio con le persone a noi più vicine, a casa, con gli amici e al lavoro. Com’è possibile?

Marshall Rosenberg, padre della comunicazione non-violenta, ci ha trasmesso l’idea che il nostro modo di comunicare “violento” (ricco cioè di critiche, giudizi e manipolazioni) è qualcosa di appreso, mentre l’Empatia è qualcosa di innato, che però perdiamo crescendo, imitando i modelli comunicativi che registriamo intorno a noi. Serve quindi recuperarla, per comunicare mantenendo il contatto con noi stesse e con gli altri, osservando senza giudicare, individuando emozioni e bisogni, e facendo le richieste necessarie.

Non so quale sia la tua esperienza in merito, ma a me capita a volte di scivolare inconsapevolmente in una battaglia su chi ha più ragione, magari con il mio compagno (eh già… lui è proprio la mia palestra più grande 😉 ) E allora ecco che mi fermo, faccio un passo indietro e utilizzo quello che so. Quello che sto per condividere con te in questo articolo è proprio uno dei metodi che mi viene maggiormente in aiuto…

Le 5 sedie per imparare la comunicazione empatica

Una delle metodologie che trovo essere più utili quando si tratta di comunicazione empatica e modulazione del nostro comportamento “sotto pressione” è la tecnica delle 5 sedie di Louise Evans, che lei stessa descrive nel suo intervento al Tedx di Genova. Questa metodologia ti aiuterà a rallentare e capire quale tipo di comunicazione e di comportamento stai attuando in ogni situazione. 

Se mi conosci un po’ sai quanto io ami la Natura: sarà anche per questo che trovo simpatica, oltre che efficace, questa metodologia: i protagonisti sono 5 animali, che con le loro caratteristiche ti aiuteranno ad osservare il tuo comportamento e magari sceglierne gradatamente uno più funzionale. Ma vediamoli!

La teoria della comunicazione empatica: ad ogni animale la sua sedia

Immagina di avere cinque sedie in fila, di 5 colori diversi e ognuna collegata ad un animale. Immagina di capire dove ti trovi in ogni situazione “difficile” tra te e qualcun altro e tieni presente che più ti sposti verso la sedia numero 5, più abile sarai diventata e meglio sarà per le tue relazioni.

SEDIA ROSSA – LO SCIACALLO


Lo sciacallo è un animale molto furbo, opportunista, un animale che attacca. In termini comunicativi, quando sei su questa sedia fai il gioco del “ho ragione io”. Se noi abbiamo ragione, questo implica che dall’altra parte qualcuno deve avere per forza torto e questo non facilita sicuramente le relazioni. É più importante per noi avere ragione o preservare e magari rafforzare la relazione con questa persona? Ricorda sempre che avere ragione non serve a niente. Se non a rimanere uguali a se stessi.

SEDIA GIALLA – IL PORCOSPINO

Il porcospino è un animale che si sente molto vulnerabile e quando avverte un pericolo o c’è qualcosa che lo spaventa, si appallottola su se stesso per proteggersi. Questa è una sedia di dubbio, di critica e giudizi verso noi stesse , di insicurezza. Qui è come se ricercassi  quello che ci potrebbe essere di sbagliato te e nelle tue azioni, con la certezza di trovarlo. Quando siamo sulla sedia del porcospino è come se riversassimo tutti gli attacchi dello sciacallo verso noi stesse. E anche qui non si sta per niente bene.

SEDIA VERDE – IL SURICATO

Hai presente il suricato? Quel simpatico animaletto di nome Timòn che nel Re Leone canta Hakuna Matata insieme al Facocero Pumba? Bene, Walt Disney a parte, il suricato è un animaletto che quando è “di guardia” è capace di stare in piedi per delle ore sulle zampare posteriori e, allungandosi il più possibile, osservare cosa succede tutt’intorno. É un animaletto molto molto vigile, capace di stare ore fermo immobile a non far nulla, limitandosi ad osservare. Questa è la sedia in cui siamo vigili, siamo delle sentinelle, siamo in pausa, attendiamo. È la sedia della consapevolezza. Ci interroghiamo su quello che pensiamo, su quello che diciamo. È una sedia in cui diventiamo curiose anziché giudicanti. Questa è la sedia da dove scegliamo da che parte andare: direzione sciacallo e direzione giraffa? 

SEDIA AZZURRA – IL DELFINO

Il delfino è un animale super intelligente, curioso, socievole, ama giocare, ma soprattutto è dotato di un radar molto particolare, detto “sonar”, che gli permette di emettere dei suoni impercettibili all’uomo che, rimbalzando suoi ostacoli circostanti, gli forniscono una mappa dettagliata di tutto ciò che lo circonda. Quella del delfino sarà perciò la sedia dell’introspezione e dell’indagine. Per questa sedia è calzante il pensiero di Aristotele “Conoscere te stesso è l’inizio di tutta la saggezza”. Qui indaghiamo dentro di noi, siamo molto consapevoli di noi stesse, riconosciamo quali sono i nostri bisogni, i nostri valori, i nostri confini con chiarezza. È una sedia potente, in cui ci riprendiamo il nostro potere e riusciamo a mettere i nostri paletti in modo assertivo  e mai aggressivo.

SEDIA VIOLA – LA GIRAFFA

La giraffa è l’animale che ha il cuore tra i più grandi e potenti di tutti gli animali terrestri, ed ha anche il collo più lungo, che le permette di guardare le cose da una prospettiva molto più ampia rispetto a qualsiasi altro animale non volatile. In questa sedia noi siamo consapevoli dei nostri bisogni ma siamo attente anche ai bisogni dell’altra persona. Siamo empatiche, amorevoli. Iniziamo a chiederci cosa sta provando l’altra persona, cosa sta succedendo dentro di lei, di che cosa ha bisogno. Qui non ci importa di avere ragione, ci caliamo nei panni degli altri, cerchiamo di comprenderli e di vedere tutto con una visione più ampia. Diventiamo comprensive e accettiamo la diversità.  É una sedia in cui manteniamo la connessione con l’altra persona, qualsiasi cosa accada, anche se siamo in disaccordo e anche se dal confronto dovesse risultare di prendere due strade diverse.

Ma vediamo un esempio concreto.

Proviamo a immaginare una situazione reale e, in seguito, vediamo che tipo di risposta potremmo adottare spostandoci di sedia in sedia. 

SITUAZIONE: Stai passeggiando per la città e incroci un’ex collega che non vedi e non senti da un po’ di tempo e con la quale eravate molto legate. Ti sembra di notare che è sfuggente, che nel suo atteggiamento c’è qualcosa di diverso dal solito.

COMUNICAZIONE EMPATICA – COME RISPONDERE, SPOSTANDOTI DA UNA SEDIA ALL’ALTRA:

  1. SCIACALLO – Attacchiamo l’amica. «Ehi, ma buongiorno!! Tutto bene sì?! ti ho chiamato tre volte e tu non rispondi? Sono mesi che non ti fai viva!». Potremmo anche non attaccare verbalmente, ma farlo con uno sguardo di sospetto o di giudizio, o con un tono di voce velatamente accusatorio. Insomma, il sottofondo qui è che noi siamo la parte lesa e lei si è comportata male.
  2. PORCOSPINO – La salutiamo velocemente, magari risultando sfuggenti noi, perché siamo impegnate a rimuginare, mettendoci in una condizione di colpevole vittimismo. “Chissà cosa ho fatto, come mai non si è fatta viva con me, le avrò fatto qualcosa? Sarà per quella volta che le ho fatto una battuta e lei c’è rimasta male… Eh sì, sicuro ce l’ha con me. O magari crede ancora che io abbia parlato male di lei con il capo…”  Insomma, qui la ricerca dell’errore, della “colpa” è su di noi.
  3. SURICATO – Qui ci mettiamo in pausa e osserviamo cosa accade. É uno spartiacque, è la sedia “sliding doors” : da un lato le ragioni dell’ego con le sue ferite e i suoi giudizi, dall’altra l’Empatia, per noi stesse e per gli altri.  Nel caso della nostra ex collega quindi, la osserviamo, ci osserviamo, e ci chiediamo che cosa sta veramente succedendo. Sospendiamo ogni giudizio. 
  4. DELFINO – In questa postazione non “facciamo”molto in realtà, ma raccogliamo segnali, proviamo un’apertura di cuore verso noi stesse e verso di lei, cerchiamo di stare in contatto per comprendere e valutare il da farsi.  Questo potrebbe risultare nel chiederti “Ok, vorrei riuscire a rientrare in contatto con lei, ci tengo ad essere sua amica. Voglio che le stia bene, però voglio stare bene anche io. Di cosa ho bisogno? Quale potrebbe essere una strada buona per entrambe?” 
  5. GIRAFFA – Nei confronti dell’amica ti chiederesti: “Di che cosa ha bisogno LEI? Che cosa sta succedendo? Come posso aiutarla? Cos’è importante per lei?”.  Anche se quello che è importante per lei non coincide con ciò che importante per te ci sarà sempre apertura. È comprendere e accettare la diversità. Magari in un prossimo articolo andremo in maggiore profondità con la comunicazione empatica, ma ti assicuro che se ti alleni su questi passaggi vedrai accadere “miracoli”! 🙂 

Facile? No. Possibile? Certamente.

A volte è difficile rinunciare al gioco di io ho ragione o di rinunciare al ruolo della vittima. Se restiamo in questi due ruoli non “vinciamo”. Avere ragione, imporsi sull’altro non rappresenta la vittoria, perché la vera vittoria è, invece, avere buone relazioni basate sull’ascolto autentico e, per farlo, è necessario scegliere bene la nostra sedia!

Un abbraccio, 

Gina

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