16 Nov 2020 | Crescita personale
Il tempo per noi stesse è importante, anche per gli altri.
Oggi vorrei parlarti di uno dei temi che sento ricorrere maggiormente tra le mie clienti, tra le mie amiche e colleghe, tra le amiche professioniste della Rete al Femminile, tra la maggior parte delle donne che lavorano, che hanno famiglia e spesso dei figli e sono donne che vogliono crescere dal punto di vista sia personale che professionale: è la stanchezza e la mancanza di tempo per sé – che sono, a mio avviso, strettamente collegate.
Prendersi del tempo è sempre stato difficile, per le donne
E ora con smart working che proprio smart non è, didattica a distanza, attività sportive soppresse e neanche un ristorante o un teatro dove passare una serata rigenerante, il problema si è acuito in modo esponenziale.
Ma se la difficoltà è oggettiva, c’è sempre qualcosa che possiamo fare a livello soggettivo per ridare priorità a qualcosa che consideriamo un “lusso”: un po’ di tempo per noi.
E l’inizio è sempre un cambiamento nel nostro modo di vedere le cose.
Se prenderci del tempo per noi non fosse un lusso, ma una priorità?
Se invece il lusso che non possiamo permetterci fosse quello di trascurare il nostro bisogno di staccare, rigenerarci, divertirci?
Una delle cose che mi ha sempre tenuta in piedi anche nei momenti più sfidanti della mia vita è stata una sorta di sano “egoismo” che mi ha sempre permesso di non perdere di vista ciò che per me è vitale (nel senso che aggiunge vita alle mie giornate): trovare il tempo per fare ciò che amo.
Noi donne cresciamo con l’idea che il nostro ruolo è di esserci per gli altri, prima.
Da bambine vediamo le mamme fare i salti mortali, sacrificarsi, gestire con successo mille ruoli contemporaneamente e introiettiamo quei modelli.
Perciò non è stato facile nemmeno per me vincere quell’idea strisciante che ti fa credere che gli altri ti giudicheranno se dici di no, o che il mondo crollerà se non sei sempre a disposizione di chi ha bisogno di te.
Ma forse proprio per la mia storia (che ti rimando qui) ho iniziato a credere che pensare a me stessa “prima” (non soltanto, ma prima) fosse indispensabile non solo alla mia felicità, ma alla mia sopravvivenza.
Capita a tutte di vivere con quel senso di colpa
Proprio oggi, in una sessione individuale con una meravigliosa nuova cliente, il tema è emerso di nuovo. Raccontava di una pressione esagerata da parte dell’azienda per cui lavora, della totale mancanza di tempo per sè e del dispiacere (se non addirittura senso di colpa) per aver ritardato un giorno nell’andare a prendere la figlia, che così aveva cenato dallo zio anziché con lei.
Il suo racconto mi ha richiamato alla memoria un episodio di quando ero bambina, che l’ha aiutata a cambiare la percezione riguardo a quell’evento.
Ti racconto quello che era successo a me
Ero in prima media e praticavo atletica leggera, e nei 60 metri piani ero quasi imbattibile.
Quel giorno eravamo andati con tutta la scuola al campo sportivo per le gare comunali. Ma pochi minuti prima della gara, che sapevo di poter vincere, succede qualcosa: in segreteria si rendono conto che io ero un anno più giovane rispetto alle mie compagne di classe e delle classi parallele, pertanto mi sento convocare lì con la mia insegnante e mi dicono che purtroppo, a causa del regolamento, non avrei potuto partecipare se non con “le più piccole”.
Fui presa dalla delusione, dalla vergogna di dover correre con quelle delle elementari, dal disagio di gareggiare con delle sconosciute: così scoppiai a piangere e mi rifiutai di gareggiare. Ammetto di essere stata un po’ drammatica 😉 ma ai miei 10 anni evidentemente non sapevo fare di meglio.
Così la scuola avvertì mia mamma affinché mi venisse a prendere, ma lei stava lavorando e non poteva muoversi.
Oggi, come mamma a mia volta, immagino che si sia sentita in conflitto tra ciò che doveva fare e il desiderio di venir a consolarmi, in colpa forse, per non potersi assentare. Allora di certo non ci pensavo.
Fatto sta che mi venne a prendere mia zia, sua sorella più giovane, con il suo fidanzato ed un cucciolo di pastore tedesco di nome Lord, e mi portarono a fare una passeggiata sul Carso.
Fu una giornata speciale, e io ancora oggi la ricordo come una cosa stra-ordinaria (in quanto non era abituale), una piccola avventura che fu in grado di farmi dimenticare la delusione e riportarmi al mio naturale stato di gioia.
Ho fatto tesoro di quell’esperienza
Questo racconto ha permesso a Claudia di capire che quello che lei viveva come un “togliere qualcosa” a se stessa e alla bambina, poteva in realtà essere un grande dono alla figlia, un’esperienza che da grande magari avrebbe ricordato con piacere ed affetto, proprio perché insolita, diversa, inaspettata.
Quando ci sacrifichiamo per i figli, trasmettiamo loro il messaggio: sei importante, ti amo.
Ma quando sappiamo prenderci cura di noi trasmettiamo loro un messaggio altrettanto fondamentale: Io sono importante per me, io mi amo.
E questo autorizza loro a considerarsi importanti per se stessi, ad amare se stessi prima di tutto.
E non succede solo con i figli, ma con tutte le persone che amiamo.
Così facendo è come se autorizzassimo anche gli altri a fare lo stesso, li incoraggiassimo a riconoscere i propri bisogni e prendersene cura. È un po’ come in quel vecchio detto:
Se vuoi sfamare una persona non dargli del pesce: insegnale a pescare.
E ne parlava anche un certo uomo saggio vissuto circa duemila anni fa: ama il prossimo tuo come te stesso.
Se questo amore per noi stesse scarseggia, come potremo davvero amare qualcun altro di più?
Conosco donne “impeccabili” che si sacrificano per fare sempre ciò che ci si aspetta da loro, ma che poi si lamentano, criticano, giudicano e sono quasi sempre scontente e rancorose.
Si sono semplicemente dimenticate di amare e dare ascolto alla persona con cui devono trascorrere ogni istante della propria vita: se stesse.
Si può fare. Anzi, è uno dei rarissimi casi in cui utilizzo questo verbo: si “deve” fare 😉
Lo devi a te stessa, prima di tutto.
Quando impari ad amarti ti tratti come tratti le persone che ami: fai quello che puoi per renderle felici. E allo stesso modo per cui per te è una gioia esserci per gli altri, è importante esserci per te.
Perciò, trova il tempo per dedicarti a ciò che ami.
Quanto a me, ora, nonostante le molte cose che avrei da fare, e nonostante fuori ci sia un’umidità londinese, chiudo il computer, mi alzo dalla mia postazione e vado a fare una passeggiata lungomare.
Al mio ritorno sarò una persona un po’ migliore, e non sarò l’unica a beneficiarne.
Lasciami un commento: fammi sapere di te!
Gina
26 Ott 2020 | Crescita personale
Dopo la lavatrice si arriva alla… cornice. Nel mio precedente articolo ti avevo parlato di “momenti lavatrice”, e non mi riferivo a quando ci occupiamo del bucato, ma a quei momenti in cui ci sembra di essere nella centrifuga, insieme al bucato. 😉
Ti avevo indicato alcune cose che in quei momenti è utile evitare, e alcune cose che invece possono essere d’aiuto. È stato lì che te l’ho nominata: la cornice d’accordo.
Una cornice è, in generale, qualcosa che delimita e valorizza quello che contiene, per esempio una bella foto.
In questo caso, andiamo a delimitare e definire i termini di un accordo tra noi e qualcun altro, valorizzando così i nostri bisogni e desideri, rispettando anche quelli del nostro interlocutore. Un piccolo lavoro, da fare in anticipo, che ci permette di evitare malintesi, sottintesi e non detti, che sono sempre forieri di malcontento, fastidi, contrasti a volte anche rotture.
Introdurre questa pratica tra le mie abitudini ha facilitato ogni mia relazione: con i miei clienti, nelle collaborazioni, in possibili partnership, nelle amicizie, con i miei affetti. Potremmo definirla come “Le regole del gioco dei nostri rapporti”.
Vediamo come potrebbe diventare qualcosa di prezioso anche per te.
Diversi anni fa, quando ancora non conoscevo questo strumento, mi è capitato di fare un viaggio in un posto bellissimo con dei compagni di viaggio piuttosto improbabili, nel senso che non condividevamo molto a livello di punti di vista, valori, desideri e abitudini, salvo il desiderio comune di andarcene per una decina di giorni in Messico.
Nulla di tutto questo mi era apparso, a quel tempo, come un possibile problema.
Quando immagini dieci giorni nella penisola nello Yucatan cosa immagini?
Spiagge bianche, poncho colorati e sombreros, cibo speziato e città Maya, vero?
Questo almeno era quello che immaginavo io.
Immaginavo di svegliarmi al mattino presto (ma non prestissimo), scendere a fare una colazione ricca e super salutare, andare in spiaggia alcune ore, fare sport acquatici e, dopo un pranzo leggero a base di frutta e pesce e un po’ di relax, avventurarci ad esplorare i dintorni.
Immaginavo di inoltrarci all’interno con un’auto a noleggio e visitare gli antichi siti archeologici ricchi di storia e di magia, ascoltare storie, camminare per le stradine di piccoli paesi e villaggi, visitare mercatini tipici e profumati, e tornare a casa nutrita dalla contaminazione con quella cultura, storia, natura, quei colori, sapori e profumi.
Perfetto no?
Peccato che questa era il viaggio che girava soltanto nella MIA testa.
Le preferenze dei miei colleghi viaggiatori, o dovrei dire piuttosto vacanzieri, era quella di alzarsi tardi al mattino, stare in spiaggia a lungo, pranzare tardi e in modo più importante, fare shopping, molta vita notturna, il tutto innaffiato da frequenti aperitivi.
Secondo te com’è andata la vacanza?
No, ancora peggio. 😉
È stata comprensibilmente difficile perché non ci eravamo presi la briga di verificare “prima” quale tipo di viaggio, o vacanza, ognuno di noi desiderava fare.
E ovviamente non c’è nulla di sbagliato nel desiderare la vacanza che i miei amici volevano fare, solo che non era la mia!
Ecco cosa avremmo dovuto mettere in chiaro prima:
Vacanza, o viaggio?
Relax e divertimento oppure vita sana, natura e cultura? O un mix di quali ingredienti e in che misura?
Ci immaginiamo una vacanza più stanziale, o più in movimento?
Vita mondana quanta?
Cosa succede se alcuni di noi vogliono una cosa e qualcuno vuole fare altro?
Ho la libertà di farmi un programma per conto mio senza che gli altri smettano di rivolgermi la parola? 😉
Vogliamo avere budget illimitato, o qualcuno ha necessità di contenere le spese?
E la lista potrebbe continuare.
Fare questo può sembrare un lavoro faticoso e molto razionale ma ti assicuro che è stato molto più gravoso cercare di mediare in tutte le situazioni in cui ognuno aveva la sua idea. O peggio, quando la mia idea non coincideva con quella di nessun altro.
Eppure a me pareva così ovvio, ed è probabile che anche tu che mi stai leggendo abbia l’impressione che nella mia idea di vacanza-viaggio ti saresti trovata piuttosto a tuo agio.
O forse avresti preferito quella dei miei amici. Benissimo! L’importante è saperlo prima, negoziare laddove è possibile e prendere decisioni coraggiose dove è necessario.
Non si tratta di imporre i propri standard, ma di fare chiarezza con noi stessi e chiedere all’altro di fare lo stesso, comunicandoci tutto ciò che può essere importante sapere e non dando nulla per scontato (che poi tutto quello che è “scontato” è qualcosa a cui diamo meno valore, no?)
E, appunto, il primo fondamentale passaggio, è creare questa chiarezza dentro di noi, ed esplicitarla a noi stesse attraverso l’uso di domande mirate.
Se siamo professioniste o free-lance, quanto spazio vogliamo dedicare al lavoro e quali spazi vogliamo tenere riservati alle altre cose importanti della vita?
Qual è il livello economico che vogliamo raggiungere?
Cosa siamo disposte a fare per arrivarci, e cosa non siamo disposte a fare?
Se lavoriamo come dipendenti, quanto spazio e tempo siamo disposte a dedicare al lavoro fuori dal nostro orario?
E più in generale, quali cose non possono mancare nella nostra vita?
A cosa non siamo dispose a rinunciare?
E nelle relazioni; cosa è indispensabile e cosa irrinunciabile?
E riguardo la mia salute e forma fisica, quali accordi voglio prendere con me stessa?
Ogni area, ogni situazione, ogni relazione potrà trarre solo benefici da questa onestà e chiarezza, ti farà risparmiar tempo e denaro, ma soprattutto – e questo è il vantaggio più grande – ti farà sentire di onorare te stessa, i tuoi valori, le tue preferenze e di trattare l’altro nello stesso modo, offrendo a entrambi la possibilità di accettare, negoziare o rifiutare l’accordo.
Spesso non è sufficiente fare una cornice d’accordo una volta per tutte, può essere necessario “richiamarla” ogni tanto, rifacendoti ai termini che avevate stabilito. Ecco perché è importante avere stabilito quei termini: è molto più facile ricordare a qualcuno che il suo comportamento non ti sta bene se lo avevi già evidenziato in una fase precedente.
Certo, ci vuole un po’ di pratica, molta onestà e un po’ di coraggio, ma è un sicuro antidoto ad aspettative e delusioni.
E visto che mi piace sempre passare da un livello concettuale a un livello concreto, ora ti invito a fare questo esercizio.
Prendi una situazione in cui, nell’interazione con l’altro, non sei stata soddisfatta del risultato.
Potrebbe essere con un cliente che si aspettava qualcosa di diverso, un cliente che hai dovuto inseguire per poter incassare, un weekend insoddisfacente, un’amicizia che in questo momento è sbilanciata o un numero importante di persone che si cancellano dalla tua newsletter.
Su quali aspetti non avevi fatto chiarezza con te stessa?
Quali cose avresti dovuto evidenziare prima a loro?
Quali erano i SÍ e i NO che avresti dovuto mettere in chiaro?
Cosa ti aspettavi, o cosa si aspettava l’altro?
Come applicheresti la cornice d’accordo la prossima volta?
Di solito ci tengo una mezza giornata di corso sull’argomento, ma mi auguro che questo articolo possa darti il “la” per comprendere e iniziare a praticare.
Fammi sapere cosa scopri e dove l’applicazione della cornice d’accordo potrebbe fare la differenza per te.
E se hai domande, non esitare a scrivermi! Sarò felice di risponderti.
Un abbraccio,
Gina
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14 Ott 2020 | Crescita personale
Momenti di confusione, sono sicura che li conosci molto bene anche tu.
Sono quei momenti in cui è come se calasse un sipario pesante e scuro sulla tua giornata. Ti senti invischiata in una ragnatela dalla quale tenti di divincolarti, ma più ti muovi e più ti senti limitata nei movimenti e impossibilitata ad uscirne.
I pensieri sono veloci e confusi mentre la tua capacità d’azione è rallentata e indebolita.
Insomma, non sei “la solita te”.
Io li chiamo momenti di “turbolenza”, o momenti lavatrice.
È normale che succeda (ne parlo anche in questo articolo)
Il problema è che pensiamo non lo sia, che pensiamo non dovremmo sentirci così. Invece che prenderla come una giornata di pioggia, ci sentiamo come se il sole non dovesse tornare mai più.
Ci succede quando siamo stanche e la confusione prende il sopravvento.
Quando l’impegno che mettiamo in tutte le cose non ci ripaga con i risultati sperati.
I momenti in cui non ci sentiamo comprese, quando ci sembra che ciò che facciamo non venga apprezzato a sufficienza.
E anche quando ci sembra di essere scivolate dalla padella nella brace. Magari perché abbiamo avuto il coraggio di lasciare un lavoro sicuro e ben retribuito, per perseguire la realizzazione di un sogno e di noi stesse. Ma in certi momenti ci troviamo a dubitare di tutto e, per estensione, anche di noi stesse.
Un paio di settimane fa ho vissuto uno di quei momenti
Non è una cosa nuova per me. Mi succede ciclicamente e, sebbene io li conosca bene, quando ci sono dentro mi sembra che niente vada bene, che niente sia giusto… mi sento lontana da me.
E quando sei lontana da te, rischi di sentirti lontana anche da ciò che hai scelto, e può capitare di mettere in discussione molte cose.
In quei momenti è facile avere la tendenza a drammatizzare. Le forti emozioni che si provano tingono di un colore scuro ogni cosa e non si riesce ad avere uno sguardo obiettivo sulle cose.
Da una chiacchierata con un’amica anche lei libera professionista che, a breve distanza dal mio momento no, stava attraversando una fase simile, è nato un fertile confronto su questo tema. Questo mi ha portata a cercare di comprendere, e in un certo modo codificare, non solo come attraversare al meglio questi momenti, ma anche a come farne risorsa.
Ecco cosa ti potrebbe capitare di sperimentare, quando vivi questi momenti di confusione:
- pensare che sei sulla strada sbagliata
- mettere in discussione te stessa, le tue scelte, il cammino fatto fin qui
- mettere in dubbio i tuoi meriti
- permettere a una situazione sbagliata o difficile di diventare pervasiva. Es: è andato male un incontro di lavoro e ciò che ti dici in realtà è che “la tua vita è un disastro”
- non riuscire a vedere la bellezza e l’abbondanza che c’è nella tua vita proprio ora
- notare molto bene tutto quello che manca o che non va
- vedere la bruttezza del mondo, e solo quella.
- perdere il contatto con il senso di ciò che fai (insomma, ti sembra futile o inutile)
Capita anche a te?
Siccome ho anni e anni di esperienza, diretta e indiretta, di momenti così, ecco che ho stilato innanzitutto un elenco di DON’TS, ovvero di cose da NON fare in queste circostanze in cui la confusione tenta di prendere sopravvento.
Sono tre le principali cose “vietate”, dopo esserci concesse di sguazzare brevemente nel nostro “drama” 😉
È “vietato”:
- credere a tutto ciò che pensi (questo vale sempre, ma in particolar modo nei momenti-lavatrice);
- giudicarti per come ti senti (sei molto più di quello che provi ora);
- prendere decisioni sull’onda dell’emozione (non sarebbero certo le migliori).
Ci sono molte cose utili che possiamo fare in quei momenti di confusione, e voglio condividere con te i 7 passi che per me funzionano sempre:
– accettare come mi sento e accogliere le mie emozioni;
– fare silenzio e non forzarmi a fare nulla che non sia strettamente indispensabile;
– confrontarmi con qualcuna delle mie preziose “compagne di viaggio”;
– prendermi cura di me scegliendo alcune delle cose dalla mia “self care list”;
– comprendere qual è davvero il problema, comprendere il messaggio del mio disagio;
– rifare contatto con il mio “perché”;
– mettere in atto qualcosa di nuovo.
E ora, uno per uno, ti spiego perché per me funzionano per combattere la confusione:
- Accettare come mi sento e accogliere le mie emozioni: resistere a ciò che sentiamo, opporci, sopprimere o negare le nostre emozioni non fa che creare ulteriore conflitto. Sentiamo ciò che sentiamo. Se riusciamo a non giudicarci per questo e a non avere paura di ciò che sentiamo, possiamo semplicemente accogliere la verità di ciò che sta accadendo, lasciandocene attraversare, totalmente.
- Fare silenzio e non forzarmi a fare nulla che non sia indispensabile: creare spazio, creare silenzio ci permette di entrare in contatto con qualcosa di più profondo del chiacchiericcio della nostra mente. Inoltre costringerci ad essere efficienti e performanti in quei momenti sarebbe inutile: non lo siamo. Perciò, se possiamo, fermiamoci e stiamo in quello che c’è.
- Confrontarmi con qualcuna delle mie preziose “compagne di viaggio”: avere delle amiche che siano in grado di ascoltarti davvero, che siano in grado di accoglierti anche nei tuoi momenti no, è uno dei tesori più preziosi che possiamo avere. Io sono ricchissima, da questo punto di vista, ed è una gioia cercare e offrire presenza e supporto, quando qualcuna di noi ne sente il bisogno.
- Prendermi cura di me facendo alcune delle cose sulla mia “self care list”: per ritrovare il nostro equilibrio è importantissimo per noi donne prenderci cura di noi, dedicarci al vero piacere (no, lo shopping compulsivo non rientra in questa categoria). Fare cose che ci fanno stare bene, nutrendoci nel profondo. Per me può essere una passeggiata in natura, fare una doccia calda con il mio bagnoschiuma preferito, accendere un incenso e mettere su una musica speciale. Ma anche scrivere su carta i miei pensieri, mettere i piedi nell’acqua di mare e affidare alle onde le mie “paturnie”. 😉
E ancora…
- Comprendere qual è davvero il problema, comprendere il messaggio del mio disagio: a questo punto (e non prima) posso comprendere cosa c’è di vero. Cosa vuole essere visto, cambiato, eliminato o iniziato.
- Rifare contatto con il mio “perché”: ricordarmi il senso, il perché di certe mie scelte, rifare contatto con i miei valori non negoziabili e con il contributo, unico perché “mio”. Parlo di ciò che voglio portare alla collettività. Questo mi aiuta a rimettere le cose in prospettiva, a ritrovare l’ispirazione e a fare una nuova “cornice d’accordo” con me stessa e con le persone eventualmente coinvolte. (NDR di questo tema, molto importante ed ampio, ti parlerò nel prossimo articolo).
- Mettere in atto qualcosa di nuovo: questo è un passaggio fondamentale per me, che sono amante della varietà e delle novità. Dopo un momento di crisi sento il desiderio di scrivere una pagina nuova, di fare tesoro dell’accaduto e nel contempo di proiettarmi verso nuovi orizzonti. Una nuova pratica, un’abitudine, un corso o anche solo un quaderno nuovo dove annotare le mie comprensioni. Piccoli ma preziosi elementi che sanciscono il passaggio.
Non dobbiamo sempre mostrarci forti.
Non è necessario mostrarci sempre all’altezza.
Non pensare di dover essere superwoman.
Lo siamo. Ma in tutto questo sono compresi anche i momenti difficili. Quelli in cui mettiamo tutto in discussione, in cui rimescoliamo le carte, in cui andiamo in riserva di energia e le cose assumono sfumature confuse o pesanti.
Quei momenti di confusione vanno accolti e attraversati.
E solo lasciando a terra ciò che non ti serve più, puoi proseguire con ciò che sei diventata.
Un abbraccio,
Gina
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14 Set 2020 | Crescita personale
Tra tutte le emozioni, certamente la felicità sarebbe un virus che tutti adorerebbero e tutti vorrebbero farsi contagiare, non credi?
In questo articolo voglio parlarti di alcune cose che mi sono successe e mi hanno fatto riflettere su quanto le emozioni possano essere contagiose.
Qualche settimana fa ero in vacanza in montagna con mia figlia, i nostri compagni e i nostri cani. In una giornata di sole tersa e sfavillante, una di quelle che solo la montagna ti sa regalare, abbiamo fatto una lunghissima camminata alla fine della quale ci siamo fermati per un più che meritato pranzo.
Ecco cosa è successo
Dopo aver mangiato, la stanchezza che non sentivamo finché eravamo in movimento, ha iniziato a farsi sentire, accentuata dalla digestione di quelle belle pietanze da alta quota. Così abbiamo pensato di valutare di far ritorno a San Candido con un mezzo pubblico, se fosse stato disponibile. Fatte un paio di ricerche ed esclusa la possibilità del treno, rimaneva quella del pullman. Verifichiamo gli orari e scopriamo che di lì a pochi minuti, proprio a pochi passi da dove ci trovavamo, sarebbe passato il pullman che avrebbe potuto riportarci alla base.
Non avevamo mai preso un mezzo pubblico da quelle parti, né avevamo preventivato di dovervi ricorrere, e nessuno di noi sapeva le regole del luogo: possiamo fare i biglietti a bordo? possono salire i cani? serve la museruola? Sai com’è, paese che vai… E di cercare online in modo approfondito non c’era davvero il tempo.
Eccoci quindi alla fermata, il pullmann arriva, apre le porte anteriori e io salgo per chiedere al conducente le informazioni che ci servivano.
Sono stata aggredita, e in modo totalmente inaspettato.
Il conducente è stato sgarbato, brusco, aggressivo nei modi, (posso dire odioso?), mi ha praticamente urlato contro, come se il fatto di non conoscere le loro regole e di fargli perdere 20 secondi di tempo per spiegartele fosse una delle più gravi colpe che si potessero concepire.
Inutile dire che non ci ha permesso di salire (perché il cane grande aveva solo una museruola un po’ artigianale), perciò sono scesa e ci siamo incamminati per rientrare a piedi – che, peraltro, era quello che desideravo 😉
Ma quello che mi è rimasto appiccicato addosso per un po’ è stato l’effetto del malo modo con cui sono stata trattata, e le emozioni che si sono generate in me in risposta. Non ero preparata a quell’aggressione, non è quello che ti aspetti quando, da turista, chiedi un’informazione a un “indigeno”.
Quindi sono rimasta in curiosa osservazione di me stessa per un po’
E al di là dei facili giudizi su quanto lui avesse sbagliato, la cosa più importante su cui mi sono trovata a riflettere ancora una volta, è di quanto il nostro stato d’animo, i nostri modi, la presenza o assenza di un sorriso sincero – siano potenzialmente contagiosi e tendano a propagarsi da una persona all’altra.
Come in un ripple effect, l’effetto che si ha quando butti in sassolino nell’acqua di uno stagno e vedi una serie di cerchi concentrici che da lì si diramano fino ad arrivare molto, molto più lontano da dove il sasso si è tuffato in acqua.
O come un virus, anche se non mi piace moltissimo tirare in ballo questo esempio di questi tempi.
Ma forse è importante farlo, se pensiamo a come il nostro stato, le nostre parole e i nostri modi, possono essere contagiosi. E qui nascono due responsabilità:
- fare attenzione a cosa vuoi trasmettere, perché quello che emetti, può influenzare gli altri
- rendersi il più possibile resilienti e impermeabili ai potenziali”contagi negativi” da parte degli altri
E pensare che poteva andare diversamente
Ho pensato a come sarebbe andato lo stesso episodio se fosse stato diverso nella forma, ovvero se avesse dimostrato empatia e gentilezza nel dirmi che purtroppo non poteva farci salire.
Sarebbe rimasta una piacevole onda di gentilezza, che avrebbe influenzato positivamente sia noi, sia tutte le persone nel pullman.
Certo, per mettere in atto un comportamento che esprima disponibilità, ascolto, empatia, c’è bisogno di 3 cose:
- l’interesse, o la la disponibilità, di creare interazioni e relazioni che funzionano
- la cosapevolezza di cosa rende un’interazione efficace e piacevole
- trovarsi in uno stato di benessere, o quantomeno di saper modulare il proprio stress, motivato o meno che sia, per poter agire da un luogo più equilibrato, senza riversare addosso all’altro il proprio mal-stare
Quanto ci ho messo a ritornare in quello stato di benessere e apprezzamento in cui vivo prevalentemente?
Forse un minuto, perché sono allenata.
Ma ho l’impressione che il nostro autista sia andato avanti a tenersi aggrappato alla sua rabbia, ai giudizi su questi turisti-fai-da te-no Alpitour? che vanno in giro senza conoscere le regole, e immagino che abbia cercato solidarietà, probabilmente trovandola, in alcuni dei passeggeri che hanno assistito alla scena.
Ha quindi alimentato inconsapevolmente un contagio di emozioni “negative”, di frequenze vibratorie pesanti, di scontentezza, giudizio e separazione. Innanzitutto dentro di sè, e poi anche all’esterno.
Noi invece, dopo un primo momento di perplessità, ci siamo fatti una bella risata e abbiamo proseguito la nostra giornata, immersi nella bellezza del paesaggio e nell’assaporare il movimento, l’aria, i profumi e il sole.
E tu come reagisci ai contagi delle emozioni negative?
Se senti il bisogno di iniziare ad allenarti per recuperare il tuo stato di benessere in pochi minuti – come abbiamo fatto noi – ti ricordo che ho creato il percorso perfetto per te.
Per informazioni e prenotare la tua iscrizione visita la pagina dedicata a Le pratiche della felicità!
31 Ago 2020 | Crescita personale
Come ogni scuola che si rispetti, anche le pratiche della felicità riapre le sue porte – virtuali – a settembre. A partire dal 22 settembre parte una nuova classe online fatta di persone che vogliono allenarsi ad essere felici.
Ma facciamo un piccolo passo indietro. Perché ti parlo di pratiche della felicità?
Dopo diversi decenni dedicati alla crescita personale, dapprima come “studente”, e poi come coach, mi sono resa conto che tutto ciò che cerchiamo di ottenere attraverso le nostre scelte, è in realtà un punto di partenza, e questo è proprio la felicità.
Ovvero, facciamo ciò che facciamo perché pensiamo che ci renderà felici: ma come sarebbe se lo fossimo già in partenza?
Non ti parlo di sorrisi a 36 denti
Nè di saltellare sul posto o ostentare un finto entusiasmo quando in realtà provi tristezza, preoccupazione o rabbia.
La felicità è uno stato di “alta efficienza” che puoi allenare e che puoi provare a prescindere dalle circostanze in cui ti trovi. Questo non solo ti consente di affrontare in modo più efficace e fluido tutte le situazioni che la vita ti mette davanti, ma ti ti rende soprattutto più capace di creare le circostanze, relazioni, risultati che desideri.
Ma come è possibile?
Forse non lo sai, ma il nostro cervello è progettato per porre maggior attenzione a ciò che è anomalo, a ciò che va male, a ciò che è potenzialmente pericoloso e lo fa per ovvie (ed antiche) ragioni legate alla nostra sopravvivenza. Perciò se non scegliamo di indirizzarlo diversamente, tenderà a farci notare, pensare e immaginare soprattutto le cose che temiamo o a cui ci opponiamo – creando in noi le emozioni corrispondenti a quei pensieri.
La situazione cambia con un po’ di allenamento
Per questo è fondamentale allenarsi a sviluppare quel solido stato di benessere che ti permette di produrre pensieri, emozioni e comportamenti più funzionali , che riduce lo stress e le sue conseguenze, che ti restituisce la creatività, l’empatia, il Problem soling e la capacità di immaginare e creare che è propria degli esseri umani quando “funzionano” al loro meglio.
Insomma, basta guardare un bambino per renderci conto che quel benessere è nostro per diritto di nascita, e che chi è felice è instancabile, è capace di attenzione focalizzata, è determinato, è naturalmente capace di intessere relazioni sane, è in grado di apprezzare di più e…sì, è anche più bello!
Ma come posso essere felice, a partire da oggi?
Puoi saltare a bordo del mio prossimo corso online Le pratiche della felicità, un percorso in diretta e di gruppo. A partire dal 22 settembre 2020 partirà la nuova edizione e un nuovo gruppo di persone (solitamente donne, ma chissà 😉 motivate si cimenteranno ad allenarsi per rendere forte e stabile il loro substrato di felicità. Se vogliamo fare un parallelo con il corpo e l’esercizio fisico, è come allenare il “core” – che non è il cuore in romanesco 😉 ma è la parte centrale del nostro corpo, la muscolatura profonda, che ci rende stabili e che è fondamentale allenare per affrontare al meglio qualsiasi performance fisica.
Il corso è della durata di 4 mesi e prevede:
- 1 colloquio individuale direttamente con me, per identificare quali sono gli aspetti su cui vuoi lavorare (compila il questionario).
- un percorso di 4 mesi in gruppo (partenza 22 settembre 2020)
- 2 incontri live al mese via zoom – ogni live verrà registrata e resterà disponibile fino alla fine del percorso
- un gruppo Facebook riservato agli iscritti per domande, sfide e condivisioni
- una meditazione guidata da poter riascoltare quando vuoi
- tutti i file degli strumenti e delle tecniche che imparerai
Che aspetti? Sali a bordo e allenati insieme a me per rinforzare il “core” della tua felicità.
Prenota qui la tua iscrizione al corso Le pratiche della felicità
Ti abbraccio,
Gina
17 Ago 2020 | Crescita personale
Quello che desideri si avvera. Molti lo sottovalutano ancora, ma il potere della mente è quasi sempre infallibile. Qui ti racconto di un recente episodio in cui ho avuto l’ennesima riconferma…
Mentre scrivo mi trovo a casa mia a Trieste, con un ginocchio offeso ed un “colpo della strega” che mi costringe a stare ferma e tranquilla.
“Oh, Gina, ma cosa ci azzecca, questo, con i desideri?“
Sono rientrata da poco, in anticipo rispetto ai miei piani, da una vacanza al mare, bellissima ma per niente riposante e tra due giorni è prevista la partenza per la montagna. All’idea di avere così poco tempo tra una vacanza e l’altra e avendo ancora diverse cose di lavoro in piedi e progetti da chiudere, mi sono trovata più volte a pensare “vorrei tanto avere un paio di giorni-cuscinetto”. Sentivo infatti l’assoluta necessità di stare qualche giorno a casa, niente sole, riposare, stare nella mia energia, finire le cose di lavoro, fare le lavatrici e preparare le valige con calma.
Questo era il mio desiderio
E cos’è successo stamattina? Ho preso lo scooter per andare in centro e, uscendo dal garage, sono scivolata in modo inspiegabile ammaccandomi il ginocchio. E poi, nel tentativo di sollevare da terra lo scooter, che pesa molto più di quanto pensassi, mi si è bloccata la schiena con il famoso “colpo della strega”.
Et voilà: eccomi a casa, a riposo, che scrivo l’articolo con calma, dopo aver fatto 4 lavatrici, declinato tutti gli impegni per questi 3 giorni e riposato quanto mi serviva.
Il mio desiderio ha trovato il suo modo per realizzarsi. Certo avrei potuto essere più esplicita nella mia richiesta riguardo alle modalità 😉
Perché ti parlo di desideri
Ti parlo spesso di desideri, perché credo siano il linguaggio che la nostra parte più profonda e più vera usa per indicarci la strada da prendere per diventare ogni giorno un po’ più “grandi” di come eravamo ieri.
Nel mio caso, mi aspetto meraviglie da questi miei giorni “bloccata”, perché sono certa che hanno un intento ben più grande del farmi soltanto riposare.
I desideri ti aiutano ad uscire dai territori conosciuti, ti aiutano a conoscere te stessa e a scoprire cose di te che ancora non sai.
Eppure, dopo anni di ammaestramenti e indottrinamenti, non è facile riuscire a sentire quella voce, non è facile trovare un desiderio che sia veramente tuo, che non sia indotto da risultati di altri, da cose che hai visto fare, da limiti che credi di avere, da qualcosa che hai visto in un film, da quello che qualche esperto del tuo settore ti dice che dovresti fare.
Non è facile nella vita personale.
Dovrei desiderare un figlio?
Sta arrivando il momento di sposarmi?
Dovrei desiderare di proseguire con gli studi?
Non è facile nemmeno nel lavoro e nel business
Prima andavano i video per promuoversi.
Poi i podcast.
Ora Tik-Tok.
Si fa così, non si fa così.
Forse dovresti restare nell’azienda di famiglia.
Dovresti fare l’avvocato e non la ballerina.
E così ti trovi a seguire strade tracciate per te da altri.
E anche quando credi di essere tu a decidere nella migliore delle ipotesi stai solo “scegliendo”, e non desiderando.
Scegliere significa prendere qualcosa dal menù.
Desiderare significa immaginare cose che nessuno ha messo su quel menù. Cose che ti fanno sorridere da dentro, quando ci pensi.
“Per i desideri servono parole, tante parole”, ci ricorda Igor Sibaldi (vi consiglio vivamente di seguire la sua Scuola dei desideri su YouTube). Più ampio è il nostro vocabolario attivo, ovvero le parole cha abitualmente usiamo, e più ampio e ricco sarò il nostro mondo e i nostri orizzonti.
Ma l’autore dei tuoi desideri non sei tu. Non provengono da te. Provengono al tuo IO più grande, quello che ancora non sei, il tuo IO futuro. È per questo che sono così interessanti. Perché ti mostrano come fare a raggiungere quel tuo io futuro e più grande.
I desideri tu fanno uscire dai tuoi binari predefiniti, ti fanno uscire da quegli episodi che hai interpretato come tuoi reali limiti o sconfitte passate. Ti liberano dall’idea che hai di te stessa, di cosa credi impossibile o fuori portata.
In una cultura di “prima il dovere, poi (forse) il piacere”, i tuoi desideri ti permettono di crescere proprio grazie a quel piacere , grazie a un atto di immaginazione dettato da quello che sarai tu in futuro, e non da quello di te che già conosci bene.
Il desiderio ti fa alzare lo sguardo, ti fa guardare il cielo e le stelle, le “sidera” appunto.
Non a caso nelle notti di Agosto ci concediamo di puntare il nostro naso all’insù nell’attesa di vedere una stella cadente a cui affidare, in gran segreto, un nostro desiderio.
Ma non abbiamo un solo desiderio a disposizione. e non abbiamo solo la notte di San Lorenzo o il mese di agosto per connetterci con quella parte di noi più grande che si da il permesso di sognare qualcosa che ora non c’è.
Non ti serve una stella cadente per esprimere un desiderio: i desideri non hanno date, non hanno confini, non hanno scadenze.
Il tuo desiderio ti porta al di là di quello che sai di te.
Cosa aspetti a desiderare?
Hai bisogno di aiuto? Chiamami! Trovi i miei contatti qui, ti offro una consulenza gratuita per aiutarti a individuare i tuoi desideri e a scoprire quale percorso di Coaching intraprendere!
Un abbraccio,
Gina!