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Non devi sentirti bene a tutti i costi

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Saper creare emozioni elevate e “positive” è importante per il nostro benessere, ma è fondamentale anche saper accettare e accogliere le emozioni pesanti o “negative” senza scappare né combatterle. Sentirti bene a tutti i costi non è possibile. Questa è la lezione che il mese di gennaio ha portato con sé.

Non devi sentirti bene a tutti i costi

Prima dell’articolo “Non devi sentirti bene a tutti i costi”, leggi qui⤵️

Disclaimer: in ciò che scrivo e nel mio lavoro mi rivolgo prevalentemente alle donne, ma non solo. Scrivo al femminile perché, per ora, non mi piace riempire il testo di asterischi o simboli vari e sono certa che gli uomini capiranno. D’altronde fino ad oggi abbiamo letto sempre tutto al maschile senza prendercela, perciò siamo sicure che anche voi potete fare lo stesso.😉

Un gennaio sfidante 

Gennaio può essere un mese difficile e quest’anno lo è stato per molti (me compresa).

Dopo la frenesia delle feste e l’entusiasmo per i buoni propositi, si torna alla normalità. L’inverno è ancora tutto davanti a noi, le ore di luce sono ridotte al minimo, il vero freddo si fa sentire, l’energia è bassa ed è spesso messa alla prova da influenze e mali di stagione. Quest’anno poi c’era anche qualche congiunzione astrale pesante (non me ne intendo, ma tutti gli esperti ne hanno parlato) e per molte persone tutto questo ha dato origine a un senso di fatica, demotivazione, tristezza e, per qualcuno, profondo scoramento.

 

La quasi totalità delle mie clienti e delle amiche con cui parlavo, mi riportavano questa fatica e io stessa, a causa di una momentanea debolezza fisica e stanchezza, ho avvertito internamente il peso di tutte quelle situazioni esterne.

Devi sentirti bene per forza?

Cosa possiamo fare quando le emozioni “negative” colorano di grigio le nostre giornate e ci fanno fare tanta fatica? Ma soprattutto, cosa è meglio non fare?

 

È normale preferire sentirci bene, rispetto allo sperimentare emozioni pesanti o “che contraggono”. Infatti, quello di evitare il dolore e andare verso il piacere è un istinto naturale.

 

Quello che invece non è naturale nè benefico, è opporre resistenza alle nostre emozioni pesanti, negandole, combattendole, o tentando in tutti i modi di evitarle.

È così che fabbrichiamo la sofferenza, senza saperlo, proprio con le nostre mani.

 

“Ciò a cui resisti, persiste”.

Sento l’importanza di parlare di questo perché forse saprai che sono una sostenitrice delle emozioni elevate e dei loro molteplici effetti positivi sul nostro benessere fisico, sulle nostre relazioni, sulla nostra capacità di darci degli obbiettivi ed attenerci ai comportamenti che sostengono la visione che vogliamo realizzare.

 

Ma questo non è in antitesi con il saper accettare le emozioni pesanti, che sono preziose messaggere e consigliere, se sappiamo ascoltarle.

 

La prima cosa da fare è smettere di giudicarle

Non è forse vero che abbiamo imparato a etichettare determinate emozioni come buone o giuste, e altre come come “cattive” o sbagliate?

Prima di rispondere di no 😉 pensa per un attimo se, crescendo, sei stata incoraggiata a vivere totalmente e liberamente i tuoi momenti di rabbia, paura, ansia, disperazione o nervosismo.

E pensa per un attimo cosa pensi di te, oggi, quando ti senti estremamente triste, arrabbiata, svogliata, senza speranza, invidiosa o hai paura di qualcosa.

 

Posso ipotizzare che NON sei stata incoraggiata a vivere liberamente l’intera gamma delle tue emozioni e che non ti piaci un granché quando oggi ti capita di viverle?

Sentiti libera di non sentirti bene 

Abbiamo la tendenza a classificare certe emozioni come “negative”, sbagliate e non desiderabili. 

Così quando le proviamo, tendiamo a giudicare noi stesse come negative, sbagliate e non desiderabili.

Noto questo soprattutto tra le donne che hanno già “lavorato su di sè”, che si impegnano nella propria evoluzione personale e spirituale, come se ci fosse un pensiero di sottofondo che dice:

 “No, di nuovo! Mi sento ancora così?! Non è possibile, proprio io?

Non dovrei sentirmi così, dovrei averlo superato…

C’è qualcosa che non va in me…”

Come se “lavorare su di sè” implicasse essere esenti dalle emozioni con una vibrazione più bassa. Non è così! Quello che cambia è il significato che diamo loro, la consapevolezza che abbiamo, e cosa decidiamo di fare con quei momenti.

 

Inoltre hai mai notato che giudicare le tue emozioni come “negative” ti fa provare un’emozione secondaria, che è a sua volta negativa?

 

Ad esempio: 

Perdi il controllo con i bambini e alzi la voce. O rispondi male al collega sgarbato. Poi ti arrabbi con te stessa per esserti arrabbiata.

O provi vergogna per esserti arrabbiata.

O ti senti triste e impotente per esserti vergognata.

Insomma, hai capito.

 

Quando percepiamo ed etichettiamo qualcosa come negativo o sbagliato, attiviamo la nostra primitiva risposta di attacco-o-fuga, come davanti a qualsiasi altra minaccia (reale o immaginata).

Questo meccanismo ci lascia con due opzioni:

 

1) combattere contro quell’emozione

2) fuggire da quell’emozione

 

ma, come capirai, nessuna delle due strade porta a un benessere a lungo termine.

 

Tutto cambia, invece, se prendi quell’emozione negativa e, anziché di tentare di fuggire via da lei e di forzarti a sentirti bene, distrarti, reprimerla o sostituirla con una più “desiderabile”, scegli di  accettarla e le permetti di esserci.

 

La via per provare più emozioni elevate è dare spazio anche alle altre.

 

Passo 1: guarda quell’emozione con occhi nuovi

Cambia sguardo su quell’emozione, non giudicarla buona o cattiva, giusta o sbagliata, ma chiediti piuttosto:

  •     cosa c’è di buono, in questa emozione?
  •     che messaggio mi porta? 
  •     di quale mio valore parla?
  •     quale mio bisogno mi segnala?
  •     quale aspetto della mia vita mi chiede di cambiare o di affrontare in modo differente?

 

Passo 2 : vivila completamente

Quello che va davvero a sciogliere quell’emozione dolorosa, è smettere di tentare di resisterle o combatterla e, al contrario, prenderti lo spazio ed il tempo per concentrare tutta la tua attenzione su quella sensazione (non sui pensieri che ti dicono “sto male per questo, o quest’altro” – solo sulla sensazione)

  •      senti e sii completamente presente alla sensazione.
  •    sii l’osservatore: osserva le tue emozioni e i tuoi pensieri senza identificarti con essi: tu non sei i tuoi pensieri, e non sei le tue emozioni
  •     non etichettare i tuoi pensieri e sensazioni come “positivi o negativi”, giusti o sbagliati- osservali soltanto, come fossero pesci in un acquario

 

Passo 3: inizia a creare qualcosa di diverso

Soltanto dopo che hai fatto questo, puoi spostare la tua attenzione in una direzione di creazione.

Puoi farlo così: 

  •   chiediti quale bisogno c’è dietro a quell’emozione “pesante” e in quale altro modo potresti soddisfarlo
  •     scrivi una lista di cose che sei desiderosa di fare
  •     scrivi 5 cose che apprezzi e 5 cose di cui sei grata, e continua a farlo per un po’ di giorni
  •   inizia a cercare opzioni per cambiare qualcosa della situazione che ti ha generato l’emozione Esempio: se ti senti indispettita perché il tuo collega per l’ennesima volta non si è preso le sue responsabilità al lavoro, e questo è ricaduto su di te, inizia a chiederti cosa potresti fare invece di subire. – Potresti parlargli chiaramente e fare una richiesta.
    – Potresti smettere di coprire le sue mancanze facendo tu.
    – Potresti segnalare il fatto a chi di dovere.
  •     nel raro caso in cui sia davvero impossibile intervenire, cerca opzioni per cambiare il tuo focus o il significato che dai alla situazione

 

In conclusione: Non devi sentirti bene a tutti i costi

La strada della vera trasformazione, del vero benessere, quando parliamo di emozioni, è quella di accoglierle, accettarle, sentirle. E solo poi indirizzare i nostri pensieri e la nostra energia in luoghi più produttivi.

 

La prossima volta che ti verrà da opporre resistenza a un’emozione spiacevole, ricordati di questo post che hai letto. Allarga le braccia e invita l’emozione ad esserci e ad attraversarti. 

Questo ha aiutato molte delle mie clienti a sciogliere le emozioni pesanti del mese appena passato… e ha aiutato molto anche me!

Gina Abate non devi sentirti bene per forza

Sono Gina Abate, Coach, Mentore e Formatrice.

Ti aiuto a riallinearti con te stessa per far emergere la chiarezza, il coraggio e l’energia necessari per realizzare i tuoi desideri e progetti. Con amorevolezza verso di te e con una ritrovata Leggerezza. 

Parlo di questo e di altri temi di crescita ed efficacia personale nella mia Newsletter mensile.

Disciplina: se a sola parola ti dà fastidio, ecco cosa devi sapere

Disciplina: se a sola parola ti dà fastidio, ecco cosa devi sapere

La parola disciplina mi ha sempre fatto l’effetto delle unghie sulla lavagna, finché non ho aperto la visione. Scopri come.

La parola disciplina mi ha sempre fatto l'effetto delle unghie sulla lavagna, le briciole nel letto, la sabbia intrappolata nell'asciugamano che si versa sul pavimento quando rientri dalla spiaggia.

La parola disciplina mi ha sempre fatto l’effetto delle unghie sulla lavagna, le briciole nel letto, la sabbia intrappolata nell’asciugamano che si versa sul pavimento quando rientri dalla spiaggia.

 

Sono una convinta sostenitrice del “seguire la gioia” e non lo sforzo. Aborro l’idea degli obiettivi raggiunti con le unghie e coi denti, con “sangue, sudore e lacrime” e che ti lasciano stressata/o e senza forze..

 

Affermazioni tipo “Se vuoi puoi”, “Devi crederci di più”, e “Se non puoi, allora DEVI” non hanno mai attecchito dalle mie parti e il mio approccio alla realizzazione e al successo personale ha molto più a che fare con l’accompagnarsi amorevolmente ad esprimere le proprie caratteristiche in modo rispettoso di sè stessi, del proprio sentire e delle proprie caratteristiche uniche.

 
Una disciplina morbida

Seguire questo approccio morbido mi era sempre sembrato in antitesi alla parola disciplina, che mi aveva sempre evocato la cieca obbedienza agli ordini che viene richiesta all’interno di un esercito o la durezza nel portare a termine gli impegni presi ignorando stanchezza, dubbi e bisogni differenti- anche quello di cambiare idea.

Insomma, ho sempre visto la disciplina come intransigenza, come un costringersi, come un ignorare qualsiasi insorgenza interna, anche se sana e giusta.

 

Finché un giorno ho sentito, o letto, o elaborato da qualcosa che ho visto -non so più dirlo- una definizione di disciplina che ha capovolto la mia visione e ha ampliato notevolmente i miei orizzonti:

 

Disciplina è l’applicazione concreta, nella quotidianità, di una visione più ampia che abbia 

SENSO e VALORE per TE.

SBADABAM!

 

Ma allora sì, allora certo che era qualcosa di necessario (e anche qualcosa che nella mia vita era sempre stato presente, in qualche forma, anche se non proprio in ogni campo… 😉 )

 

Se anche tu hai una sorta di avversione all’idea di disciplina, ma allo stesso tempo non sei così tanto soddisfatta/o di alcuni tuoi risultati, continuando la lettura troverai qualcosa che potrà aiutarti ad avere una maggior soddisfazione. Insomma, forse potresti cambiare idea anche tu.

 

Segui la gioia

Seguire la gioia, fare ciò che senti, evitare lo sforzo, affidarti al tuo sistema-guida interno, sono tutte indicazioni giuste nelle quali credo profondamente. 

Tutto questo però non è in antitesi con la necessità di una certa disciplina (come pensavo una volta), ma si sposa alla perfezione.

Non si tratta di “seguire la gioia in ogni momento oppure vuol dire che sei sulla strada sbagliata”, si tratta di scegliere progetti e obiettivi che ci danno gioia, perché hanno senso per noi, e poi perseguirli senza pretendere di essere in estasi in ogni singolo momento durante il percorso.

 

Se scegli i tuoi impegni, progetti, obiettivi in piena consapevolezza, la disciplina ti permette di perseverare anche quando incontrerai una certa resistenza, esterna o interna. La disciplina ti permette di dire no alle distrazioni, all’eccesso di improvvisazione basato sul sentire del momento (io ex campionessa del mondo), alle richieste e pressioni esterne, alle deviazioni e alle dispersioni del tuo preziosissimo tempo.

Una visione New Age ci ha portati a credere che non dovremmo mai sentire attrito, mai fare fatica, che tutto dovrebbe essere piacevole, e che se non lo è significa che “non è nel nostro destino”

 

Non è corretto.

Una certa dose di disagio fa parte di ogni processo di crescita, è un ingrediente di ogni realizzazione significativa, di ogni impegno che decidiamo di portare avanti. 

 

Prova a pensare al desiderio di avere un figlio, per chi ce l’ha o lo ha avuto. 

Il travaglio non è certo una passeggiata di salute, a volte nemmeno la gravidanza lo è. Il parto è un’esperienza impegnativa e quasi sempre dolorosa, oltre che meravigliosa. E da lì in poi, non è necessariamente facile” o “senza attrito”. I problemi di allattamento, le coliche del bimbo, le notti in bianco… e poi avanti. Eppure affrontiamo quei disagi come parte integrante di una visione più grande che ha un senso per noi.

 

Il disagio può portare un messaggio

A volte il disagio può essere certamente un campanello, che ci avvisa che c’è un messaggio per noi che vuol essere letto. Ma sarebbe un errore pensare che il campanello stesso ci dica che “è meglio cambiare strada, perché non dovresti mai sentire disagio”.

 

Per avanzare, in qualsiasi cosa, troveremo sempre qualche forza oppositiva: 

  •     abbiamo deciso di alzarci presto al mattino per fare ginnastica, ma vorremmo rimanere a letto e continuare a dormire; 
  •     abbiamo deciso che ci fa bene meditare 10 minuti al giorno, ma quando arriva l’ora non ne abbiamo voglia; 
  •     vogliamo passare del tempo di qualità con nostro figlio, ma quando si tratta di giocare con lui siamo troppo stanche e vorremmo piazzarlo davanti alla tv;
  •     abbiamo deciso di essere presenti online, ma quando arriva il giorno di scrivere un blog post siamo a corto di idee e la frustrazione è a mille;
  •     sappiamo che tolleriamo male certi cibi, ma nel momento di fare la spesa o ordinare al ristorante, la tentazione di cedere alla gola ci fa vacillare.

 

La disciplina “sana” significa sapere che è normale incontrare queste forze oppositive, queste resistenze, ascoltarle e comprendere cosa c’è sotto, ma perseverare nella direzione dei nostri valori più profondi.

 

Non avere disciplina significa essere in balia delle proprie emozioni, dei propri pensieri e del proprio corpo.

Sicuramente le emozioni, le sensazioni del nostro corpo e a volte anche i nostri pensieri, portano messaggi importanti da ascoltare, ma quei messaggi vanno sempre inseriti nel contesto più ampio dei valori e di ciò che abbiamo consapevolmente deciso per noi.

 

Senza disciplina non si va lontano…

Se non accetti l’utilità della disciplina, se non ne riconosci l’importanza, sai qual è il rischio?

Il rischio è che ogni segnale del tuo corpo, della tua mente o emozione viene interpretato come un segnale di STOP, come un consiglio della tua anima di mollare il progetto, che quella cosa non faceva per te o non era inscritta nel tuo destino… 

Non avere disciplina significa fare il gioco delle tue resistenze, anche di quelle che invece andrebbero trasformate e integrate.

E la fregatura è che pensiamo che questa sia la libertà, mentre invece stiamo facendo il gioco delle nostre forze oppositive, che dovremmo riconoscere e di cui dovremmo occuparci. Credimi, so di cosa parlo…

 

Per esempio, dietro una certa resistenza potrebbe esserci una convinzione limitante: un’esperienza che abbiamo vissuto in passato, direttamente o indirettamente, potrebbe averci fatto concludere che i nostri sforzi non portano a nulla, o che non vale la pena darsi da fare nè rischiare… In questo caso è importante individuare la convinzione ostacolante e lavorarci, di modo che smetta di sabotare le nostre iniziative infrangendo i nostri sogni e sgretolando la nostra autostima.   

 

Inserire un po’ di disciplina nella tua vita è ben lontana dal rischiare di ignorare i tuoi segnali interni, non significherà che non potrai più cambiare idea o fermarti. Non diventerai un Caterpillar che travolge tutto quello che si trova davanti.

 

Nella disciplina (quella sana) trovi la vera libertà

Negli anni ho compreso che la mancanza di una sana disciplina è di gran lunga più distruttiva, perché a lungo andare distrugge i tuoi progetti, sogni, impegni, relazioni fino a erodere completamente il tuo senso di essere capace di realizzare le cose e la tua voglia di fare progetti. Si chiama incapacità appresa, ed è una menzogna su di te.

 

Non siamo venuti al mondo per desiderare passivamente, sperando che la fatina buona o l’Universo siano in ascolto e siano liberi per recapitarci il nostro dono a domicilio.

 

Siamo venuti al mondo per desiderare e per muoverci attivamente e concretamente per realizzare i nostri desideri, lasciando la nostra impronta positiva sul pianeta: e questo può avvenire solo se metti in preventivo di accettare qualche disagio.

E avanzare nonostante il disagio, significa proprio avere disciplina.

 

Insomma, la disciplina è la polvere magica che ti permette di dare forma ai tuoi sogni, progetti e desideri. 

Magari anche con l’aiuto della fatina buona e dell’Universo, ammesso che siano liberi 😉

Se senti che vuoi  fare chiarezza e sbloccare la situazione, posso affiancarti nel tuo cammino. Con un pizzico di disciplina, ma anche tanta leggerezza. 

IL CAMMINO DELLA LEGGEREZZA

Ritrova lo slancio e riparti da te

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Pianificare o non pianificare…? Il dilemma dell’obiettivo

Pianificare o non pianificare…? Il dilemma dell’obiettivo

Che tu sia una pianificatrice seriale oppure un’anima ribelle, quando si arriva alla fine dell’anno è inevitabile porsi alcune domande.

Pianificare o non pianificare...? questo è il dilemma

La fine dell’anno contiene un’energia speciale. È un momento di passaggio, è l’opportunità perfetta per fare il punto della situazione, per fare un bilancio dei 12 mesi passati e per focalizzarsi su qualcosa di importante, di desiderato o di necessario da concretizzare.

In questa occasione, in passato, mi sono sempre sentita tirare da due parti opposte: 

  • da un lato il bisogno di riflettere, fare una valutazione onesta e sincera delle mie soddisfazioni e di tutto quello che invece non era ancora espresso, manifesto, fluido, a cui seguiva la stesura di un elenco di desideri e progetti da realizzare in ogni area della mia vita;
  • dall’altro il mio bisogno di improvvisare, di fluire con la vita, di fare le cose in base al mio sentire, spesso trasgredendo i miei stessi intenti e abbandonando, di fatto, buona parte dei “buoni propositi” che avevo espresso l’anno prima, forse sovrastimando la mia costanza e il mio rigore.

 

Per anni, quindi, è andata avanti in questo modo: introspezione, analisi, comprensioni, definizione di nuovi obiettivi, piano d’azione… e poi a febbraio tutto finiva sepolto sotto altri quaderni, fogli, raccoglitori di progetti e nuovi desideri.

 

Non proprio un successone, insomma.

 

Ho seguito molti programmi diversi che promettevano “l’anno migliore di sempre”, ma nessuno parlava veramente la mia lingua e nessuno mi permetteva di far convivere queste due necessità: quella di fare dei piani, e quella di ascoltarmi e creare nel momento.

 

Come fare per pianificare qualcosa di importante, ma senza rimanere attaccata alla necessità di raggiungere obiettivi?

Come essere certa di fissare dei traguardi che siano veramente miei e che mi dia gioia perseguire, a prescindere se ci arriverò o meno?

Ma soprattutto, come assicurarmi di progettare un anno in cui le mie vere priorità, i miei valori più profondi e il mio benessere vengano rispettati?

 

Queste erano le domande a cui cercavo una risposta. Ma soprattutto:

 

Come creare un anno ricco di significato che mi porti sempre più nella MIA direzione?

 

Gli obiettivi sono sopravvalutati

Quello che cerco di trasferire alle mie e ai miei clienti, è che spesso tendiamo a diventare dei “servi” dell’obiettivo, ci sbattiamo un sacco e lavoriamo per lui come fosse il nostro “padrone”. 

Ti sembra che esageri?

Ho visto persone diventare pazze e rimetterci la salute per acquistare una certa casa, altre esaurirsi completamente per un avanzamento di carriera o un ruolo prestigioso, altre ancora sacrificare tutto il proprio tempo e trascurare se stessi e i propri affetti in virtù di un risultato economico. Ora comprendi a cosa mi riferisco?

 

Non sarà mai un obiettivo raggiunto a donarci stabilmente quella felicità e soddisfazione che cerchiamo. Pensaci. Hai mai desiderato tagliare un traguardo a cui attribuivi un grande potere di renderti felice, di raggiungerlo, gioire per un po’ salvo poi ritornare ben presto allo stesso esatto livello di soddisfazione che avevi prima? 

È solo questione di tempo, ma è così.

 

La vita è molto più che raggiungere obiettivi.

Ma allora stai forse dicendo che non vale la pena impegnarsi in niente? Raggiungere nessun obiettivo?

 

Certo che NON sto dicendo questo. Dico piuttosto che i nostri obiettivi devono essere al servizio del nostro benessere e della nostra felicità, devono armonizzarsi con loro, ed è un errore considerarli un mezzo che ci porterà finalmente quella felicità.

 

Se abbiamo chiaro questo principio, possiamo sbizzarrirci, possiamo lasciar andare la fantasia, possiamo scegliere dei goal grandi o piccoli, facili o sfidanti- ben sapendo che saranno comunque dei pretesti per esprimere sempre più ciò che siamo, per allenare il nostro impegno e la nostra resilienza, per liberare la nostra inventiva e creatività, per sviluppare le nostre caratteristiche inespresse o sopite. Non saranno la misura del nostro valore, né saranno la misura della nostra felicità: saranno degli alleati per la nostra crescita e realizzazione.

 

Obiettivo: da ambito traguardo ad alleato

Se iniziamo a considerare l’obiettivo come un alleato, cambia la prospettiva. 

Il modo in cui ci muoviamo verso di esso, le paure che ci attiva, le emozioni che suscita in noi, le strategie che mettiamo in atto per avvicinarci a lui e quelle che mettiamo in atto per sabotarci, ci forniscono informazioni importantissime su di noi, e ci offrono la possibilità di crescere, guarire, evolvere.

 

Un obiettivo è un alleato se si trova sulla nostra direzione, se ci impegna senza farci vivere costantemente nello sforzo, se contribuisce a un maggior benessere in ogni ambito della nostra vita.

Se invece ci snatura o ci chiede energie che vanno a scapito del nostro benessere e delle altre aree della nostra vita, nella mia ottica diventa un nemico della nostra felicità.

 

Riflessioni per un anno pieno di significato

Per creare un anno significativo, di realizzazione e di benessere, ecco quindi alcuni spunti che potranno aiutarti a puntare il tuo GPS in una direzione felice e  nel pieno rispetto di te stessa:

  •     Dai un’occhiata ai 12 mesi appena trascorsi e recupera tutto ciò di cui puoi essere soddisfatta e grata.
  •     Fai una valutazione di cosa non sei riuscita a portare avanti o a raggiungere, comprendine le cause, e valuta se è qualcosa che vuoi ancora realizzare.
  •     Stabilisci quali sono i valori non negoziabili per l’anno in entrata, e in che modo vuoi viverli concretamente nelle tue giornate.
  •     Fai un elenco di desideri senza censura e successivamente individuane da 5 a 10 a cui scegli di dedicare tempo ed energie nel prossimo anno
  •     Fai un check di tutte le aree della tua vita e valuta quali sono le priorità che necessitano di essere portate avanti
  •     Infine, per un pizzico di magia, scegli un risultato o progetto che risponda alla domanda: “Cosa sarebbe incredibilmente meraviglioso realizzare quest’anno?” e lancia l’intento di poterlo vivere.

 

Se poi al tuo 2023, vuoi davvero dedicare attenzione, cura ed energia, puoi decidere di pianifi-CREARE il nuovo anno, unendoti al percorso Crea il tuo anno – a partire da Te.

 

È un percorso bellissimo e davvero ricco, tiene conto di tutto ciò di cui ti ho parlato in questo articolo – e molto di più!- ed ha già accompagnato moltissime donne a creare la mappa dei propri desideri e alla realizzazione di splendidi progetti.

CREA IL TUO ANNO

A partire da te

Per maggiori informazioni vai qui.

É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

É sufficiente comunicare “bene” per comprendersi davvero?

Nel dialogo è facile incorrere in incomprensioni e reazioni emotive inaspettate. Vediamo come potremmo comunicare meglio (o cambiare visione).

Farsi capire è sempre semplice?

Sapeva ascoltare, e sapeva leggere. 

Non i libri, quelli sono buoni tutti, sapeva leggere la gente

Alessandro Baricco.

 

Un problema ricorrente

 

Nelle ultime due settimane mi è capitato di imbattermi ripetutamente, in modo indiretto ma anche in prima persona, in una problematica ricorrente.
Sembrava che tutte le mie clienti, ma anche altre persone intorno a me, stessero vivendo la stessa difficoltà: quella di riuscire a farsi capire e discutere senza drammi. Chi con il partner, chi con il datore di lavoro, chi con la figlia adolescente e chi all’interno di un’amicizia importante, mi raccontavano tutte di non riuscire a comunicare in modo costruttivo e soprattutto con reciproca soddisfazione.

Sarà successo anche a te, questa difficoltà genera amarezza, senso di impotenza, frustrazione, o a volte rabbia e finisce per aumentare la distanza e far crescere l’incomprensione.

 

Come mai, nonostante si parta sempre con le migliori intenzioni, spesso finisce così?

 

Farsi capire è comunicare bene

 

La comunicazione interpersonale è un tema vasto e pieno di sfaccettature, e che affronto spesso perché credo sia l’attività senza la quale tutte le altre sarebbero fallimentari. 

Pensaci.

La comunicazione è alla base di ogni nostra relazione e di ogni nostra attività, pertanto possedere l’abilità di comunicare con il prossimo, di comprendersi e farsi comprendere, aumenta non solo la nostra soddisfazione e il nostro sentirci nutriti, ma anche la nostra probabilità di successo nella quasi totalità delle cose che facciamo.

 

Oggi voglio affrontare con te uno di questi aspetti che, se riconosciuto e padroneggiato, potrà fare tutta la differenza del mondo nelle tue comunicazioni interpersonali.

 

Prenderò come esempio un episodio di cui sono stata testimone

 

Qualche sera fa eravamo a cena a casa di amici: l’atmosfera era leggera, i discorsi poco impegnati, il cibo buono, una grande piacevolezza, anche se per me, che prediligo uno scambio più autentico e approfondito, stavamo tutti galleggiando un po’ troppo sulla superficie delle cose.

 

A un certo punto uno degli invitati si è espresso su un fatto accaduto ad altri, schierandosi vigorosamente dalla parte di ciò che lui riteneva “giusto”. Era molto coinvolto e, da come parlava, sembrava piuttosto sicuro che il suo punto di vista fosse l’unico possibile.

Lo ascoltavo e osservavo attentamente. Vedevo che dietro a quelle parole si stava muovendo molto di più, percepivo che fosse la punta di un iceberg, e cercavo di comprendere cosa l’iceberg contenesse.

A un certo punto, con molta calma, ho risposto dicendo che comprendevo il suo punto di vista ed ho offerto quello che vedevo dalla mia prospettiva.

 

Evidentemente, nonostante la mia pacatezza, ho toccato qualche verità per lui intoccabile

L’ho visto trasformarsi. Se per tutta la sera, prima di sollevare l’argomento, era rimasto abbastanza silenzioso e quieto, comportandosi in modo gentile, anche se poco partecipe, a un certo punto è uscito fuori un drago sputafuoco.

Ha iniziato a sgranare gli occhi, ha alzato il tono della voce, è diventato paonazzo, ha personalizzato la discussione (ovvero ha portato la cosa sul piano della propria vita, come se il protagonista della storia fosse lui) e si è messo a difendere il suo punto di vista come si trattasse di vita o di morte.

 

Cos’era accaduto?

Possiamo comunicare solo in due modi:

 

  •     o parliamo a partire dal nostro carattere, dalla nostra personalità, dall’ego, da quella struttura difensiva che abbiamo dovuto costruire per affrontare la vita e le sue sfide senza farci troppo male
  •     o parliamo dall’organismo, ovvero dalla nostra essenza, dal nostro cuore.

 

Secondo te, da dove stava comunicando il mio interlocutore? 

Voglio che sia chiara una cosa. Stiamo solo osservando e da parte mia non c’è giudizio. Lasciar parlare il nostro carattere è qualcosa che tutti facciamo molto spesso, a meno che non ci alleniamo a fare diversamente e portiamo molta attenzione alla cosa.

 

In questo caso qualcosa era stato toccato, nelle sue convinzioni e valori, nel modo in cui era stato educato, in ciò che aveva imparato a considerare giusto o sbagliato, e stava combattendo per difenderlo. A parlare quindi, in quel momento, non era il cuore ma la personalità, con tutta la sua storia.

 

Non era interessato a comprendere il mio punto di vista, a mettere in dubbio ciò che difendeva con tanta veemenza, o semplicemente a confrontarsi, anche scegliendo poi di rimanere della sua idea: voleva proprio distruggere ogni altra possibilità.

 

 La nostra prima reazione di fronte all’affermazione di un altro è una valutazione o un giudizio, anziché uno sforzo di comprensione. Quando qualcuno esprime un sentimento o un atteggiamento o un’opinione tendiamo subito a pensare “è ingiusto”, “è stupido”, “è anormale”, “è irragionevole”, “è scorretto”, “non è gentile”. Molto di rado ci permettiamo di “capire” esattamente quale sia per lui il significato dell’affermazione.

Carl Rogers

 

 

Qual è l’intento che abbiamo quando comunichiamo con gli altri, specie le persone a noi più vicine?

 

Di solito le nostre intenzioni sono buone. Vorremmo farci capire, vorremmo che gli altri apprezzassero il nostro punto di vista, o comprendessero la nostra richiesta, o venissero incontro alla difficoltà che stiamo comunicando. Eppure molto spesso otteniamo l’effetto opposto, creando incomprensione e distanza. 

 

Ci sono molte cose che potremmo approfondire per quanto riguarda la comunicazione “sana”: le barriere da evitare, l’importanza dell’ascolto e le sue fasi… ma c’è una cosa che secondo me è la più importante e che fa sempre la differenza: fare contatto e rimanere nell’energia del cuore.

 

Per capire i sentimenti degli altri devi innanzitutto comprendere i tuoi.

(Daniel Goleman)

 

Se non siamo in grado di compiere questo passaggio dalla personalità al cuore, il confronto con l’altro è permeato da un senso di minaccia e si reagisce come davanti a un reale pericolo per la nostra sopravvivenza.

 

Chi vince?

Lo stato in cui viviamo normalmente – che “normale” non è per niente – è uno stato di perenne allerta, una condizione di leggero stress di sottofondo dovuto alle sfide e ai ritmi di questo nostro tempo e quando interviene qualcosa che il nostro sistema classifica come “pericolo”, la reazione è quella di contrattaccare il nemico (reale o immaginato che sia) con tutte le nostre forze.

 

In questo caso però non ci saranno vincitori, perché se nella relazione uno vince e l’altro perde, significa che la relazione ha perso, perciò hanno perso entrambi.

Qual è la via d’uscita?

Cerca prima di capire, poi di essere capito.

Stephen R. Covey

La via d’uscita è dentro di te.

 

Ci sono 2 fasi: auto-osservazione e trasformazione

Nella fase di auto-osservazione possiamo:

  1.  Accorgerci del meccanismo che si è attivato in modo automatico, e accorgerci quali sono le nostre reazioni davanti quella che percepiamo una minaccia
  2. chiederci: perché sto difendendo questa mia opinione o punto di vista come si trattasse di vita o di morte? qual è il bisogno che si nasconde qui sotto?
  3. e ancora: cosa sento nel corpo? quali pensieri sto formulando al riguardo?

E poi c’è la fase di trasformazione, ed è un allenamento a sentire e a rimanere nell’energia del cuore.

Stare nell’energia del cuore non significa “volemose ‘bbene” o fingersi compiacenti. Significa fare contatto con il nostro cuore, con la totalità di ciò che siamo, con l’espressione più ampia e meno condizionata della nostra intelligenza, con la parte di noi che desidera costruire, al contrario del “piccolo sè” che crede di dover vincere per poter esistere. Significa comprendere, smettere di difendere la propria posizione e costruire un ponte tra noi e l’altro, nonostante le divergenze.

 

Ecco quindi le fasi per shiftare la tua energia:

  1.  fai caso al tuo respiro, nota se è bloccato, se è troppo veloce, se sei in apnea…
  2. porta la tua attenzione al cuore, respira con il cuore e mantieni lì la tua attenzione mentre sei, allo stesso tempo, presente anche all’esterno
  3. ascolta l’altro senza giudicare, porta un atteggiamento di curiosità verso il suo mondo, cerca di comprendere cosa c’è dietro a quello che dice
  4. solo allora puoi rispondere, e a volte scoprirai che non è nemmeno necessario farlo.

 Non giudicare sbagliato ciò che non conosci, prendi l’occasione per comprendere.

Pablo Picasso

Arriviamo al punto 

Al di là di tutte le altre competenze che potremmo acquisire, imparare ad essere stabilmente in contatto con il nostro cuore, saper come far ritorno a quell’energia e a quella intelligenza è la chiave per una comunicazione e una vita più “illuminata”.

Immagino saprai che nel cuore ha sede un “piccolo cervello”, una complessa rete neuronale di circa 40.000 neuroni molto specializzati che sembra sappiano prendere decisioni più velocemente e in modo più efficace del nostro “primo cervello”, al quale poi mandano i suoi suggerimenti. 

 

Quando però siamo totalmente identificati con la nostra personalità, con i nostri pensieri, con il nostro ruolo… quei suggerimenti non possiamo sentirli, perché bisbigliano, non gridano.

È per questo che serve rallentare, respirare, ascoltare… La tua guida è lì e non vede l’ora di farti scoprire tutte le tue capacità e potenzialità.

 

Come posso aiutarti

 

Questa è uno degli allenamenti che pratichiamo nel Cammino della Leggerezza 

Se vuoi imparare a shiftare la tua mente e la tua energia, da una modalità reattiva, automatica, figlia dello stress, a una espansa, presente, consapevole, c’è ancora qualche posto nel gruppo in partenza l’11 ottobre.

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Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Dove vai, se l’autostima non ce l’hai…

Autostima e altri miti. Scopriamo come difendersi dai luoghi comuni della crescita personale.

Dove vai, se l'autostima non ce l'hai...

Se vuoi puoi!

Devi crederci!

Devi uscire dalla tua zona di comfort!

Ma soprattutto…”Devi avere più autostima!”

e se non fai tutto questo, la peste ti colga!

Se mi conosci o hai già letto qualche altro mio post, sai che mi piace sottolineare quanto mi senta lontana da molti dei luoghi comuni della crescita personale e di un certo tipo di formazione  e di quanto possa essere dannoso prendere queste incitazioni per oro colato.

 

Ma vediamo alcuni luoghi comuni…

 

1) Se vuoi puoi

Gemella eterozigota di Volere è potere

Volere non è potere. Volere è volere. 

Certamente è la miccia per poter iniziare a fare qualcosa. Ma non è certo garanzia di successo.

Ti è mai capitato di volere più denaro, una salute migliore, un lavoro più gratificante o una relazione più appagante? O magari semplicemente meno cellulite, più capelli, meno chili (per non parlare degli anni).

Eppure, sono certa lo avrai constatato anche tu, che il volere queste cose non ti ha anche reso/a automaticamente capace di ottenerle.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione positiva di questa affermazione è darti una sorta di sveglia, una cosa del tipo : “ehi, se fino ad oggi pensavi che alcune cose fossero fuori dalla tua portata, forse potresti scoprire che non tutte lo sono.” Difatti, se qualcosa è nei tuoi desideri e nelle tue corde e sei disposto/a ad impegnarti, sicuramente potrai fare dei grandissimi passi avanti! Non è detto che centrerai il bersaglio (e non è quella la cosa più importante), ma sicuramente scoprirai nuove cose su di te e qualcosa di buono ti porterà.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Quando credi a questa affermazione, il tuo focus è sul volere. Perciò se ti trovi a mancare uno dei tuoi obiettivi o propositi, ti viene detto – o dici a te stessa/o- che “non lo volevi abbastanza”. Ma quanto cacchio la dovresti volere una cosa?

Forse il problema non è quanto la vuoi, ma sta da tutt’altra parte, e concentrarti per volerla 10 volte di più non ti servirà a nulla.

Le persone vogliono quello che vogliono, tu e io comprese

Il punto è scegliere, decidere e impegnarsi. Non conosco nessuno che, impegnandosi, non abbia fatto dei progressi significativi in qualcosa.

Quindi se vuoi partecipare a Sanremo come cantante, cosa che oggi peraltro non dice nulla sulla tua bravura, non è detto che potrai farlo. Ma sicuramente impegnandoti e allenando le tue capacità canore, le migliorerai. That’s it!

 

 

2) Devi crederci

…è come quando diciamo a qualcuno “ti devi fidare”.



O credi, o non credi. O ti fidi, o non ti fidi.

Certo puoi cambiare idea sulle cose, puoi acquisire nuove informazioni, puoi vedere la situazione sotto altri punti di vista, puoi iniziare a credere qualcosa di diverso. Ma l’esortazione “devi crederci” quando non riesci a crederci, non farà altro che aumentare la tua frustrazione.

 

L’intenzione positiva 

Cosa c’è di vero, qual è l’intenzione positiva di questa frase?

Che se non credi possibile qualcosa per te, probabilmente non farai le azioni che ti portano a quel risultato. Che c’è una relazione tra ciò che credi e pensi, come ti senti, e come ti comporti. Che se non sei soddisfatto di come ti comporti o dei risultati che hai, sarà utile diventare consapevole di quelle che sono le tue convinzioni e credenze.

Ma l’esortazione “devi crederci” somiglia molto a “sii spontanea!” Forzarsi a credere non è credere, come forzarsi di essere spontanei non corrisponde a esserlo.

 

Cosa succede quando prendi questo concetto alla lettera

Succede che, anche qui, la tua attenzione e i tuoi sforzi saranno sul credere, come se mettendoti nella posa di Hulk e digrignando i denti tu potessi aumentare esponenzialmente il potere di credere nelle tue capacità o nel fatto che un evento si possa verificare.

Suggerirei piuttosto di accorgerti che sì, quello che crediamo o non crediamo vero o possibile influenza le nostre percezioni, le nostre scelte e quindi la nostra vita. E quindi sarà un lavoro importante accorgerti di quali siano le convinzioni che sostengono il tuo benessere e la buona riuscita dei tuoi progetti, e quali invece li ostacolano. E da lì si può iniziare a lavorarci. No, non con la posa di Hulk. 😉 

 

3) La zona di comfort

Per quanto riguarda la famigerata zona di comfort, devi sapere che qualsiasi impresa, dalla più piccola alla più grande, non è stata compiuta “fuori dalla zona di comfort” di chi l’ha portata avanti, ma “in comfort”. Il nostro cervello non vuole stare scomodo, vuole lavorare risparmiando energia, perciò il meta messaggio che ti dice che per combinare qualcosa devi necessariamente soffrire, non dice il vero. Infatti,  il nostro cervello cercherà sempre di evitarci quella sofferenza, facendoci così rimanere fermi ai blocchi di partenza o portandoci a qualche auto-sabotaggio lungo la strada.

 

L’intenzione positiva

L’intenzione buona è quella di farti capire che se la tua zona di comfort è il divano di casa tua, sarà difficile (anche se non impossibile) fare grandi cose da lì. 

Di vero c’è che se facciamo sempre le stesse cose, che ci sono comode, familiari, abituali, ci perdiamo un mondo di altre possibilità

Di vero c’è pure che una vita guidata solo dalla sicurezza e dall’evitamento di qualsiasi rischio, probabilmente è ben poca vita.

 

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Succede che la vita diventa una guerra, le imprese diventano battaglie, gli altri- ma soprattutto i tuoi attuali limiti, divengono dei nemici da annientare. Ma secondo te, se fai la guerra a delle parti di te, potrai mai vincere? No, perché una guerra implica danni e vittime, e se l’avversario è una parte di te, avrai comunque perso. Succede che te ne vai in giro come i “soldati fantasma giapponesi” che, anni dopo la fine della seconda guerra mondiale, continuavano a stare rifugiati nella jungla armati fino ai denti, rifiutandosi di arrendersi. Succede che non ti godi il viaggio, ma soffri finché non arrivi all’obiettivo. E se non arrivi? Indovina.

 

Quindi

Quello che dobbiamo capire è che, per darci maggiori possibilità e se vogliamo aumentare le nostre probabilità di successo nel lungo periodo, la nostra zona di confort va allargata, arricchita, espansa, con rispetto, coraggio e amorevolezza. Non dobbiamo vivere fuori dalla zona di confort, ma piuttosto ampliarla per avere una vita più ricca e piena, se è questo che desideriamo.

Dobbiamo rendere familiare, facile, normale quello che non lo era, e non fare la guerra a noi stessi pensando di poter stare perennemente scomodi.

 

Per un triatleta quegli sforzi sono la sua zona di comfort. Non la tua, o la mia. Ma la sua sì.

Per un imprenditore seriale, intraprendere è la sua zona di comfort.

Per un fannullone incallito, la sua zona di comfort è il divano, o il bar.

 

Perciò avrebbe più senso dire:

“Scegli con cura la tua zona di comfort perché le tue azioni origineranno da lì”

E se è importante sapere che quando ti approcci a qualcosa di nuovo sentire un po’ di attrito farà parte del processo, è anche cruciale ricordare che andare contro la tua natura non ti renderà più efficace, e nemmeno più felice.

 

 

4) Devi avere più autostima

La definizione di autostima è “la distanza tra il sé percepito e quello ideale” ovvero tra come pensi di essere e come desideri essere. Io però credo che sia più corretto definirla come la distanza tra quello che pensi di essere e quello che pensi di dover essere.



“Dover essere”, non senti anche tu come puzza di fregatura?

Eppure basta guardare qualsiasi spot pubblicitario per capire che come sei non vai bene, e che dovresti sempre essere in qualche altro modo (normalmente grazie al loro prodotto!). Inadeguatezza vendesi. Anzi, regalasi!

Stimare significa misurare, il che già ci mette davanti all’assurdo compito di misurare il valore di un essere umano.

Quindi la mia auto-stima è la misura che faccio di me stessa/o in base a quello che penso che dovrei essere, rispetto a quello che sono. Si salvi chi può. 😉

L’intenzione positiva

Immagino che l’intento “sano” che si nasconde in questa esortazione voglia metterci in guardia dal dis-amore per noi stessi, che voglia suggerirci di non parlare male di e a noi stessi, di non svalutarci perché da quello che crediamo di noi dipende ogni nostra scelta nonché la nostra auto-efficacia. Immagino che voglia stimolarci ad alzare lo sguardo e raddrizzare le spalle, e a pensare bene di noi stesse/i.

Cosa succede se prendi questo concetto alla lettera

Molto probabilmente inizierai a darti da fare per ottenere riconoscimenti esterni, da cui poi trarre la considerazione che darai a te stessa/o. 

Ti impegnerai a  percorrere in tempo, e con successo, tutte le tappe ritenute fondamentali per un individuo nel tuo contesto, ti prodigherai nel raggiungimento di risultati straordinari (come il numero di follower sui social) e finalmente sentirai che ottieni perciò vali.

Ed ecco che la tua autostima, come il prezzo del gas, potrà schizzare alle stelle.

Poco importa se sarai stremata/o e ti sentirai distante da te stessa/o.

Inoltre, la stima che traiamo dai nostri risultati è per sua natura fragile ed effimera perché i risultati, a differenza dell’impegno, non sono sotto il nostro controllo.

Siamo fuori pista, e per rientrarci dobbiamo capire la vera origine di quella sensazione che ricerchiamo tanto e a cui diamo il nome di autostima.

La vera origina risiede nel vivere coerentemente con i propri valori senza infrangerli, nell’avere la stessa faccia in pubblico e in privato, nell’ impegnarsi per ciò in cui si crede.

 

Perciò

Se “vuoi avere più autostima”, non indebitarti per comprare una macchina più grande, non ammazzarti di lavoro trascurando te stesso e la tua vita per fare una carriera supersonica, non andare in palestra per ostentare un fisico statuario, non cercare di “pomparti” e autoconvincerti recitando affermazioni allo specchio battendoti il petto come un gorilla maschio alfa.

Piuttosto, inizia a conoscerti. Inizia a chiederti cosa ami e cosa ti rende felice. Inizia a chiederti in che cosa credi e cosa ha valore per te.

E poi inizia ad andare in quella direzione, con coraggio e con tutta l’amorevolezza di cui sei capace.

Accetta i tuoi attuali limiti, le tue paure, le volte in cui non ce la fai, le volte in cui non ti piaci un granché, gli errori che farai. Sostieniti, incoraggiati, stai dalla tua parte.

 

Piuttosto che “devi avere più autostima”, ti direi “impara ad accettare e apprezzare quello che sei, con la fiducia che ogni giorno potrai crescere ed imparare”.

 

E se vuoi impegnarti con te stessa, per accettarti e apprezzarti maggiormente, alleggerisciti delle pressioni interne e esterne. Posso aiutarti con il mio percorso trasformativo:

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Pensa positivo! O no?

Pensa positivo! O no?

I falsi miti del pensiero positivo hanno procurato più danni che benefici. Scopriamo cosa c’è di buono da imparare, analizzando le parole di Louise Hay. 

pensiero positivo gina abate coaching

Mi è capitato spesso, quando le persone mi chiedono che lavoro faccio, che commentino più o meno con “Ah sì! Pensiero positivo… Motivazione… Autostima, quelle cose lì vero?”

Ti svelo due cose:

  1. io non motivo nessuno, perché ognuno ha da trovare le proprie ragioni e i propri motivi per passare all’azione (al massimo io l’aiuto a riconoscerli).
  2. l’autostima è qualcosa di molto importante e profonda, e spesso viene confusa con il guardarsi allo specchio e dirsi con aria agguerrita: “Io sono figa/o, io valgo, io posso fare tutto”, ed è qualcosa che non consiglierei a nessuno 😉 

Ora che mi sono liberata di questi sassolini nella scarpa, arriviamo al punto di cui voglio parlarti oggi: il Pensiero Positivo.

 

Più danni della grandine

 

A mio avviso il Pensiero Positivo ha fatto più danni della grandine. Certo, anche il “pensiero negativo” non scherza. Ma quindi? Cerchiamo di capire qual è l’intenzione buona e quali sono i fraintendimenti che permeano questo argomento.

 

Normalmente se ti dico “Pensa positivo” cosa ti viene in mente?

Forse per prima cosa la canzone di Jovanotti, ma subito dopo, con tutta probabilità, ti verranno in mente cose come “Andrà tutto bene” e l’ormai famoso bicchiere mezzo pieno.

 

Dove nasce tutto questo?

 

Nel 1984, in un periodo della mia vita in cui ero molto sofferente, mi capitò tra le mani il libro “Puoi guarire la tua vita” di Louise Hay, una delle madri del pensiero positivo.

 

La Hay era riuscita a guarire dal cancro trasformando i suoi pensieri, e voleva giustamente condividere con il mondo quello che aveva sperimentato sulla sua pelle.

 

Ricordo di aver divorato con entusiasmo quelle pagine perché quel libro mi confermava qualcosa che avevo sempre sentito essere vera. Parlo del collegamento tra i pensieri che abbiamo, la chimica che creiamo nel nostro corpo (che percepiamo sotto forma di emozioni e sensazioni) e la capacità della nostra mente e del nostro corpo di esprimere utilmente le sue potenzialità: guarire da una malattia, realizzare un progetto, creare una relazione felice o qualsiasi altra cosa.

 

Quello che è passato è invece, banalmente, “Pensa positivo e tutto andrà bene”. Cosa semplicemente non vera.

 

Il fraintendimento

Il messaggio superficiale che è arrivato fino a noi, è che se pensiamo che le cose andranno bene, lo faranno; che se pensiamo che guadagneremo un sacco di quattrini e troveremo il/la nostro/a partner ideale, succederà; che se pensiamo che la guerra finirà o che guariremo da una malattia, lo faremo accadere.

 

Io ci ho provato e non ha funzionato e probabilmente anche tu mi dirai la stessa cosa.

 

Se poi a questo aggiungiamo la Legge dell’Attrazione, che sembra dirci che se pensiamo intensamente ad un elefante mentre ce ne stiamo comodamente seduti in salotto, lo facciamo apparire hic et nunc, ecco che la frittata è fatta.

 

Gina, ma allora ci stai dicendo che quello che pensiamo non conta? che è inutile “pensare bene”?

 

Il tassello di un mosaico più grande

No, sto piuttosto dicendo che essere consapevoli che i nostri pensieri hanno un peso è solo un tassello di un mosaico ben più ampio e che, se non ce ne rendiamo incontro rischiamo tre conseguenze:

 

  1.  andiamo incontro a delusione certa
  2.  rischiamo di buttar via l’acqua con tutto il bambino, banalizzando e generalizzando con un pericoloso: “Queste cose non funzionano”
  3.  ci de-responsabilizziamo rispetto quello che possiamo veramente fare

 

Cosa c’è di vero?

Come ti dicevo, c’è di vero che i pensieri ai quali crediamo creano una certa chimica nel nostro corpo, generano emozioni. Determinati pensieri ed emozioni ci faranno propendere verso l’azione, altri invece verso il sentirci vittime impotenti, altri verso la ricerca di un colpevole, altre verso la commiserazione… e da lì scaturiranno i nostri comportamenti, le iniziative, le azioni, le interpretazioni che daremo a tutto ciò che accade. Creeremo così la nostra realtà (per la parte che ci compete)

 

Quindi certo, il pensiero crea. Ma per fortuna non basta il pensiero, né si materializza subito (se no saremmo tutti fottuti, non credi? 😉 ) 

 

Facciamo un esempio

 

Ricordo bene che Louise Hay nel libro diceva qualcosa come: “Quando usi bene la mente puoi anche mangiare cibo per gatti che starai bene”  

 

In un certo senso questa frase è vera, ma ti va di analizzarla con me?

 

  • “Quando usi bene la mente” = quando usi la mente in modo utile, funzionale, costruttivo, in modo che sostenga il tuo progetto o intento
  • “Usare bene la mente” significa anche provare l’emozione corrispondente a ciò che vuoi creare, significa cambiare percezione, vedere qualcosa che prima non vedevi, crederlo possibile.
  • “Puoi mangiare anche cibo per gatti” : sì, ma non in eterno. Di vero c’è che la mente è talmente potente che può creare le condizioni per il “successo” e la salute (e ahimè, anche per la malattia e l’insuccesso) nonostante le condizioni avverse. Ma a un certo punto bisognerà anche aiutarsi.

Ricordo bene infatti che Louise Hay, a un dato punto del suo viaggio personale, aveva rivoluzionato anche il suo modo di mangiare. Un maggior amore per se stessa, e il desiderio di vivere bene nel presente (e possibilmente anche in un radioso futuro) le avevano fatto ripulire frigo e dispensa da tutto il cibo spazzatura, le scatolette e i cibi conservati che normalmente teneva in casa.

 

Il pensiero costruttivo porta ad azioni costruttive

 

Ed è questa la parte che molti sembrano tralasciare.


Sono certa che quando Louise recitava le sue affermazioni, non stava recitando meccanicamente “Io sono sana” mentre in realtà era piena di paura e risentimento perché pensava “c’ho un cacchio di tumore, altroché”. 

Viveva con certezza la sensazione di essere guarita, il suo cervello era probabilmente in onde Theta, che sono quelle della creazione, della riprogrammazione dell’inconscio, che sono quelle della rigenerazione e guarigione e, per Jung, anche quelle dell’accesso all’infinito campo dell’inconscio collettivo con tutto il suo patrimonio di informazioni.

 

Stava liberando e attivando le infinite possibilità racchiuse nel suo corpo e nella sua mente.

 

E questo sì, è un potere a cui ognuno di noi può trovare accesso, con i giusti strumenti e le giuste pratiche..

Molto più di un semplice pensiero positivo, no?

 

Last but not least

 

Louise Hay era Louise Hay, e se da un lato ha voluto mostrare qualcosa che è potenzialmente possibile per ogni essere umano, ci ha anche mostrato che lei ha seguito la sua strada, ha creato il suo modo, ha seguito e trasformato ciò che sentiva giusto nel profondo.

 

Forse è proprio questo il suo messaggio, e il messaggio di tutti gli uomini e donne che hanno eccelso in qualcosa: fate come me non significa fate le stesse cose che ho fatto io, ma fate anche voi le cose che sentite giuste e vere nel profondo, dopo aver fatto pulizia di ciò che non siete voi.

 

E questo, credo, è il messaggio più importante.

 

Fare ordine dentro di sé, ascoltarsi, alleggerirsi e allinearsi con ciò che vogliamo creare sono passaggi importanti per ogni nostra realizzazione. Per questo sono diventati i punti cardine di uno dei miei percorsi trasformativi di gruppo:

 

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